Libia: un compito più arduo per la Conferenza nazionale
Con il passare dei giorni e l’evolvere della situazione in Libia, appare maggiormente chiaro che la decisione della Camera dei Deputati (Cd) di approvare gli emendamenti proposti dall’inviato dell’Onu Ghassan Salameh, in assenza di una proposta congiunta della Cd e dell’Alto Consiglio di Stato (Acs), indebolisce piuttosto che rafforzare l’Accordo politico libico (Apl) e rischia quindi di compromettere gli scopi di riconciliazione e rinnovamento costituzionale della Conferenza nazionale.
La prima fase aveva il compito di creare un consenso politico nazionale nel quadro costituzionale esistente (l’Alp) in modo da poterne dibattere uno nuovo nella Conferenza nazionale. Fallita la prima fase , il compito di creare le basi di un consenso politico nazionale passa alla Conferenza o deve essere raggiunto in altro modo. Su questi temi, affrontati in una mia analisi di pochi giorni or sono su questo stesso webzine, è necessario qualche aggiornamento.
Tre proposte su come procedere
In questo momento sembrano esserci tre proposte su come procedere. Innanzitutto, c’è la proposta dell’Acs di procedere alle elezioni prima della Conferenza nazionale, che riflette molte esigenze, anche tattiche, ma che fondamentalmente si preoccupa del vuoto politico-istituzionale che oggi domina in Libia e punta a riempirlo con il voto degli elettori. Su questo punto, c’è già stato un ampio dibattito nel quale Salameh e la sua consigliera Claudia Gazzini hanno fermamente sostenuto che andare ad elezioni nel vuoto politico esistente rischia di ripetere l’esperienza del 2014, cioè di arrivare a risultati che poi i perdenti assolutamente non accetterebbero.
C’è poi la proposta ufficiale, quella di Salameh, che ha deciso di passare tout court alla seconda fase, facendo a meno degli aggiustamenti all’Apl. Ma così dovrà anche fare a meno del consenso politico-istituzionale cui quegli emendamenti miravano. Di conseguenza la Conferenza nazionale nella sua struttura e nella sua ispirazione politica dovrà essere ripensata. Attualmente il punto più discusso in Libia è che la Conferenza dovrebbe auspicabilmente essere tenuta in Libia piuttosto che all’estero: un punto rilevante che però non esaurisce le questioni politiche che stanno di fronte a questa scelta.
Infine, la giurista libica Ezza Kamel Maghour, in un suo scritto del 27 novembre, suggerisce di procedere, sì, alla Conferenza, ma solo marginalizzando nell’ambito dei suoi lavori il ruolo della Cd e dell’Acs (e accrescendo quello di altri soggetti politici finora esclusi) oppure solo dopo una previa riforma delle due istituzioni. Mentre l’attuazione di questa riforma sembra improbabile, il suggerimento di marginalizzarne il ruolo, e un’altra serie di raccomandazioni che la Maghour fa nel suo scritto, appaiono fattibili e ragionevoli e riempiono, almeno per ora, il vuoto dei propositi di Salameh (o ne anticipano la sostanza).
Le prossime scadenze e le prossime incognite
Le prossime settimane diranno dunque quale strada sarà stata scelta. È assai improbabile che ci siano nuove elezioni, così come è assai improbabile che si affronti adesso una riforma delle due istituzioni legislative. Il 17 dicembre viene a termine il mandato della Cd. C’è una proposta italiana al Consiglio di Sicurezza dell’Onu di prorogarlo: proposta che incontra opposizioni da altri Paesi, ma che soprattutto non ha più fondamento politico e appare dunque superata.
Gli accordi di Skhirat sono morti e in pratica un nuovo quadro politico-istituzionale deve essere stabilito: se non con nuove elezioni, sarà con la Conferenza nazionale, che si annuncia quindi come una sfida ben maggiore di quella che Salameh immaginava in settembre.