Euromissili: c’è il rischio che ritornino. Cosa può fare l’Europa
È passato praticamente inosservato il mese scorso un anniversario importante per l’Europa: quello dei trenta anni dalla stipula del Trattato INF (Intermediate-Range Nuclear Forces) sottoscritto da Ronald Reagan e Michail Gorbachov nel dicembre 1987. Il Trattato ‘sugli Euromissili’ proibiva non solo di possedere uno specifico tipo di armamento (missili nucleari con gittata tra 500 e 5500 chilometri dislocati principalmente in Europa), ma ne prevedeva anche l’eliminazione fisica sotto stretto controllo delle parti. Pochi se ne sono accorti in un’Italia ormai in preda alla frenesia pre-elettorale, ma pochi anche i segni significativi di attenzione da parte dell’Europa. È vero che ai tempi della stipula dell’accordo del 1987 l’Europa della sicurezza e della difesa non esisteva ancora e che la concertazione negoziale è sempre avvenuta in sede Nato.
Resta il fatto che l’Europa fu il baricentro ed anche il maggior beneficiario dell’accordo sugli Euromissili, i sistemi che la Nato decise di dislocare in cinque Paesi europei (Belgio, Germania, Italia, Paesi Bassi e Regno Unito) per rispondere allo spiegamento da parte dell’Urss dei temibili SS20 specificamente destinati a colpire il territorio dei Paesi europei. La Nato non rispose solo militarmente a tale iniziativa sovietica: la cosiddetta doppia decisione degli alleati nel 1979 prevedeva non solo lo spiegamento di nuovi missili Usa in Europa (a Comiso per l’Italia), ma proponeva al tempo stesso un negoziato per il controllo e la riduzione di tali armamenti. Il negoziato si concluse positivamente e si trattò di un momento glorioso per la diplomazia: nessuno si aspettava che russi e americani sarebbero addirittura giunti alla cosiddetta “opzione zero”, cioè ad una totale proibizione ed eliminazione di tale tipo di armamento.
Preoccupano il futuro del Trattato e la sua asimmetria
La questione degli Euromissili non è soltanto acqua passata. Oggi, al di là della commemorazione del trentesimo anniversario, prevale la viva preoccupazione per il futuro dell’accordo. Una delle sue peculiarità è che esso vincola solo russi e americani, ma non il resto del Mondo. Da circa un decennio Washington e Mosca hanno manifestato una certa insofferenza per questa asimmetria. Nel 2007 i due Paesi proposero all’Onu di estendere la proibizione di tali missili all’intera comunità internazionale. Ma alcuni Paesi si erano nel frattempo dotati di tali lanciatori e non erano disposti a rinunciarvi mentre altri, frustrati da anni di dinieghi da parte delle potenze nucleari nel campo del disarmo, non ritennero di ‘levare le castagne dal fuoco’ ai russi e agli americani. La proposta di una proibizione globale, benché avanzata dalle due superpotenze nucleari, non venne accolta dalla comunità internazionale.
L’attuale asimmetria pregiudica in particolar modo la Russia, che è circondata da Paesi che posseggono tale tipo di vettori (non necessariamente con capacità nucleari), mentre il territorio americano è in pratica irraggiungibile dai missili a gittata intermedia. Non è un caso dunque che siano stati principalmente i militari russi ad esprimere con maggiore vigore la loro irrequietezza e ad adottare misure che vengono viste dagli Usa come vere e proprie violazioni dell’Inf. Risalgono al 2013 le prime rimostranze di Washington circa una violazione dell’accordo a seguito dello sviluppo da parte russa di un nuovo missile da crociera denominato dai russi con la sigla 9M729, che avrebbe un raggio di azione rientrante in quello previsto dalla proibizione Inf. A loro volta i russi, oltre a negare categoricamente quanto affermano gli americani, sostengono che costituisca una violazione sia l’impiego americano di missili a gittata intermedia come bersaglio per le esercitazioni, sia lo spiegamento a terra di sistemi marittimi antimissilistici americani.
Un ritorno agli Anni Ottanta? Inquietudini russe e americane
La diatriba, di carattere eminentemente tecnico-militare, si trascina ormai da oltre quattro anni senza che si sia giunti a un’intesa. Nel frattempo le controparti stanno studiando possibili contromisure per il caso in cui persistesse il dissidio o addirittura dovesse naufragare l’intero accordo. Lo scenario potrebbe essere allora il ritorno alla situazione pre 1987, con l’installazione dalle due parti di sistemi più sofisticati e precisi e quindi più facilmente utilizzabili, ovvero quello di un’Europa sguarnita di fronte a un potenziale russo che non si era visto negli ultimi trent’anni.
È degno di nota il fatto che si sia finalmente riattivata alla fine del 2016, dopo 13 anni di stasi, la Special Verification Commission, ossia il meccanismo stabilito dal Trattato proprio per dirimere controversie come quella attuale. Sul contenuto di tali colloqui confidenziali si sa poco. Il laconico comunicato successivo ai colloqui del 2016 faceva solo stato dell’avvenuto incontro. Forse più incoraggiante il messaggio emesso a seguito dell’incontro avvenuto a Ginevra il mese scorso, poiché vi si fa almeno stato della volontà comune delle parti di mantenere in vita e a rafforzare il trattato: “The INF Treaty continues to play an important role in the existing system of international security, nuclear disarmament and non-proliferation, and (the parties) will work to preserve and strengthen it”.
L’Europa rischia di essere la maggior perdente
L’Europa non è parte di questa trattativa ma rischia di divenire il maggiore perdente nel caso in cui il dialogo a Ginevra dovesse fallire o le parti dovessero recedere dall’accordo sugli euromissili. Le opzioni che ne deriverebbero sono tutte decisamente peggiori rispetto allo status quo attuale che prevede la totale assenza di tali armi. Il salvataggio dell’accordo sugli euromissili rimane pertanto l’opzione di gran lunga preferibile e l’Europa deve sostenerla a fondo.
Essa dispone oggi delle basi giuridiche e degli strumenti (il Trattato di Lisbona, la Strategia globale sulla sicurezza, il Servizio di Azione Esterna, il Consorzio di Think Tank per la Non proliferazione e il disarmo) per intervenire nel dibattito e fare sentire, come Unione e non solo come Stati individuali, la propria voce anche in seno alla Nato. Un’azione mirata a risolvere la vertenza in corso e a chiarire i malintesi non può essere lasciata solo agli esperti: essa necessita di un forte impulso politico da Bruxelles, non solo dalla sede Nato di Evere, ma anche dal Palazzo Justus Lipsius, sede del Consiglio dell’Ue. Il fatto che il nuovo missile russo non sia ancora stato schierato, che le contromisure Usa non siano state ancora adottate, ed alcuni possibili cenni incoraggianti emersi dall’ultimo incontro bilaterale, lasciano ancora spazio per una decisa azione diplomatica europea. Un’occasione da non perdere.
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