Yemen: Saleh ucciso, e ora ‘tutti contro gli huthi’?
Nello Yemen, dal ˊtutti contro tuttiˋ al ˊtutti contro gli huthiˋ? Probabilmente sì, anche se l’incertezza è massima. La brutale uccisione, lunedì 4 dicembre, dell’ex presidente Ali Abdullah Saleh (al potere fra il 1978 e il 2011) per mano di alcuni miliziani huthi, suoi alleati fino a pochi giorni prima, segna un tornante nel complesso conflitto yemenita. Al momento, esistono più interrogativi che certezze su ciò che accadrà nel Paese. Di certo e al di là di qualsiasi giudizio, la morte di Saleh, il presidente autoritario che ha dominato la scena pubblica dello Yemen negli ultimi trent’anni, è un vero trauma politico per gli yemeniti, nemici compresi, e segnerà gli equilibri interni per molto tempo ancora.
Le alleanze erano appena cambiate: il ‘camaleontico’ Saleh aveva ufficialmente rotto, il 2 dicembre, la convergenza di interesse con Ansarullah (il movimento huthi), iniziata nel 2014, per tendere la mano all’Arabia Saudita. Poteva essere l’occasione insperata per un compromesso politico che fermasse il “grande conflitto” tra la coalizione guidata dai sauditi e il fronte degli insorti. Invece, a seguito dell’uccisione di Saleh, inizierà probabilmente un confuso ‘tutti contro gli huthi’ dagli imprevedibili esiti militari, nonché regionali. Da mesi, gli huthi accusavano Saleh di trattare segretamente con sauditi ed emiratini, mentre il General People’s Congress (Gpc), il partito dell’ex presidente, denunciava il monopolio huthi sul governo parallelo di Sana’a.
Tribù e militari: possibili reazioni
C’è il rischio concreto che gli scontri degenerino a Sana’a e dintorni: Ansarullah starebbe regolando i conti militarmente con gli ex alleati. Sono già centinaia i morti nell’ultima settimana, in una città di quasi due milioni di abitanti. Molto dipenderà dalla reazione delle tribù locali – come la confederazione degli Hashid – all’uccisione di Saleh: il figlio delfino del defunto presidente, Ahmed Ali, ai domiciliari ad Abu Dhabi (per quanto ancora?) e già capo della disciolta (solo ufficialmente) Guardia Repubblicana pro-Saleh, ha chiamato gli yemeniti alla vendetta. Uno scenario verosimile, anche se la scomparsa di Saleh lascia un enorme vuoto di leadership nel suo network tribale-militare (che è anche una rete clientelare), che potrebbe frantumarsi se non velocemente riempito.
Un processo di restaurazione
Il debole governo del presidente riconosciuto Abd Rabu Mansur Hadi ha già annunciato l’Operazione ‘Arabian Sana’a’ per riprendere la capitale. L’equazione politico-tribale-militare che ha retto lo Yemen fino alla rivolta del 2011 (quando Saleh si dimise) sembra ricostituirsi, contro gli huthi, con la ‘benedizione’ saudita. Infatti, ci sono: Hadi (già vice di Saleh), il Gpc dei Saleh, il generale Ali Mohsin al-Ahmar, che abbandonò Saleh nel 2011 per poi divenire vice-presidente e vice-comandante delle forze armate legittime nel 2016, il partito islamista Islah legato alla famiglia degli al-Ahmar (Hashid), oggi assai indebolito. Questo è esattamente il sistema di potere che ha dominato lo Yemen per 33 anni (Islah era talvolta all’opposizione formale, ma in un contesto comunque consociativo): la restaurazione yemenita è iniziata e proprio l’uccisione di Saleh potrebbe favorirla.
Tentazioni d’indipendenza al Sud
Hadi, con un mandato ad interim scaduto nel 2014, deve pure fronteggiare l’ascesa degli indipendentisti del Sud, tentati dal referendum e appoggiati dagli Emirati Arabi Uniti, che nel frattempo portano avanti, nel Sud, la strategia di ricostruzione delle forze di sicurezza yemenite, sempre più legate, però, ad Abu Dhabi.
La fazione anti-huthi non è mai stata coesa. Nella città di Aden, dove le istituzioni riconosciute si sono trasferite dopo il golpe del gennaio 2015, le contraddizioni interne stanno però esplodendo. Nel maggio scorso, Aidarous Al-Zubaidi, ex governatore di Aden licenziato da Hadi (ma sostenuto dagli Emirati Arabi), ha formato un Consiglio politico di Transizione (Stc) e poi un governo indipendentista. Ma c’è di più: in ottobre, Al-Zubaidi ha annunciato sia la costituzione di un’Assemblea nazionale, che l’organizzazione di un referendum per l’indipendenza del Sud.
Ecco perché il Sud sembra guardare da lontano ai tragici fatti di Sana’a: per Aden e dintorni, Ali Abdullah Saleh è stato innanzitutto l’artefice dell’unificazione statuale yemenita del 1990, percepita dai sudisti come un’annessione.
Le incognite sull’atteggiamento saudita
Nella notte fra il 2 e il 3 dicembre, prima dell’uccisione di Saleh, la coalizione militare saudita aveva già cominciato a fornire supporto aereo alle forze militari fedeli all’ex presidente, contro i miliziani huthi. Riad intensificherà i bombardamenti sul nord dello Yemen, per piegare Ansarullah (che dovrebbe risentire militarmente dell’addio del Gpc, oltreché del suo malgoverno a Sana’a), coprendo l’avanzata di terra del nuovo fronte anti-huthi.
Fino a che punto si spingerà Mohammed bin Salman (MbS), l’erede al trono sauidta, nello scontro indiretto con l’Iran? La ‘matassa Libano’ è stata per ora sbrogliata dall’astuta mossa del presidente francese Emmanuel Macron, che ha invitato a Parigi il premier dimissionario Saad Hariri: per i sauditi non è stata una vittoria. Dato che l’animosità fra Riad e Teheran crea interdipendenza fra Libano e Yemen, MbS tenterà di prendersi la rivincita a Sana’a contro gli huthi? E il sostegno dell’Iran ai miliziani sciiti verrà allo scoperto? Interrogativi che attendono risposte dalle cronache dei prossimi giorni.
Questo articolo aggiorna, alla luce degli sviluppi nello Yemen e in particolare dell’uccisione dell’ex presidente Saleh, l’articolo di Eleonora Ardemagni pubblicato l’1 novembre 2017