Argentina: i Mapuche in lotta per le terre infiammano il G20
A fine novembre si è consumato l’ultimo atto della battaglia che vede opporsi, ormai da anni, la comunità Mapuche, che rivendica il diritto di occupazione delle proprie terre ancestrali in Patagonia (spesso di proprietà di multinazionali come Benetton e Levi’s), ed il governo argentino di Mauricio Macri. Il bilancio dello scontro – che avrebbe coinvolto alcuni membri del gruppo armato del movimento Mapuche, la Ram (Resistencia Ancestral Mapuche) – e una squadra di militari del gruppo Albatros della Prefectura Naval, è di un morto – il 22enne Rafel Nahuel – e due feriti.
I fatti hanno particolare rilevanza se considerati a seguito del ritrovamento, il 17 ottobre, del cadavere dell’attivista Santiago Maldonado, scomparso ad agosto durante una manifestazione per i diritti della comunità Mapuche a Cushamen, nella provincia del Chubut. Ma non solo.
Un recente scontro tra i Mapuche e le forze della Policia Federal e degli Albatros ha infatti avuto luogo a Villa Mascardi, a soli 35 chilometri da Bariloche, nella provincia del Rio Negro. Proprio a Bariloche si tiene dal 12 dicembre il secondo incontro preparatorio del G20, che si svolgerà alla fine del 2018 a Buenos Aires. In previsione del vertice, il governo Macri ha realizzato un piano di sicurezza eccezionale, che coinvolge circa mille effettivi delle forze di sicurezza e decine di mezzi.
Fra proteste di piazza e proroghe normative
La coalizione Cambiemos guidata dal presidente Macri, dopo la grande vittoria alle elezioni legislative del 22 ottobre scorso, si gioca adesso una partita importantissima a livello internazionale con la realizzazione del Vertice cui parteciperanno ministri della Finanza e diversi funzionari dei Paesi membri del G20. La questione delle terre indigene potrebbe complicare ulteriormente la già difficile situazione con l’opinione pubblica.
La scomparsa di Santiago Maldonando il 1° agosto aveva infatti dato inizio ad una forte campagna di sensibilizzazione da parte di Amnesty International e ad una grandissima mobilitazione da parte del popolo argentino. Intanto, il 26 novembre circa 5 mila persone si erano riunite davanti alla Casa Rosada per manifestare l’indignazione per la morte di Nahuel e chiedere le dimissioni del ministro della Sicurezza Patricia Bullrich.
Poche settimane prima, la Camera dei deputati del Parlamento argentino aveva approvato all’unanimità la terza proroga della legge 26160, confermando la posizione già espressa dal Senato il 27 settembre. La legge 26160, adottata la prima volta nel novembre 2006 con termine quadriennale, stabilisce norme emergenziali in materia di possesso e proprietà delle terre tradizionalmente occupate dalle comunità native originarie del Paese e la cui entità giuridica sia stata iscritta nel Registro nazionale delle comunità indigene.
La legge, già prorogata di quattro anni nel 2009, nel 2013 e quest’anno fino al 2021, prevede che dalla data di decorrenza sia sospesa l’esecuzione di sentenze ed atti processuali o amministrativi il cui soggetto sia lo sgombero di queste comunità dalle terre menzionate. Il decreto 1122/2007, contenente misure d’attuazione della legge, stabilisce inoltre che oggetto della disposizione siano non solo le comunità indigene iscritte nel Registro nazionale, ma anche quelle “preesistenti”, specificando che con “preesistenti” ci si riferisce alle comunità appartenenti a un popolo indigeno preesistente che abbiano o meno registrata la propria entità giuridica nel suddetto Registro o presso un organo provinciale competente. Una specificazione che amplia di molto il raggio d’azione della legge.

