Asean: le incompiute dell’integrazione regionale
Il 2017 ha visto non solo i sessant’anni della nascita dell’Unione europea, ma anche la celebrazione – durante il summit di Manila – dei cinquant’anni dell’Asean, l’Associazione delle nazioni del sud-est asiatico. L’organizzazione governativa nacque a Bangkok nel 1967 da un trattato siglato da Indonesia, Thailandia, Filippine, Singapore e Malesia.
Da allora, l’Asean (ad oggi costituita da dieci Stati) ha gestito con la Cina un rapporto regionale difficile che ha visto l’alternarsi di fasi di concorrenza a fasi di cooperazione, superando in parallelo due crisi economiche – una generata al suo interno, nel 1997, e l’altra ‘assorbita’ dall’esterno, nel 2008 – ed è approdata ai suoi primi cinquant’anni con ottimi risultati per l’economia.
Nel 1967 a Bangkok si sedettero al tavolo della trattativa cinque Paesi in via di sviluppo, vittime dello sfruttamento coloniale (Singapore aveva ottenuto la completa indipendenza appena due anni prima), che ambivano a migliorare le proprie economie attraverso una maggiore integrazione regionale. La premessa di un’alleanza strategica-economica erano la stabilità politica interna e le pacifiche relazioni i componenti dell’alleanza, come ricordato dall’allora premier singaporiano Lee Kwan Yew nel 1976.
Fra politica interna ed estera
In effetti, gli obiettivi principali dei Paesi Asean all’indomani della nascita dell’associazione erano la stabilizzazione della politica interna e la normalizzazione delle relazioni internazionali e dei rapporti nell’area. Non a caso, l’organizzazione internazionale è nata proprio durante la guerra americana in Vietnam, come atto diplomatico di risposta all’ingerenza straniera nella regione.
Uno degli impegni di pacificazione più consistenti con il quale le diplomazie Asean si sono misurate è stato poi la risoluzione del sanguinoso conflitto tra il Vietnam e la Cambogia. Questo capitolo della storia delle relazioni internazionali si concretizzò nelle pressioni diplomatiche ed economiche dell’Asean dapprima sul Vietnam, perché abbandonasse il territorio cambogiano in seguito all’invasione del 1977, e in seguito sulla Cambogia perché intraprendesse la strada verso la trasformazione in una forma di Stato non totalitario.
È indispensabile però sottolineare che, nonostante in quegli anni gli Stati dell’area più vicini al blocco orientale vedessero l’Asean come un’emanazione del blocco occidentale, questa assunse ben presto i caratteri di trasversalità e di alleanza strategico economica divenendo interprete a livello regionale dei principi espressi nella Conferenza afroasiatica di Bandung, all’origine del movimento dei non allineati.
Con la fine della Guerra Fredda, proprio in virtù della sua inclusività politica, l’organizzazione si completò ed oltre all’ingresso del Brunei (1984), vide quello di Vietnam (1995), Birmania e Laos (1997) e Cambogia (1999). A queste nazioni si sono aggiunte da quest’anno Timor Est e Papua Nuova Guinea come osservatori in attesa di adesione.
I vantaggi della Cina nel Wto
L’ingresso della Cina nell’Organizzazione mondiale del commercio (Wto), inizialmente percepito come fattore che avrebbe introdotto maggiore competizione economica nei confronti dei paesi Asean – in particolare per il vantaggio comparato nei prodotti industriali con prevalente componente lavoro e per la capacità di attrarre gli investimenti diretti esteri – si è rivelato tuttavia favorevole ai Paesi dell’organizzazione sud-est asiatica.
Con il suo ingresso nel Wto, Pechino ha dato infatti una spinta generale all’economia dell’area e l’Asean è riuscita ad approfittare della fluttuazione positiva dei mercati anziché subirne la concorrenza anche grazie ad una serie di accordi regionali che hanno implementato una struttura geo-economica win-win. Il più importante esempio di tale strategia è l’Asean-China Free Trade Agreement (Acfta), che istituisce un’area di libero scambio fra l’associazione dei dieci Paesi del sud-est asiatico e Pechino, nata da un accordo iniziale del 2002 ed entrata in vigore nel 2010.
L’Asean sembra aver quindi messo a frutto nel migliore dei modi la sua collocazione geografica in un’area di vitale importanza dal punto di vista economico, e questo soprattutto grazie a politiche commerciali inclusive e sfruttando il vantaggio comparato della sua produzione. L’organizzazione ha mantenuto una differenziazione nei commerci, fattore che è stato il suo punto di forza sinora, aiutando i Paesi membri da un lato a mantenere un vantaggio comparato appetibile in vari mercati molto differenti fra loro, dall’altro ad avere maggiore sbocco per la propria produzione del settore secondario e per i propri servizi.
Aec e Ue: affinità e divergenze
Nel 2015, gli Stati membri dell’Asean hanno dato vita a una comunità economica dell’area, l’Asean Economic Community (Aec). L’organizzazione ha così espresso in maniera più completa le proprie potenzialità commerciali ed ha iniziato il cammino verso una maggiore integrazione, ponendo la prima pietra per la creazione di un mercato che nel 2014 valeva nel suo complesso più di duemilacinquecento miliardi di dollari americani.
L’Aec è un ulteriore trattato economico-commerciale con il quale i Paesi Asean sono riusciti ad apportare un vantaggio alla propria condizione economica. Si resta tuttavia su un piano strategico sia con l’Aec (strategico-economico), sia con l’Asean Political-Security Community e con l’Asean Socio-Cultural Community, le altre due iniziative di integrazione del Segretariato Asean. La possibilità di un sostanziale passaggio da comunità di Stati a unione non è concettualmente prevista né nei trattati né nelle intenzioni del Segretariato e delle nazioni componenti. Se da un lato il parallelo con l’Unione europea ha quindi la sua importanza nel confronto fra i progressi economici delle due organizzazioni, esso la perde tuttavia sotto la lente della salute generale e dei progressi politici.
L’Aec gode di ottima salute economica – il volume di scambi commerciali con la Cina, che è il primo partner dell’Asean, ha raggiunto ad esempio oltre 346 miliardi di dollari nel 2015 -. L’armonia dell’organizzazione con il gigante cinese sembra dover continuare, quindi, dopo essersi consolidata grazie all’aiuto di Pechino nella risoluzione della crisi finanziaria scatenatasi a partire dalla Thailandia nel 1997, anche se l’Asean sta diversificando i suoi partner commerciali, includendo nei suoi scambi sempre più l’Ue.
L’Aec presenta tuttavia una carenza che salta agli occhi in special modo nel confronto con il sistema Ue: il livello dirigenziale non infatti ha ancor intrapreso una politica economica comune che consenta quantomeno la difesa dei propri interessi nei casi di emergenza (proprio come durante la crisi regionale del 1997/1998).
L’integrazione e l’attivismo economici dell’Asean rimangono in conclusione esempi da guardare con attenzione anche per l’Ue, così come il sistema Asean-Aec è un importante interlocutore commerciale, ma l’Associazione delle nazioni del sud-est asiatico non ha ancora fatto il salto di qualità necessario per intraprendere il lungo cammino verso una politica economica comune che l’Europa pare aver iniziato a seguito della crisi finanziaria.
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