Cina: un simposio di pace per il conflitto tra Israele e Palestina
Il simposio, nell’antico Impero romano occasione conviviale in cui gli uomini si riunivano per dedicarsi ad intrattenimenti di vario genere e per disquisire sulle diverse argomentazioni, a distanza di secoli sembra essere strategicamente riproposto nell’antico Impero di Mezzo, attualmente guidato dal ‘monarca collettivo’ che veste i panni del Partito comunista cinese.
Il ministro degli Esteri di Pechino Wang Yi ha ospitato infatti in un simposio che si è tenuto nella capitale cinese il 21 e 22 dicembre scorsi Ahmed Majdalani, membro del Comitato esecutivo dell’Organizzazione per la liberazione della Palestina, e Yehiel Bar, vicepresidente laburista della Knesset israeliana, dove guida anche il gruppo interno di pressione per la soluzione dei due Stati.
La due giorni di incontri ha assunto una valenza rilevante di fronte all’escalation di tensioni che si registrano dallo scorso 6 dicembre, quando il presidente statunitense Donald Trump ha riconosciuto Gerusalemme come capitale di Israele, e proprio nei giorni in cui l’Assemblea generale dell’Onu votava una risoluzione per chiedere un ripensamento da parte di Washington.
L’interesse di Pechino
Sullo sfondo del voto all’Onu (in cui Pechino si è schierata insieme ad altri 127 Paesi a favore della risoluzione; appena 9 i contrari, mentre 35 gli astenuti, fra cui anche alcuni Stati membri dell’Ue), la Cina sembra aver assunto un importante ruolo nel processo di pace israelo-palestinese, malgrado gli spazi ridotti di azione che il Paese del Dragone può avere a causa delle complesse dinamiche presenti nell’area mediorientale.
La due giorni per dare un contributo al dialogo fra Israele e Palestina era tuttavia stata programmata già lo scorso luglio, durante una visita del presidente palestinese Abu Mazen in Cina. Secondo quanto riporta l’agenzia di stampa Xinhua, durante l’incontro con il leader palestinese, il presidente cinese Xi Jinping aveva presentato una nuova proposta in quattro punti per risolvere la questione palestinese, soprattutto mediante un coordinamento a livello internazionale. Nel dettaglio, la proposta del presidente cinese – che si affaccia al 2018 con aspirazioni da leader globale – si basa sulla soluzione dei due Stati, secondo i confini precedenti alla Guerra dei Sei Giorni del 1967 e sulla promozione dello sviluppo e della cooperazione come strumento per arrivare alla pace tra israeliani e palestinesi.
Il meeting di dicembre non è però il primo: la Cina aveva già tenuto due simposi di questo tipo prima a Gerusalemme e poi a Pechino, rispettivamente nel 2003 e nel 2006. Quello che ha chiuso il 2017, però, è il primo organizzato sotto l’amministrazione del presidente cinese Xi, l’uomo più potente di Cina dai tempi di Mao.
Non a caso, l’interesse di Pechino non si riconosce soltanto nel contenimento dei conflitti mediorientali, ma rientra anche nell’ottica del successo della Belt and Road Initiative, il progetto economico della Nuova Via della Seta che collega ambiziosamente la Cina all’Occidente.
Xi colma i vuoti di Trump
I favori di Trump alla destra sionista fanno risplendere di una nuova luce le azioni diplomatiche ed economiche della Cina. Il presidente americano con l’abbandono della politica obamiana del “pivot to Asia”, ovvero il ribilanciamento della politica estera statunitense in Asia, e a causa della crisi nordcoreana – comunicata e gestita a colpi di tweet -, ha difficoltà a trovare un sostegno coerente e deciso nei Paesi orientali.
Ed è soprattutto con la Cina che Trump ha mostrato l’incapacità di mantenere un atteggiamento lineare, come già lasciava presagire sin dalla vigilia dell’insediamento alla Casa Bianca, quando aveva fatto storcere il naso a Pechino con una telefonata alla presidente taiwanese Tsai Ing-Wen. Rapporto altalenante proseguito con una visita nel Paese del Dragone (in occasione della quale ha siglato accordi commerciali record) e, da ultimo, con la Strategia sulla sicurezza nazionale, dove Pechino è vista come “rivale” degli Usa.
In un contesto di incertezza politica a livello internazionale, mentre risuona l’eco dell’‘America First’, la Cina silenziosamente si presenta laddove Washington sta lasciando ampio campo di azione, soprattutto nel mondo islamico.
Di fronte alla disputa su Gerusalemme capitale, Pechino si muove con cautela, a causa delle relazioni economiche e militari che ha con Israele e per via del sostegno storicamente dato alla Palestina.
Medio Oriente e Nuova Via della Seta
Cina e Israele hanno stabilito relazioni diplomatiche solo nel 1992, ma già dal 1979 avevano avviato una cooperazione militare. Le armi e la tecnologia bellica acquistate da Israele hanno aiutato lo sviluppo militare del Celeste Impero negli ultimi decenni, e Pechino ora è interessata all’acquisto di altre tecnologie avanzate israeliane, in settori come l’agricoltura e l’energia pulita. Il commercio tra i due Paesi è accelerato rapidamente dall’inizio del millennio, salendo a 11,4 miliardi di dollari nel 2015 da soli 1,1 miliardi di dollari nel 2000: la Cina è ora il terzo partner commerciale di Israele dopo gli Stati Uniti e l’Unione europea.
D’altro canto, il Paese comunista ha una consuetudine di lunga data con la causa palestinese, sin dai tempi di Mao. Il Grande Timoniere si schierò in favore della resistenza palestinese e altri leader, come Deng Xiaoping, garantirono il loro sostegno quasi incondizionato alla causa rivoluzionaria guidata da Yasser Arafat, “vecchio amico del popolo cinese”.
I fattori che determinano l’interesse di Pechino per il Medio Oriente sono molteplici. La Cina che si sta presentando al mondo come una potenza economica sempre più proiettata sui mercati internazionali teme gli effetti che la decisione di Trump possa avere nel delicato scenario mediorientale.
La Nuova Via della Seta promossa da Xi passa anche attraverso il Medio Oriente, la zona perfetta per raccogliere e seminare le fortune del mercato del petrolio e delle infrastrutture.
Nella furbizia della prassi politica cinese, Pechino si presenta come mediatore, senza mai infilare il naso nelle questioni interne a ciascuno Stato, rispettando il limite autoimposto della “non ingerenza” nelle questioni politiche altrui; tuttavia, la Cina si impegna a proteggere e risolvere quelle che sono le sue preoccupazioni: il successo di una politica economica a livello globale, e la sicurezza militare nell’area orientale.
Foto di copertina © Stephen Shaver/ZUMAPRESS.com