Nuova Zelanda: incognite dal governo di laburisti e nazionalisti
Jacinda Ardern, proveniente da una famiglia di estrazione media originaria della città di Hamilton e leader del Partito laburista neozelandese, è il nuovo primo ministro della Nuova Zelanda, la seconda donna dopo Helen Clark. La Ardern, che si è ufficialmente insediata il 26 ottobre si erge a rappresentante delle istanze sociali. Alla guida da circa tre mesi di un partito socialdemocratico e progressista, deve affrontare un compito non da poco: conciliare le esigenze degli strati sociali dei lavoratori, che hanno percepito un eccessivo deterioramento delle loro condizioni in nome dei risultati dell’economia del Paese, con quelle delle riforme in senso liberale per il bene della struttura produttiva neozelandese. Il tutto in un delicato momento per l’area del Pacifico, che vede le tensioni causate dalla Corea del Nord unirsi al deterioramento delle condizioni di sicurezza legate alla diaspora degli ex-foreign fighters nell’Asia del Sud.
Crescita economica e voglia di cambiamento
Il governo di Wellington ha avuto una crescita economica del 3,9% nel 2016, ottenendo quindi un pregevole risultato, il tutto grazie alla flessibilità del mercato del lavoro ed alle riforme liberali del governo in carica sino ad oggi. Il National Party (Np), forza di centrodestra, era alla guida dell’esecutivo dello Stato insulare dal 2008, ma ha ceduto il passo alla rocambolesca vittoria del Labour Party della Ardern. I laburisti hanno infatti ottenuto solamente 46 seggi, contro i 56 degli uscenti dell’Np. Come da protocollo per la formazione del governo, si è poi proceduto a delle consultazioni che garantissero ad una coalizione di ottenere la maggioranza assoluta (61 seggi). I laburisti della Ardern si sono quindi coalizzati con il Partito dei Verdi (che ha ottenuto 8 seggi) e, dopo varie trattative, con i populisti del New Zealand First (Nzf, 9 seggi).
Il risultato sarà un governo che dovrà da una parte cercare di mantenere il passo con la crescita economica, e dall’altra accontentare le istanze di un elettorato che – come ha ben sottolineato Jacinda Ardern – ha dimostrato incontrovertibilmente la voglia di cambiare di andare contro uno status quo che dura da troppo tempo nelle due isole della Nuova Zelanda, portando a importanti limitazioni per i lavoratori.
New Zealand First: il calcolo dell’alleanza
Per dare le risposte che i votanti si aspettano dalla nuova premier, sarà importante soprattutto tenere sotto controllo il valore del capitale immobiliare e bilanciare al meglio la domanda/offerta di lavoro, che potrebbe subire variazioni impreviste a causa di una politica dell’immigrazione piuttosto aperta. Durante la campagna elettorale, i laburisti hanno cavalcato le paure e le incertezze economiche delle classi lavoratrici (soprattutto per quanto riguarda il mercato immobiliare e i servizi sanitari), sfruttando l’immagine diplomatica e comunicativa della sua rappresentante. Adesso, però, dovranno dimostrare la fondatezza delle loro promesse con un compagno di maggioranza che potrebbe non concedere ampi spazi di manovra: il Nzf di Winston Peters.
Il New Zealand First, partito di estrazione populista e nazionalista, è stato a sorpresa l’ago della bilancia elettorale che ha sottratto il governo al centrodestra del premier uscente Bill English. Al di là della condivisione di punti del programma elettorale (stretta sull’immigrazione e limitazione degli investimenti diretti esteri sui capitali immobiliari), la decisione di entrare nella coalizione di sinistra è essenzialmente di natura tattica e di opportunità. Infatti, l’ingresso in una ipotetica coalizione liberale avrebbe ridotto il peso contrattuale del Nzf. Peters ha ottenuto, a seguito delle consultazioni, gli importanti incarichi di vice della Ardern e di ministro degli Esteri, così di fatto segnalando la pesante influenza del partito sul nuovo governo. Le limitazioni in senso populista dell’azione del nuovo governo sono quindi una incognita per il futuro di Wellington.
Tendenze illiberali nel Pacifico
Non appena avuta notizia della formazione del governo, il presidente americano Donald Trump ha telefonato alla Ardern per congratularsi. Con l’insediamento di un esecutivo a guida socialista ma dalle venature populiste e chiuso verso l’immigrazione si aggiunge a quello guidato da Rodrigo Duterte nelle Filippine un altro governo non apertamente liberale nell’area del Pacifico.
D’altronde, il risultato delle elezioni in Nuova Zelanda è dipeso anche da timori dettati dalla situazione internazionale: l’immigrazione rischia di avere conseguenze sulla sicurezza interna. Nella regione pacifica, infatti, si stanno creando poli di estremismo islamico che raccolgono ex-foreign fighters del sedicente Stato islamico in fuga da Siria e Iraq.
L’accresciuto peso del populismo anche a Wellington è stato frutto di una carenza nella gestione della situazione da parte delle organizzazioni internazionali della regione che non hanno saputo dare risposte a tale senso di insicurezza. La speranza è che i laburisti sappiano trovare insieme alle forze populiste la strada mediana giusta fra le riforme liberali e le politiche sociali di cui la Nuova Zelanda ha bisogno per mantenere i positivi risultati economici e di sviluppo raggiunti sinora.
Foto di copertina © Su Liang/Xinhua via ZUMA Wire