Migranti: quote, duello Ue-Stati membri e tutti contro Tusk
Il 14 e 15 dicembre si è svolto a Bruxelles l’ultimo Consiglio europeo del 2017, occasione per i leader dell’Ue per tracciare un bilancio delle azioni comuni finora intraprese e per impostare l’agenda politica per il prossimo futuro. Tra i temi discussi, la politica migratoria e il sistema di gestione dei richiedenti asilo hanno fatto registrare, ancora una volta, significative divergenze tra gli Stati membri.
In particolare, principale fonte di disaccordo si è dimostrato il binomio solidarietà-migrazione: se, almeno a livello di dichiarazioni d’intento, si registra consenso circa la necessità di un sostegno ai Paesi geograficamente più esposti ai flussi, profonde divisioni permangono sulle modalità concrete con cui lo stesso dovrebbe essere garantito.
In questo senso, la ricollocazione per quote dei richiedenti asilo rappresenta una chiara forma di concretizzazione della solidarietà in ambito migratorio e, come tale, dovrebbe costituire un elemento chiave della futura riforma del sistema di Dublino. Nella proposta ora in discussione, infatti, si ipotizza un sistema di redistribuzione per quote non più di natura emergenziale e provvisoria (come quello attuale, istituito nel 2015 a favore di Italia e Grecia), bensì permanente e automatico.
Ma è proprio sulla ricollocazione per quote – sia quella presente, sia quella che potrebbe nascere in esito alla riforma – che si sta consumando un aspro scontro, non solo tra gli Stati membri, ma ora anche tra le stesse istituzioni dell’Ue.
I numeri della ricollocazione
Secondo l’ultimo rapporto della Commissione europea, a metà novembre, a fronte di un totale di 98.000 richiedenti asilo previsti, ne risultavano ricollocati circa 31.500, di cui oltre 9.000 ricevuti dalla sola Germania, al primo posto tra gli Stati membri più solidali e ‘virtuosi’ nel rispetto degli obblighi di ricollocazione. Seguono nell’elenco Francia (circa 4.700) e Svezia (circa 2.800).
Dati diametralmente opposti, invece, quanto ai Paesi del cosiddetto gruppo di Visegrád, da sempre fermi oppositori della solidarietà migratoria e in particolare della ricollocazione obbligatoria per quote. Dopo oltre due anni dall’entrata in vigore del sistema di ricollocazione, infatti, Repubblica Ceca e Slovacchia hanno accolto rispettivamente solo 12 e 16 richiedenti asilo; mentre Ungheria e Polonia ad oggi non hanno ancora ricollocato nessuna persona, persistendo nella violazione degli obblighi imposti dal diritto Ue.
Tale fronte di opposizione alla solidarietà europea in ambito migratorio potrebbe peraltro arricchirsi con l’Austria che, anche alla luce dei recenti sviluppi di politica interna, sembra intenzionata ad adottare un atteggiamento critico e restrittivo verso le politiche migratorie comuni. Ciò sembra fra l’altro confermato dai dati sulla ricollocazione, con soli 15 richiedenti asilo finora ricollocati dall’Austria.
Nuovo capitolo di fronte alla Corte
La Corte di giustizia dell’Unione europea, con sentenza dello scorso settembre, aveva respinto i ricorsi presentati da Ungheria e Slovacchia contro il meccanismo di ricollocazione, confermando chiaramente che la solidarietà in ambito migratorio rappresenta a tutti gli effetti un obbligo giuridico vincolante.
Nella stessa ottica, la Commissione europea aveva aperto in giugno una procedura d’infrazione nei confronti di Polonia, Ungheria e Repubblica Ceca proprio a causa dell’inadempimento degli obblighi di solidarietà espressi tramite la ricollocazione per quote. A fronte del plateale ed ostinato rifiuto di ricollocare i migranti, la Commissione, con decisione del 7 dicembre 2017, ha riferito la questione alla Corte di giustizia, così portando i tre Stati membri di fronte ai giudici dell’Unione ed aggiungendo un nuovo capitolo allo scontro sulle quote obbligatorie di migranti.
Scontro inter-istituzionale
Il clima di antagonismo e polemica si è ulteriormente arricchito con uno scontro istituzionale tra Commissione e Consiglio europeo, consumatosi proprio prima del Vertice di metà dicembre. Poco prima di accogliere a Bruxelles i leader dei Ventotto, infatti, il presidente del Consiglio europeo, il polacco Donald Tusk, in una propria nota aveva parlato di un evidente scontro tra “Est e Ovest” sui temi della migrazione, affermando inoltre, con specifico riguardo alla ricollocazione per quote, come la stessa costituisca un fattore di grandi divisioni tra gli Stati e di come, in ogni caso, essa abbia condotto a scarsi risultati sul campo, dimostrandosi dunque una misura largamente inefficace.

Immediate e compatte le reazioni della Commissione, profondamente irritata verso Tusk che, peraltro, non è nuovo a simili esternazioni contro la ricollocazione per quote. Le parole del presidente del Consiglio europeo sono state definite inaccettabili dal commissario per l’Immigrazione, Dimitris Avramopoulos, che ha inoltre rimarcato l’importanza della solidarietà non solo come dovere morale e principio fondamentale del processo d’integrazione europea, ma anche e soprattutto come obbligo giuridico di natura pienamente vincolante.
Il presidente della Commissione Jean-Claude Juncker, dal canto suo, nelle dichiarazioni a chiusura del Consiglio europeo, ha rivendicato l’impatto positivo della ricollocazione, definendola “un successo” e, nel contempo, ha invitato a distendere i toni e ad assumere un atteggiamento di maggior “calma” sulla questione.
Sulla ricollocazione si è espresso anche il presidente del Parlamento europeo, Antonio Tajani, che ha ribadito l’importanza della solidarietà, sottolineando in particolare la volontà già espressa dal Parlamento di istituire un sistema obbligatorio, permanente ed automatico di ricollocazione per quote nel quadro della riforma di Dublino, invitando a tal fine il Consiglio a “fare al più presto la sua parte”.
La tensione continua
Lo scontro rimane aperto: nonostante la recente sentenza della Corte di giustizia e la procedura d’infrazione portata avanti dalla Commissione, i Paesi del gruppo di Visegrád appaiono compatti e non intenzionati a cedere sulla questione delle quote obbligatorie, che percepiscono come un ingiusto ed intollerabile attacco alla propria sovranità. Lo stesso Tusk, nelle osservazioni al termine del Vertice, ha dichiarato che “la controversia relativa alle quote obbligatorie non è ancora terminata”.
Si prospetta, insomma, un nuovo anno decisamente in salita sotto il profilo delle politiche migratorie europee, con la questione delle quote destinata ad essere ancora fattore di profonda divisione e di difficili compromessi.
Foto di copertina © Matteo Nardone/Pacific Press via ZUMA Wire