Austria: accordo Kurz-Strache, la destra al governo
Mentre in Germania, dove si era votato tre settimane prima, la formazione del governo è in alto mare, in Austria il negoziato tra Sebastian Kurz e Heinz-Christian Strache è andato avanti senza scosse e si è concluso prima di Natale, come promesso. Anche in Austria come in Germania c’erano i numeri per una riedizione della ‘Grosse Koalition’, ma non la volontà politica. Troppe le divergenze fra il partito del vincitore delle elezioni, la ‘nuova’ Övp, i vecchi ‘popolari’, e gli ex-alleati socialisti.
Più facilmente superabili, per quanto possa sembrare strano, quelle con la destra ‘libertaria’, l’Fpö. Notevoli anzi le convergenze programmatiche: riduzione del carico fiscale, snellimento della Amministrazione, rafforzamento della sicurezza (più fondi e personale alla Polizia), contenimento dell’immigrazione. Perciò già pochi giorni dopo il voto era chiaro che la coalizione si sarebbe fatta fra i ‘turchese’ (ex ‘neri’: Sebastian Kurz, il premier più giovane d’Europa, ha voluto cambiare persino il colore tradizionale del partito popolare) e gli ‘azzurri’.
Lo scoglio dell’Europa evitato e un patto dettagliato
Uno scoglio poteva essere la diversità di vedute sull’integrazione europea, anche se Strache aveva messo molta acqua nel suo vino nazionalista ed euroscettico. Ma Kurz, spalleggiato dal presidente della Repubblica Alexander van der Bellen, ha subito chiarito la propria indisponibilità a compromessi in questo campo. Grazie alla flessibilità mostrata da Strache ed alla abilità diplomatica del giovane Kurz, la trattativa si è svolta in un clima cordiale. Se è durata due mesi è perché si è voluto delineare un programma di governo dettagliato, in modo da evitare future contestazioni.
Le intese raggiunte non presentano aspetti clamorosi e non giustificano timori di derive ungaro-polacche. Si va dal bonus fiscale per i figli alla reintroduzione dei voti numerici nella scuola elementare, dalla riduzione del numero delle ‘casse malattia’ allo snellimento delle procedure per l’approvazione di grandi opere infrastrutturali, dalla tassazione dei profitti delle grandi aziende digitali all’obiettivo di coprire l’intero fabbisogno elettrico con le fonti di energia rinnovabili entro il 2030.
Punti programmatici più importanti, ma già concordati in partenza, i già menzionati tagli fiscali e di bilancio (con conseguenti riduzioni di talune prestazioni sociali), il rafforzamento della polizia e lo snellimento delle strutture amministrative. Quest’ultimo obiettivo comporterà una perdita di potere e risorse per i governatori dei Laender, in gran parte democristiani: in passato vi si sarebbero opposti con successo, ma Kurz aveva imposto loro la sua autorità indiscussa già nei mesi scorsi, dimostrando – a 31 anni – la sua abilità di stratega.
Tre nodi sono stati tagliati nel round finale: Strache ha avuto partita vinta sull’abrogazione del divieto di fumare nei caffè e ristoranti (che doveva entrare in vigore nel 2018); in cambio, ha rinunciato a rendere facoltativa l’iscrizione alle camere del lavoro. E ha ottenuto l’introduzione del referendum legislativo, ma con alcuni correttivi: gradualità, soglia più alta (petizione firmata dal 10% degli elettori, esclusione delle materie comunitarie). In sostanza, ha rinunciato ad attuare la sua promessa elettorale di lanciare al più presto una consultazione sulla bocciatura del Ceta, l’accordo di libero commercio Ue-Canada, osteggiato da ambientalisti e associazioni dei consumatori come un surrogato del defunto Ttip.
Migranti: passa la linea restrittiva, largamente scontata
Unico aspetto che possa interessare gli osservatori internazionali: la linea restrittiva sull’immigrazione, peraltro largamente scontata. Il nuovo governo fa una netta distinzione (più chiara in teoria che nella pratica!) fra diritto di asilo e migranti. Ci dobbiamo dunque attendere un accresciuto rigore nell’impedire che questi ultimi filtrino attraverso i valichi di Tarvisio e Brennero verso il Nord. E’ molto probabile che Vienna si schieri contro la modifica del regime di Dublino auspicata dall’Italia e dal Parlamento europeo e contro la ripartizione automatica dei migranti.
Solo in questo senso si può parlare di avvicinamento di Vienna al gruppo di Visegrad. Ma sarebbe arbitrario assimilare il nuovo governo a quelli di Budapest, Varsavia e Praga in termini di euroscetticismo o, peggio, di autoritarismo. Poteva al limite essere una preoccupazione l’anno scorso, quando nei sondaggi Strache aveva i numeri per aspirare alla cancelleria con l’appoggio dei democristiani, ma non ora, a parti invertite, come junior partner di un leader energico come Kurz.
