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Speranze da Göteborg

Ue: un Social Compact per la dimensione sociale

21 Dic 2017 - Vincenzo Guizzi - Vincenzo Guizzi

Si era soliti affermare in passato che la politica sociale fosse la ‘Cenerentola’ delle politiche comunitarie. È vero che nei primi decenni del processo di integrazione l’attenzione prevalente – se non esclusiva – è stata concentrata sulla realizzazione del grande mercato comune.

Se si fa rientrare nel contesto della politica sociale la libera circolazione dei lavoratori (che sin dal Trattato Cee era collocata tra le “liberta fondamentali” di circolazione), si può ben dire che questo settore ha avuto uno sviluppo molto positivo, grazie all’attuazione concreta delle norme del Trattato. Ma non si può tacere che comunque essa era vista inizialmente in un’ottica squisitamente economica, in funzione della realizzazione del mercato comune, e non nel suo significato più profondo di libertà “fondamentale”, come un valore in sé.

Il percorso e i progressi della politica sociale
Per un lungo periodo la politica sociale è stata oggetto soprattutto di cooperazione tra la Commissione e gli Stati membri. La svolta si ebbe con l’attuazione del Programma di armonizzazione sociale del gennaio 1974 e soprattutto con l’Atto unico entrato in vigore nel luglio 1987, quando in alcuni settori furono emanati atti normativi cogenti e non solo generiche cooperazioni o semplici raccomandazioni.

Dalla seconda metà degli Anni ’70 e soprattutto dalla fine degli Anni ‘80, l’evoluzione della politica sociale comunitaria ha avuto una vera accelerazione e sono stati realizzati importanti risultati. Tra questi si possono ricordare, oltre alla citata libera circolazione dei lavoratori come primo nucleo di una sorta di cittadinanza europea (con la previsione per i lavoratori comunitari del “diritto di rimanere” nello Stato ospitante) e premessa per la più generale circolazione delle persone: la sicurezza e protezione dei lavoratori (non solo migranti); una maggiore armonizzazione sociale; la parità tra lavoratori e lavoratrici (per la parità noi abbiamo l’art 37 della Costituzione, ma in varie Costituzioni di altri Paesi Ue non era prevista, mentre già nel Trattato Cee originario il principio era fissato nell’articolo 119, ora art. 153); la disciplina del lavoro notturno; interventi molto più estesi del Fondo sociale europeo (Fse), profondamente rinnovato.

Speranze da Göteborg, ma rischi di passi indietro
L’adozione del cosiddetto ‘Pilastro europeo dei diritti sociali’ nel Vertice di Göteborg, il 17 novembre scorso, può costituire un passo in avanti, perché esso, come afferma la Commissione europea, intende costruire “un’Unione più giusta e inclusiva” e colloca la dimensione sociale dell’Europa “nel più ampio dibattito avviato sul futuro dell’Ue”. Ma ritengo che non si debba abbassare mai la guardia, perché ci sono possibili involuzioni.

In proposito mi chiedo quanti hanno rilevato che il regolamento 1612/68 sulla libera circolazione dei lavoratori sia stato sostituito da una direttiva (38/2004), passando da una normativa direttamente applicabile ad una non direttamente applicabile, testimonianza questa della tendenza diffusa a una rinazionalizzazione delle politiche comuni, frutto di quella che ho definito, proprio su questa rivista, la “resistibile deriva intergovernativa”

Tradurre in pratica il ‘Pilastro sociale europeo’
È, pertanto, necessario che le forze politiche e sindacali, europee e nazionali, vigilino affinché il ‘Pilastro sociale europeo’ si traduca in impegni effettivi e in precisi strumenti giuridici. Infatti, anche il documento sul ‘Pilastro sociale europeo’ affida essenzialmente ai poteri pubblici degli Stati il compito di darvi attuazione, non evidenziando precisi ed incisivi interventi dell’Unione, come ad esempio il finanziamento, da parte di questa, dell’indennità per la disoccupazione, che costituirebbe una importante misura redistributiva e che darebbe un significato alla solidarietà, vero principio “costituzionale” dell’Unione, sancito nell’art. 2 del Trattato sull’Unione europea (Tue).

Siamo ancora lontani dal principio sancito nell’art 151 del TFUE sulla parificazione nel progresso; dall’economia sociale di mercato, richiamata dall’art. 3 del TUE e dal “modello sociale europeo”, auspicato da Jacques Delors negli Anni ’90.

Se si analizzano le norme dei Trattati si può constatare che gli obiettivi della politica sociale sono gli stessi di quelli su cui si basa tutta la costruzione dell’Unione. Essi, come affermò, già negli Anni ’60, l’allora vice-presidente della Commissione europea, Levi Sandri, si leggono in filigrana nei Trattati europei.

L’impegno delle istituzioni europee e nazionali e delle forze politiche e sindacali deve essere rivolto con tenacia alla realizzazione di questi obiettivi. Mi permetto di indicare un primo passo importante: affiancare (superandolo, anzi) il Fiscal compact con un vero e proprio Social compact.