Arabia Saudita: la visione saudita, tra speranze e incognite
L’ Arabia Saudita sembra essere entrata in una fase di iperattivismo. Le ultime settimane, infatti, hanno visto l’apertura di nuovi fronti capaci di incidere decisamente sul futuro del Regno saudita e di tutto il Medio Oriente. Innanzitutto, il 24 ottobre, è stata annunciata la costruzione di Neom, progetto visionario capace di proiettare l’Arabia Saudita – se portato a termine con successo – tra i principali poli di innovazione a livello globale. Nel corso dell’evento di presentazione di Neom, il giovane principe Mohammed bin Salman ha rivelato la volontà di riportare il Paese a una visione moderata dell’Islam, proposito che segnerebbe una svolta storica nel rapporto del Regno con la religione musulmana.
Pochi giorni più tardi, il 4 novembre, c’è stata una duplice sorpresa: l’arresto di numerose figure di spicco saudite – tra cui 11 principi e svariati ministri ed ex-ministri –, nell’ambito della nuova politica anti-corruzione, e le dimissioni di Saad Hariri, premier libanese, che ha annunciato le proprie intenzioni proprio da Riad – probabilmente sotto pressioni saudite -, salvo poi ripensarci al rientro a Beirut. Tutti avvenimenti legati da un filo rosso: la volontà dell’ Arabia Saudita di cambiare volto, prevalere – o, quanto meno, non essere sconfitta – nella competizione con l’Iran e diventare sempre più un attore pivot in Medio Oriente.
La visione socioeconomica
Per riuscire nell’intento di elevarsi a potenza regionale occorre costruire delle solide fondamenta interne. Per questa ragione Mohammed bin Salman – il ministro della Difesa di 32 anni nominato, a giugno, erede al trono – sta spingendo per operare una trasformazione decisa della vita politica nel Regno. La svolta è stata annunciata nell’aprile 2016 con la presentazione del progetto Saudi Vision 2030. L’obiettivo dichiarato è quello di proiettare l’ Arabia Saudita nel futuro e l’annuncio di Neom rientra perfettamente in questo schema. A partire dal nome – abbreviazione di nuovo, Neo, e futuro, M(ostaqbal) – il progetto appare decisamente visionario.
Con una superficie di oltre 26.500km2 sarà la prima zona speciale estesa su tre Paesi – oltre all’ Arabia Saudita, Egitto e Giordania – e sarà indipendente dal Regno in moltissimi ambiti legislativi. Nell’idea di partenza i servizi pubblici sono immaginati come completamente automatizzati e le mansioni più ripetitive e stancanti affidati a una forza lavoro robotica. Nove saranno i settori di primario interesse per la nuova metropoli: (1) energia e acqua, (2) mobilità, (3) biotecnologie, (4) cibo, (5) tecnologia e scienze digitali, (6) manifattura avanzata, (7) media, (8) divertimento e (9) stabilire un nuovo standard di vita per la città del domani.
L’obiettivo di superare ogni altra metropoli è sicuramente ambizioso, ma le premesse di partenza sono interessanti. La contemporanea svolta verso la moderazione dell’Islam nel Regno – la decisione di consentire alle donne di guidare ne è un esempio – è una componente essenziale del progetto. Come sostenuto dallo stesso MbS, infatti, senza lo stabilimento di un nuovo contratto sociale tra cittadini e Stato – capace di guardare soprattutto ai giovani, dato che il 70% della popolazione saudita ha meno di trent’anni – qualsiasi riforma economica è destinata a fallire.
Il nuovo fronte esterno
Infine, per portare a compimento un progetto di tale portata è prioritario rimuovere i possibili ostacoli sul percorso. I recenti arresti, dunque, sono da leggere nel’’ottica di un rafforzamento del potere del futuro monarca, in vista di una successione al trono che non dovrebbe essere troppo distante.
Alle sfide interne, poi, si aggiungono le problematiche connesse alla difficile posizione del Regno nella regione. L’ascesa costante dell’Iran, avversario storico di Riad, ha messo sempre più in allarme i sauditi che, dopo avere sostenuto a lungo le milizie sunnite siriane, si sono lanciati nel 2015 in una guerra nello Yemen ancora irrisolta.
Le dimissioni di Hariri sono l’ultimo tassello in una lotta decennale tra Teheran e Riad. La forza dell’Iran in Libano, infatti, è ai massimi storici, con Hezbollah galvanizzata dai successi ottenuti in territorio siriano – nonostante i costanti attacchi israeliani – e sempre più influente nella vita del Paese dei Cedri. Le pressioni su Hariri, protetto dai sauditi, sembrano indicare la volontà delle élite del Regno di aprire un nuovo fronte al fine di contrastare più attivamente la longa manus iraniana nell’area. Nonostante la possibilità che il premier libanese ritiri le dimissioni in cambio di un accordo politico accettabile – volto, probabilmente, a impedire ai cittadini del Paese di prendere parte ai conflitti nell’area –, la situazione in Libano resta tesa ed a rischio di degenerare in poche ore.
Decennio cruciale
Indubbiamente i prossimi anni si riveleranno fondamentali per comprendere le reali possibilità dell’ Arabia Saudita di raggiungere – almeno parzialmente – gli obiettivi che si è data. Sia a livello interno che esterno, infatti, le incognite sono molte. La rinuncia di Riad al wahabismo – o, almeno, alle sue espressioni più radicali – è qualcosa di estremamente complesso, nonostante le forze che da tempo si muovono in tale direzione. La parte più anziana del clero e della società saudita, infatti, non lascerà svanire secoli di convinzioni religiose senza opposizione.
L’ascesa di un clero più giovane – e aperto alle novità prospettate dai social media – così come l’ampia maggioranza di cittadini under-trenta potrebbero favorire l’azione di MbS, ma le difficoltà sul percorso, vista anche la necessità congiunta di trasformazione economica, non saranno poche.
In politica estera, poi, le sfide appaiono altrettanto notevoli. Negli ultimi anni, infatti, il peso iraniano nella regione è cresciuto decisamente e la firma nel 2015 dell’Iran Deal, cioè dell’accordo sul nucleare, ha contribuito al suo ulteriore rafforzamento. Il recupero di Assad – ed Hezbollah – in Siria, gli aspri dissidi con il Qatar e l’incapacità di prevalere nel conflitto in Yemen hanno, al contrario, indebolito la posizione saudita. Per prevalere, il Regno dovrà cercare di stabilire nuove partnership e rafforzare quelle di lungo corso.
Gli Stati Uniti di Donald Trump non possono che essere il principale alleato nello scontro con Teheran, ma, indubbiamente, una storica apertura verso Israele sarebbe la soluzione migliore per sparigliare le carte in tavola e recuperare terreno nei confronti dell’Iran. L’annuncio di Neom – che sorgerà molto vicina allo Stato ebraico e sposterà verso Occidente il baricentro saudita – e le sempre più numerose voci su una possibile svolta diplomatica tra Riad e Gerusalemme potrebbero rivelarsi un segnale importante in tale direzione.