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Presidenza italiana

Osce: conservare il ruolo della missione in Ucraina

4 Gen 2018 - Vincenzo Guttusi - Vincenzo Guttusi

L’Italia, alla presidenza di turno dell’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (Osce) nel 2018, ha la più grande opportunità della sua recente storia diplomatica di testare se davvero può giocare quel ruolo di facilitatore del dialogo tra Est e Ovest di cui spesso si vanta.

Un appuntamento che arriva quando l’Osce ha rinvigorito il suo ruolo in una crisi complessa come quella ucraina, dove una delle parti in conflitto – seppur ciò non sia ancora riconosciuto dalla leadership moscovita -, è la Russia. A conferma di ciò, l’Organizzazione ha dispiegato in Ucraina la sua più grande missione speciale di monitoraggio (Smm).

Con l’Unione europea responsabile, secondo molti, di aver innescato le proteste di piazza Maidan dopo la mancata firma dell’Accordo di associazione con l’Ucraina – e la Nato chiaramente non accettabile ai russi -, l’Organizzazione di Vienna rappresentava, all’indomani dello scoppio della crisi, l’unico forum inclusivo dei Paesi occidentali e di Mosca che potesse occuparsi della gestione del conflitto.

I compiti degli osservatori
Ci sono almeno tre motivi per cui la missione in Ucraina può esser considerata speciale, anche in virtù degli sviluppi posteriori al dispiegamento.

Innanzitutto, la Smm è una missione sui generis, perché attiva in un teatro di conflitto in essere come il Donbass (le due regioni orientali ucraine di Donetsk e Luhansk), dove il parametro più importante di decisione delle operazioni rimane la sicurezza dei membri della missione.

Nel pieno rispetto dei principi d’imparzialità e trasparenza, il mandato della missione incarica gli osservatori principalmente di raccogliere informazioni e riferire sulla situazione di sicurezza nella zona operativa; accertare e riportare i fatti in risposta a incidenti specifici; monitorare e sostenere il rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali; e facilitare il dialogo sul terreno al fine di ridurre le tensioni.

In secondo luogo, la missione non ha accesso al territorio della penisola di Crimea, perché seppur gli osservatori siano autorizzati a esser dispiegati nell’interezza del territorio ucraino, la Russia con una dichiarazione interpretativa ha chiarito che le relative attività sono possibili secondo la realtà politica esistente, ossia tenendo conto “che la Repubblica di Crimea e Sebastopoli sono diventate parte integrante della Federazione Russa”. Pertanto, nonostante alcuni report tematici si siano occupati anche di questioni relative alla popolazione di Crimea, nessun osservatore della Smm è mai stato autorizzato a fare ingresso in territorio crimeano.

Infine, gli accordi di Minsk hanno definito funzioni aggiuntive per la Smm. In particolare, gli osservatori devono facilitare il ritiro delle armi pesanti; provvedere al monitoraggio e alla verifica del mantenimento del cessate il fuoco; e monitorare il ritiro di tutte le formazioni militari straniere, dell’equipaggiamento militare e dei mercenari dal territorio ucraino.

Per tal motivo, la Smm utilizza i risultati dei monitoraggi non soltanto per riferire dinanzi ai 57 membri del Consiglio permanente – l’organo di discussione e decisione dell’Osce che settimanalmente si riunisce a Vienna a livello di ambasciatori -, ma anche per sostenere il lavoro del Gruppo di contatto Trilaterale, nel quale (insieme ai quattro gruppi di lavoro umanitario, politico, di sicurezza ed economico), si discute l’implementazione degli accordi di Minsk con la partecipazione dei rappresentanti di Ucraina, Russia e delle due repubbliche separatiste.

La missione di peacekeeping dell’Onu
Nel corso dell’anno appena trascorso, sono aumentate le proposte di diplomatici e analisti quanto alla necessità di ridare vigore agli accordi di Minsk, dinanzi all’immobilismo della crisi ucraina che rischia di congelarsi, come successo in altri scenari dello spazio post-sovietico. A sparigliare le carte in tavola ci ha pensato il presidente russo Vladimir Putin, quando lo scorso 5 settembre ha annunciato la disponibilità a discutere di una missione di peacekeeping delle Nazioni Unite.

L’idea messa in campo ricalca in teoria la richiesta ucraina di richiedere all’Onu il dispiegamento di una missione che possa sviluppare una forza di interposizione classica, per rafforzare il rispetto del cessate il fuoco dalle parti in conflitto. Ma i russi sono maestri nei dettagli. Ecco che la richiesta del Cremlino propone una missione di peacekeeping lungo la sola linea di contatto e che serva a garantire la sicurezza degli osservatori della Smm.

Le elezioni presidenziali russe sono dietro l’angolo – nel marzo prossimo – e Putin, che vuol apparire come un conciliatore, non ha intenzione di accettare la richiesta europea e statunitense secondo cui i membri della missione Onu abbiano accesso anche al confine russo-ucraino, così da monitorare l’afflusso di forze armate in supporto alle repubbliche separatiste.

Il ruolo dell’Italia
Dopo le elezioni presidenziali russe (e italiane), e la scontata conferma dell’attuale inquilino del Cremlino, si aprirà una nuova finestra d’opportunità per facilitare il dialogo fra Est e Ovest. La presidenza italiana dell’Osce può rappresentare il sostegno principale all’iniziativa franco-tedesca di rianimare il formato Normandia e gradualmente alleviare il peso delle sanzioni, focalizzandosi sull’implementazione degli accordi di Minsk, più che sui principi. La partecipazione del presidente francese Emmanuel Macron al forum economico di San Pietroburgo del 2018 sembra offrire lo spiraglio adatto per un rinnovato dialogo.

Il voto alla presidenza italiana dell’Organizzazione si desumerà soprattutto dal risultato delle negoziazioni che condurrà il nostro Paese su due novità dell’ultimo mese. Il dipartimento di Stato statunitense ha infatti annunciato il via libera al fornimento di cosiddette armi letali all’Ucraina, ribaltando la linea dell’ex presidente Barack Obama, che si era sempre rifiutato di varcare questo confine.

Inoltre, a metà dicembre il contingente russo ha abbandonato il Centro congiunto di controllo e coordinamento (Jccc), che aveva ricevuto dagli accordi di Minsk anche il compito di contribuire ad assicurare una risposta rapida agli ostacoli imposti e alla sicurezza degli osservatori della Smm. L’Italia dovrà negoziare una soluzione politica, tale per cui la missione possa continuare a svolgere il suo ruolo e facilitare i lavori di riparazione di infrastrutture essenziali per la popolazione civile che venivano svolte d’accordo con il Jccc.

La Smm non dovrà presumibilmente fare i conti con nessuno stravolgimento delle sue operazioni, almeno fino alla fine del suo mandato. La missione non ha risolto il conflitto tra i ribelli filo-russi e le forze armate ucraine, ma l’effetto deterrente del monitoraggio costante e delle attività di verifica condotte dalla Smm hanno indubbiamente permesso il contenimento del conflitto e bloccato un’ulteriore escalation militare. Già contribuire a conservare come tale il ruolo della Smm sarebbe un successo per l’Italia, ma il nostro Paese ha il dovere d’osare di più.

Foto di copertina © Osce Smm: osservatori in visita a Luhansk.