Sgomberi, scontri e quei terreni Benetton
Le continue proroghe della legge 26160 sarebbero state realizzate per assicurare una risoluzione completa e efficace alla “questione dei popoli indigeni”. Dovrebbero infatti permettere all’Instituto Nacional de Asuntos Indigenas (Inai), di concludere i sopralluoghi catastali per la registrazione delle diverse comunità. Lavoro che si sarebbe dovuto concludere già da otto anni e che, invece – secondo dati ufficiali – avrebbe ad oggi riconosciuto solo 759 delle 1532 comunità originarie argentine, che corrisponderebbero al 49% del totale.
Nonostante le risoluzioni adottate in questi anni, però, il governo Macri sembra non riuscire a riportare su un binario prettamente legale la disputa con la comunità Mapuche, che adesso potrebbe approfittare dell’occasione fornita dal G20 per un’altra offensiva contro il governo. Difficile prevedere se questa offensiva si realizzerà secondo i principi pacifici delle manifestazioni e delle occupazioni di terreni o secondo i metodi di rappresaglia armata spesso realizzati dai membri della Ram.
Il 2017 si è rivelato un anno fondamentale nell’evoluzione della vicenda dei Mapuche; un anno di particolare violenza se consideriamo gli scontri che hanno coinvolto le comunità indigene e le forze di sicurezza. I fatti di Villa Mascardi sono infatti solo gli ultimi in ordine di tempo in questa guerra intestina. A gennaio, le forze di sicurezza si erano violentemente scontrate con la comunità Mapuche di Cushamen, con l’intento di sgomberare la ferrovia della Trochita dallo sbarramento di protesta per la rivendicazione di alcuni territori della Compania de Tierras del Sur Argentino, azienda del gruppo Benetton.
Il 1° agosto, sempre a Cushamen, altri scontri con la Gendarmería hanno seguito una manifestazione di protesta, iniziata per lo sgombero di alcune famiglie che si erano insediate nei terreni di proprietà Benetton. Neanche l’arresto di Facundo Jones Huala, identificato dalle autorità come il leader della Ram e fautore di numerose azioni di rappresaglia, sembra aver smorzato le rivendicazioni Mapuche.
Garanzie per le popolazioni native
I principi e le disposizioni legali e costituzionali per la risoluzione pacifica della questione storica dei Mapuche esisterebbero, almeno sulla carta. Anche costituzionale. Oltre alla legge 26160, infatti, la Costituzione argentina prevede – al comma 17 dell’articolo 75 -, che la preesistenza etnica e culturale dei popoli indigeni venga riconosciuta e che, più concretamente, vengano riconosciute giuridicamente queste comunità ed il possesso e la proprietà delle terre che tradizionalmente occupano. La disposizione stabilisce, inoltre, anche i loro diritti all’educazione, alla cultura ed alla partecipazione alla gestione delle risorse naturali e degli interessi che le riguardano.
Lo scontro politico tra il governo argentino ed i Mapuche – che con il caso Maldonado è salito agli onori della cronaca internazionale – ha un’importanza che valica le frontiere nazionali e che, probabilmente, avrà grandissima rilevanza in ambito interamericano. Soprattutto se consideriamo che nel giugno 2016, dopo 17 anni di negoziati, l’Organizzazione degli Stati americani (Osa) ha adottato la Dichiarazione americana sui diritti delle popolazioni native, ritenendo quindi necessaria e fondamentale una risoluzione della conflittualità che in tutto il continente divide i governi degli Stati nazionali e le comunità indigene originarie delle diverse regioni.
Adesso bisognerebbe iniziare un dialogo concreto che porti a concludere accordi che consentano alle comunità indigene una sistemazione temporanea nelle proprie terre ancestrali, come previsto per legge. Ma non sarà facile riunire pacificamente al tavolo delle trattative le forze di governo, le comunità del popolo Mapuche e le grandi multinazionali che sono proprietarie dei terreni oggetto della disputa.
Foto di copertina © Julietta Ferrario/ZUMA Wire/ZUMAPRESS.com