Usa: tasse, Trump fa un regalo di Natale all’America ricca
Alla fine ce l’ha fatta. Donald Trump è riuscito a far approvare la propria riforma fiscale. Un risultato importante, vista la centralità che questo elemento ha sempre presentato nel programma elettorale del miliardario che voleva diventare presidente. In realtà, il testo licenziato dal Congresso la settimana scorsa risulta leggermente annacquato rispetto al disegno originario. Ciononostante, l’anima della legge resta quella voluta da Trump: una riforma all’insegna di una radicale defiscalizzazione, nel più puro stile reaganiano.
Si tratta del resto del più vigoroso taglio delle tasse attuato dai tempi della riforma portata avanti proprio da Ronald Reagan nel 1986. E d’altronde, secondo i beninformati, l’eminenza grigia che si celerebbe dietro le due leggi sarebbe la stessa: l’economista Arthur Laffer. Una figura che ha sempre sostenuto la necessità di energiche sforbiciate fiscali come rimedio all’evasione, nonché come toccasana per aumentare il gettito. E, guarda caso, la legge appena approvata dal Congresso sembra sposare esattamente questa filosofia.
I contenuti della riforma, pro e contro
L’aliquota delle tasse sulle imprese è stata drasticamente ridotta dal 35% al 21%: una misura con cui il presidente mira evidentemente a sostenere le piccole e medie imprese (un mondo che costituisce buona parte del suo zoccolo duro elettorale). Senza dimenticare che, nelle intenzioni della Casa Bianca, questa strategia dovrebbe determinare sostanziosi aumenti salariali. In secondo luogo, è stata introdotta una semplificazione delle aliquote sull’imposta individuale: una misura volta a favorire sia i ceti abbienti che la classe media.
Non solo meno tasse. Nel pacchetto di provvedimenti votato dal Congresso è stato inserito anche lo smantellamento di alcune parti della riforma sanitaria di Barack Obama: quella stessa Obamacare che i repubblicani, in preda a ripicche e faide intestine, non erano riusciti invece ad abolire la scorsa estate. Nella fattispecie, ad essere cancellato risulta l’obbligo per i cittadini di munirsi di un’assicurazione sanitaria: un elemento che il partito dell’elefante ha sempre osteggiato, considerandolo un inaccettabile esempio di invasività statalista.
I democratici all’opposizione, ovviamente, vanno all’attacco. Per loro, questa riforma fiscale altro non si rivela se non un odioso favore per le classi agiate. Gli stessi sondaggi mostrano poi come questa legge risulterebbe piuttosto impopolare tra gli elettori. Senza dimenticare le numerose critiche piovute sul capo di Trump proprio in materia di sanità. Del resto, anche tra i repubblicani qualche malumore si respira: in particolare, da parte dei cosiddetti “conservatori fiscali”, secondo cui una simile detassazione finirà inevitabilmente con l’aumentare il già ciclopico debito pubblico statunitense (una storia già vista, d’altronde, ai tempi di Reagan).
Un successo interno per Trump, fra grane e smacchi
Eppure, Trump esulta. Con la vittoria sulla riduzione delle tasse, il magnate presidente ha conseguito il primo vero obiettivo politico della sua presidenza: ha mantenuto una promessa elettorale ed è riuscito a far approvare una norma di peso, che – nel bene o nel male – lascerà il segno nel contesto politico-economico degli Stati Uniti d’America.
Trump riesce così a rafforzare la propria posizione in politica interna, in un momento non proprio semplice per lui. Non soltanto a causa dell’inchiesta Russiagate, ma anche a causa di alcune pesanti sconfitte che il Partito repubblicano ha subìto nelle ultime settimane: dalle elezioni dei governatori in Virginia e New Jersey alle suppletive per il Senato in Alabama.
Trump può dunque provare adesso a puntare verso due altri obiettivi, comunque tutt’altro che facili da raggiungere: rilanciare la sua immagine sul versante elettorale e – soprattutto – cercare di compattare il Partito repubblicano dietro al proprio vessillo. E’ proprio quest’ultimo punto ad essere particolarmente ostico per il magnate. Ed è qui che si annida la principale differenza rispetto a Reagan: un presidente che, nel 1986, non soltanto era riuscito a tenere salde le redini del partito, ma che era addirittura stato in grado di far approvare la sua riforma fiscale con una maggioranza bipartisan, coinvolgendo anche numerosi deputati democratici.
Per quanto si notino alcuni segnali di distensione tra il miliardario e l’establishment, Trump risulta invece ancora troppo divisivo. Un grattacapo non di poco conto. Soprattutto per un uomo che, probabilmente, sta già guardando alle presidenziali del 2020.

Foto di copertina © Alex Edelman/CNP via ZUMA Wire