Siria: l’equazione di Putin ha ancora molte incognite
Attendiamo ora il piano di pace a guida russa che dovrebbe essere varato con l’avvio di un ‘Congresso della Nazione siriana’ il 2 dicembre a Sochi. Il sedicente Stato islamico, l’Isis, è stato sconfitto e sta spostando i suoi combattenti altrove. Si tratta di riorganizzare la Siria.
Non sarà uno smembramento del Paese, una Sykes-Picot 2.0, come autorevoli commentatori hanno preconizzato, forse su impulso di attori esterni interessati. Tutte le risoluzioni e dichiarazioni ufficiali di questi anni, a partire dall’Action Plan di Kofi Annan agli albori della crisi nel 2012, sanciscono integrità territoriale e sovranità del Paese.
Smembrare significa ridisegnare confini e territori e nessuno può immaginare che ciò possa avvenire senza ripercussioni nel vicinato, ed oltre. A suo tempo, la ex-Jugoslavia fu sì smantellata per dare riscontro ai popoli che chiedevano l’indipendenza da Belgrado, ma si salvaguardarono le Repubbliche entro i confini esistenti, ognuna con minoranze al proprio interno, puntando piuttosto a una governance inclusiva e democratica. Anche al costo di una difficile gestione di Bosnia e Kossovo, ancora in corso. Nel caso della Siria poi, sarebbe come dare il via ad un effetto domino dalle mille incognite; e certamente a ulteriori conflitti e distruzioni.
Un programma di lavoro che tiene conto delle aspettative di tutti (o quasi)
Così, Putin, avendo consultato tutti i protagonisti regionali e internazionali della crisi – da Donald Trump al saudita Bin Salman e al qatarino Al-Thani, senza dimenticare l’egiziano Al-Sisi, e naturalmente i vari Erdogan, Rohani e la guida suprema Khamenei, nonché Netanyahu e lo stesso Assad, convocato nei giorni scorsi a Sochi -, si predispone a far approvare un programma di lavoro che, senza muovere i confini, rifletta il più possibile aspirazioni e aspettative che sono state per anni cruciale con-causa della guerra civile. A cominciare dalle proprie.
Appena in tempo per sgombrare il campo dal conflitto, prima delle elezioni presidenziali del marzo 2018. Se il piano avrà successo, Putin avrà conseguito i suoi obiettivi, in primis mantenere la presa in Siria e più oltre in Medio Oriente e dimostrare al mondo che la Russia è tornata ad essere una potenza globale. Gli va riconosciuta la determinazione, e la volontà di ricucire, sulla scorta di un possente dispositivo militare in loco, la complessa tela di interessi concorrenti. Un’impresa resa possibile, tuttavia, dalla collaborazione di fatto instauratasi in questi anni con gli Stati Uniti; e non solo per evitare incidenti sugli affollati cieli siriani.
Compromessi, aree di influenza e Siria utile
Come si configurerebbe il compromesso? In larga parte come un consolidamento delle ‘aree di influenza’ che l’andamento della guerra e poi le intese sul graduale cessate-il-fuoco concordato ad Astana dalla triade Russia-Iran-Turchia in maggio, nonché gli intensi contatti bilaterali russo-americani, hanno prefigurato. La chiave di volta sarebbe il mantenimento della presenza militare sia di Mosca che di Washington, che è stata funzionale nel primo caso alla preservazione del regime di Assad e nel secondo al contrasto e all’abbattimento dell’Isis.
Trump, interrompendo da ultimo gli aiuti all’opposizione cosiddetta moderata, ha chiaramente segnalato l’accettazione, almeno in via transitoria, di Assad al tavolo di negoziato e nella cosiddetta ‘Siria utile’, ove sono posizionate le basi russe di Tartus e Khmeimin ed altre in via di allestimento. In cambio, Mosca accetterebbe che Washington consolidi i presidi militari a Nord-Est nelle zone da assegnare ai curdi e all’opposizione filo-turca e filo-saudita, e a Sud nell’area adiacente a Giordania e Israele. Facendosi in tal modo garante dell’autonomia dei curdi che hanno combattuto al suo fianco e al contempo della sicurezza della Turchia contro i paventati collegamenti con il terrorismo interno del Pkk (non è la zona-cuscinetto invocata da Erdogan, ma l’effetto potrebbe essere simile), nonché di una vigilanza, o deterrenza, a Sud rispetto a incursioni di Hezbollah paventate soprattutto da Israele.
Una possibilità, ancora nessuna certezza e molti interrogativi
Nulla di una tale organizzazione territoriale è per ora garantito. Permangono molti interrogativi. Anzitutto se e come il ‘Congresso della Nazione Siriana’ promosso da Putin sarà effettivamente inclusivo e in grado di procedere alla riforma costituzionale e a nuove elezioni generali, secondo un’idea del resto prevista dal sopracitato Piano Annan. Oppure se rimarrà bloccato ancor prima di avviare i lavori sulla rappresentatività dei delegati che vi saranno invitati.
Ad esempio, l’opposizione filo-turca e filo-saudita, che in questi mesi sta impegnandosi nell’organizzazione di Consigli amministrativi locali nelle zone residuali non riconquistate da Damasco, continua ad insistere sull’esclusione assoluta di Assad in quanto colpevole di crimini di guerra e contro l’umanità. Incerta è pure la partecipazione al Congresso dei curdi, mai finora invitati a Ginevra, su cui potrebbe pendere una rinnovata richiesta di Ankara di ulteriori garanzie.
Si tratterà poi di vedere, ove i lavori dovessero effettivamente prendere piede, se i principi in base ai quali ricostruire la nuova Siria, essenzialmente rispetto dei diritti umani e delle minoranze e libertà economica, saranno da tutti accettati e in che misura, considerato il non brillante esempio di taluni referenti del vicinato. E soprattutto se le mire egemoniche dei protagonisti regionali potranno placarsi.
L’incognita più grave potrebbe riguardare l’Iran, che emerge dalla guerra con un sostanziale avanzamento della sua influenza sulla traiettoria del Mediterraneo, da sempre obiettivo prioritario. Traiettoria che Washington potrebbe tuttavia bloccare dalla base di Al-Tanf e da quelle in Iraq, ove Trump desse seguito concreto alla definizione del Paese come “the most destabilizing factor in the Middle East” esplicitata a Riad il 21 maggio.
E ove l’energico saudita Bin Salman, insoddisfatto dello ‘schema Putin’, s’avventurasse in un confronto che da Siria (e Yemen) si estenda anche al Libano, come parrebbero segnalare alcune battute. Vorranno gli Usa intervenire su Riad a favore del negoziato siriano? E vorrà, o meglio potrà, Putin convincere Teheran che il ‘compromesso’ sulla Siria potrebbe interrompere utilmente una partita per l’egemonia in area già densa di incognite?