Sabato 16, mentre a Praga i leader populisti e xenofobi Le Pen e Wilders attaccavano l’Ue e auspicavano la sua disgregazione, a Vienna il presidente van der Bellen e il neo-cancelliere ribadivano l’impegno dell’Austria all’integrazione europea; e Strache assentiva.
La nuova politica sull’immigrazione prevede, tra l’altro, un innalzamento a dieci anni del requisito di residenza per ottenere la naturalizzazione e un calmiere ai generosi sussidi sociali che costituiscono un incentivo a migrare verso l’Austria (verrà meno la piena parità con i cittadini, vi saranno più prestazioni in natura che in denaro); prevede però anche misure per l’integrazione, fra cui corsi di lingua e due anni di scuola materna. Non ci sono gli estremi per parlare di una politica xenofoba.
La suddivisione dei posti, il nodo degli Esteri
Nella compagine governativa il partito nazional-populista di Strache occupa sei poltrone ministeriali su 14, compresi i ministeri attinenti ai vari aspetti della sicurezza: Interno, Esteri, Difesa, Protezione civile. È dunque uno junior partner di peso. Va ricordato che è il secondo partito in tutti i Länder (salvo uno, dove però fa parte della coalizione al potere) e il primo in Carinzia, mentra la Övp di Kurz ha la maggioranza relativa a livello nazionale, ma è il terzo partito in due Länder, nonché a Vienna, Graz e Linz, cioè le città principali. Kurz non poteva perciò liquidare le pretese dell’alleato con qualche strapuntino.
Perplessità suscita in molti commentatori il fatto che stiano sotto uno stesso cappello non solo tutti gli ‘uomini in uniforme’, ma anche entrambi i servizi di informazione.
Kurz ha preferito cedere terreno all’alleato nel settore della sicurezza per assicurarsi il controllo di economia e giustizia. Voleva nominare alle Finanze l’ex-presidente della Corte dei Conti, Josef Moser: un chiaro segno che sui tagli a sovvenzioni e sprechi intende fare sul serio. Facendo una concessione ai governatori regionali, lo ha poi spostato alla Giustizia, ma in quanto titolare della riforma dello Stato e dell’amministrazione Moser potrà portare avanti pure quella agenda.
Oltre al posto di vice-cancelliere, Strache aveva chiesto e ottenuto per sé l’Interno, che poi (non essendo uno stakanovista) ha ceduto al proprio braccio destro Herbert Kickl, accontentandosi dello Sport. Non è invece riuscito a piazzare agli Esteri l’ex candidato alla presidenza della Repubblica Norbert Hofer, dirottato alle Infrastrutture. Ma ha avuto per uno dei suoi la Difesa, che non aveva chiesto.
La nomina di Hofer a capo della diplomazia avrebbe sicuramente nociuto all’immagine dell’Austria ed è infatti stata fortemente sconsigliata dal presidente van der Bellen. A quel posto va invece Karin Kneissl, una indipendente che solo recentemente si è avvicinata a Strache, fungendo da suo consigliere per la politica estera nella trattativa con i popolari.
Già giovane diplomatica dimissionaria per amore di indipendenza, divenuta docente e pubblicista, è considerata la migliore esperta austriaca di Medio Oriente (parla l’arabo, oltre a varie altre lingue, e ha studiato sia a Beirut che a Gerusalemme), ma ha approfondito molte altre problematiche e ha tutte le qualità per essere un ottimo ministro degli Esteri. Il coordinamento della politica comunitaria, anche in vista del semestre di presidenza austriaca del Consiglio dell’Ue – nella seconda metà del 2018 -, è però stato avocato a sé dal cancelliere.
Nell’insieme il nuovo governo ‘turchese-azzurro’ va visto senza allarmismi, anche se il partito di Strache rimane sostanzialmente affine al Front National di Marine Le Pen e alla Lega di Matteo Salvini. Kurz dovrebbe essere in grado di mantenere ferma la barra del timone e di non farsi imporre sbandate a destra. Forse il suo è un progetto ‘trasformista’, nel senso storico del termine: trasformare un partito nazional-populista in un partito liberal-conservatore. A Vienna la democrazia gode di ottima salute, non c’è motivo di temere un contagio ungherese. Solo in materia di contenimento dell’immigrazione – e qui si tocca un tasto delicato per l’Italia – non si può escludere un avvicinamento alle posizioni del gruppo di Visegrad.