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Coalition of willings

Corea: sanzioni marittime al Nord dal Gruppo di Vancouver

18 Gen 2018 - Fabio Caffio - Fabio Caffio

Un’inedita coalition of willings diretta da Stati Uniti e Canada metterà in atto misure di interdizione marittima, impropriamente definite  blocco navale, per costringere la Corea del Nord ad abbandonare il suo programma nucleare. L’iniziativa rappresenta una forma di applicazione sui generis del regime sanzionatorio contro Pyongyang decretato da varie risoluzioni del Consiglio di Sicurezza dell’Onu. Rilevanti sono anche i contenuti politici: un obiettivo è dissuadere la Russia dal sostenere il regime di Kim Jong-un con rifornimenti energetici via mare.

Gruppo di Vancouver
La riunione ministeriale di Vancouver del 16 gennaio scorso può ritenersi una brillante iniziativa diplomatica. Ad essere convocato è stato un gruppo di 18 Paesi i quali, a suo tempo, durante la Guerra di Corea del 1950-’53, si erano schierati a fianco degli Stati Uniti contro Russia e Cina.

Con l’Italia, Australia, Danimarca, Francia, Giappone, Gran Bretagna, Norvegia,  Olanda, Svezia e Turchia si sono così associate a Belgio, Corea del Sud, Filippine, Grecia, India, Thailandia nell’impegnarsi ad ostacolare l’escalation militare della Corea del Nord resa evidente dai  recenti lanci di missili balistici.

Tali finalità  sembrano essere condivise dalla Nato, se non altro perché gran parte dei Paesi coinvolti sono membri dell’Alleanza.

Interdizione marittima
Molte risoluzioni Onu come la 2397 (2017) – una delle dieci sinora dedicate alla situazione delle Penisola coreana – stabiliscono già il divieto di trasporto via mare di beni di Pyongyang: carbone e tessile in esportazione, materiali strategici in importazione, in particolare idrocarburi. La loro applicazione è però lasciata alla volontà degli Stati membri, nell’ambito della giurisdizione sulle navi di bandiera e su quelle straniere  in sosta/transito nelle acque territoriali.

Gli Stati Uniti avevano proposto, lo scorso novembre, una risoluzione coercitiva autorizzante il ricorso in alto mare a “tutti i mezzi necessari”, compreso il fermo e l’abbordaggio di navi straniere trasportanti carichi vietati. In questo modo si sarebbe realizzato un vero embargo navale, come venne fatto verso l’Iraq, l’ex Iugoslavia o la Libia. Ma il veto di Russia e Cina lo ha impedito.

Di qui, la scelta di applicare misure conformi  alle  norme vigenti, che rafforzino il controllo sul rispetto dei divieti in atto e che siano un deterrente verso tentativi di aggirarli. In sostanza, l’obiettivo sarà quello di monitorare eventuali trasbordi in alto mare di beni vietati (sembra che la Russia abbia già consegnato in questo modo carichi di petrolio) impedendone e prevenendone l’esecuzione.

Casus belli?
La Corea del Nord ha  dichiarato che la messa in atto di tali misure sarebbe un atto di aggressione. Una cosa sarebbe, tuttavia,  un intervento su una nave di bandiera di Pyongyang e un’altra il fermo di un mercantile con bandiera di comodo. Una situazione del genere si è verificata nel 2002, quando una nave battente bandiera Antigua e Barbuda che trasportava verso la Libia centrifughe per l’arricchimento dell’uranio fu dirottata a Taranto con il consenso dell’armatore tedesco. Sta di fatto che il dirottamento di tale nave non generò proteste, ma anzi  indusse la Libia ad abbandonare il suo programma nucleare.

Il fermo di un mercantile impegnato in traffici nordcoreani di contrabbando sarebbe accettato ora allo stesso modo, o ci sarebbero reazioni militari oltre che propagandistiche ?  L’incognita sta nel livello di ragionevolezza di Russia e Cina che formalmente continuano a sostenere il regime di Pyongyang, ma che potrebbero scegliere una posizione di basso profilo.

Impegni internazionali
Ritorna sulla scena, dopo essere stato ipotizzata nel 2003 dall’Amministrazione Bush, l’opzione del blocco navale della  Corea del Nord. Il termine blocco, di stampo giornalistico, è però quanto mai improprio e fuorviante, in quanto non si tratta di un provvedimento di stampo  militare bellico (si pensi al blocco di Aden della coalizione a guida saudita), ma di misure preventive. Altro è anche la Quarantena Marittima statunitense attorno a Cuba del 1962 che dissuase l’Unione Sovietica dall’installare missili balistici sull’isola.

Molto più semplicemente siamo di fronte all’iniziativa di un gruppo di Paesi intenzionati ad applicare al meglio, in mare,  le risoluzioni Onu contro il programma nucleare di Kim Jong-un, tenendo anche conto degli impegni internazionali contro le armi di distruzione di massa (Wmd) da essi assunti.

Il Canada e gli Stati Uniti  hanno  già ampiamente dimostrato la volontà di adempiere tali impegni come sostenitori della Proliferation Security Initiative (Psi) lanciata nel 2003. Ma anche l’Italia, aderendo al ‘Vancouver Group’, prova la sua coerenza nella lotta alla proliferazione delle Wmd, rimarcando nel contempo la sua attenzione per le questioni strategico-marittime.

Il Giappone, infine, fa un ulteriore passo avanti nell’affermare, forte della sua rinnovata componente navale,  il  ruolo di garante, anche in funzione anti-cinese, della stabilità della Penisola coreana e dei mari adiacenti.