Populismo globale: i casi di Usa e Italia a confronto
Un anno fa il mondo assisteva attonito alla vittoria di Donald Trump nelle elezioni presidenziali degli Stati Uniti. In Europa, diversi Paesi hanno rinnovato la direzione politica in questi ultimi 12 mesi e l’Italia si prepara alle elezioni del 2018, avendo finalmente approvato la nuova legge elettorale. Tutti questi eventi politici sono stati caratterizzati da un elemento comune: l’uso diffusissimo dell’aggettivo “populista” per definire una o più parti politiche in corsa. Populismo è diventato ormai un termine quotidiano nel dibattito politico e mediatico. Ma cos’è davvero il fenomeno populista? E davvero può comprendere movimenti politici di due realtà così lontane come quelle italiana e statunitense? Proviamo ad analizzare i parallelismi tra questi due situazioni.
Cas Mudde nel suo “The populist Zeitgeist” (2004) definisce il populismo “un’ideologia che considera la società come separata in due gruppi omogenei e antagonisti, ‘il popolo puro’ e ‘l’élite corrotta’, e che ritiene che la politica dovrebbe essere l’espressione della volonté générale del popolo”: un’ideologia che emerge dalla disillusione e delusione generate dalla corruzione degli ideali democratici e dal divario tra la democrazia ideale e la realtà pragmatica. Questi fattori possono essere ulteriormente fomentati da un’eventuale situazione di crisi economica e politica che portino gli elettori a rivolgere lo sguardo (e il voto) verso alternative politicamente nuove, ma già conosciute e ritenute affidabili.
Usa e Italia, analogie e differenze delle ondate populiste
Quando Trump vinse le elezioni del novembre 2016, l’economia statunitense stava vivendo una fase di ripresa dalla crisi: il Pil e il tasso di occupazione crescevano da molti trimestri dopo anni di caduta (fonte: World Bank e U.S. Bureau of Statistics) e la speranza di consolidare questo tanto atteso trend positivo rese parte della popolazione più propensa a votare per un candidato dallo slogan altisonante: “Make America great again” dava speranza, e magari illudeva, specialmente quella classe media così danneggiata dalla crisi che aveva colpito l’economia mondiale dal 2008. Si vedeva un’opportunità di cambiamento della direzione del Paese dopo due mandati di Barack Obama: una nuova faccia, un nuovo inizio e prospettive migliori per l’America.
Analoga, sebbene diversa, la situazione italiana: il consolidamento del successo politico del Movimento 5 Stelle ha infatti coinciso con un nuovo arretramento del Pil italiano nel 2014 dopo un periodo di debole crescita (fonte: World Bank e ISTAT), il che fece temere agli elettori che una nuova crisi economica fosse incombente. Questa si sarebbe sommata all’instabilità politica di cui il Paese era (e resta) afflitto: dal 2011 a oggi, il governo italiano è cambiato quattro volte. Le promesse di Beppe Grillo di sostituire la classe politica corrotta con l’uso della democrazia diretta e di adottare misure che rispondano alle priorità dell’italiano medio costituivano – e costituiscono – un panorama allettante, nella situazione di esasperazione del Paese.
Desiderio di novità e preoccupazione per l’economia sono dunque due fattori che accomunano le società all’alba del successo politico dei movimenti populisti, così come potrebbero accomunare tutti i Paesi che escono da crisi di diverso tipo e guardano a tornate elettorali. Ma non basta: per raccogliere i voti dei delusi bisogna anche infondere fiducia.
Usa e Italia, analogie e differenze dei leader populisti
Il 45o presidente degli Stati Uniti cominciò la sua carriera di business man con un “piccolo” prestito di un milione di dollari da suo padre per costruire quello che oggi è a tutti gli effetti un impero finanziario e immobiliare: ereditata la Elizabeth Trump and Son (oggi The Trump Organization) nel 1971, le sue proprietà includono oggi diverse tenute in Virginia, Connecticut, Nevada, Hawaii, Canada, Gran Bretagna, India, Uruguay, una catena di hotel di lusso, linee di cosmetici e gioielleria, casino e investimenti meno conosciuti, ma non meno importanti.
La figura di Trump è, insomma, facilmente associata a un certo livello di benessere, successo personale e capacità gestionali che superano l’esperienza politica nella scala di valori degli elettori americani. Alla domanda posta dai giornali The Washington Post e The Guardian “Perché ha votato per Donald Trump?”, Nate, 58 anni, risponde: “Perché penso che sarà un buon presidente, sa come fare affari e stringere accordi che faranno prosperare di nuovo l’America”.
Beppe Grillo è stato meno esposto ai riflettori internazionali, ma non a quelli italiani e nel senso letterale del termine: associato a valori e stili di vita precisi ben prima della sua entrata nell’arena politica, diventa famoso per apparizioni televisive, show e commedie fino alla conduzione di ‘Grillometro’. Una battuta su Bettino Craxi e sul Psi durante Fantastico 7 nel 1986 gli costa l’esilio televisivo, ma contribuisce alla costruzione della sua immagine di personaggio anti-establishment, che verrà poi ripresa e sviluppata nei valori del M5S: anche se il comico ne rifiuta il ruolo di leader, l’identificazione dei membri del Movimento con l’iconica figura e le idee di Grillo è evidente fin dal nome “grillini”.
Un ulteriore elemento di parallelismo tra Trump e Grillo è il rapporto conflittuale con i mass media: con le denunce di fake news e corruzione, di presunti limiti imposti dai governi alla libertà di stampa, i due politici delegittimano le maggiori testate di informazione. Queste non sono più viste quindi come fonti attendibili e la popolazione guarda a figure esterne e apparentemente imparziali, non coinvolte nei giochi di potere: Trump e Grillo risultano così essere due ‘paladini’ della libertà di parola ed espressione.
Di fronte all’ondata del populismo, dubbi e interrogativi
La crescita delle disuguaglianze, il clima di sfiducia e frustrazione dei cittadini nel confronti dello Stato e della classe politica si osservano nell’Europa investita da quella che è stata definita ” un’ondata di populismo “: Francia, Spagna, Polonia, Germania, Austria, Ucraina offrono alcuni esempi. Il populismo sembrerebbe quindi un fenomeno internazionale: uno sviluppo politico che accomuna diverse realtà, ma che può anche essere sconfitto da fattori culturali e circostanze riconducibili alla dimensioni prettamente nazionale. Il Front National ha passato il primo turno alle ultime elezioni presidenziali francesi, causando allarme e confusione nel sistema internazionale, ma è stato poi ‘stoppato’ al ballottaggio dall’elettorato transalpino, che ancora riconosce e confida nei valori democratici.
Dato il livello internazionale della preoccupazione e coinvolgimento, c’è da chiedersi se sia realistico affrontare il fenomeno populista sfruttando i fattori politici e le inclinazioni nazionali per costruire una strategia comune. Puntare, cioè, su una supervisione democratica di fenomeni emergenti sul piano nazionale, ma internazionalmente connessi.