IAI
Elezioni e opportunità

Ue: da un voto all’altro, il supplizio del pendolo in Europa

13 Ott 2017 - Riccardo Perissich - Riccardo Perissich

E la luce fu. Dopo un annus horribilis che ci aveva dato Brexit, Trump e una serie ininterrotta di successi populisti nelle urne e nei sondaggi, le elezioni olandesi ma soprattutto francesi avevano dato un segnale chiaro che la marea in Europa cominciava a rifluire. La marcia trionfale di Macron verso l’insediamento sulle note dell’inno europeo fu accolta con incoraggiante entusiasmo a Berlino. Anche sull’onda di una sempre più consolidata ripresa economica, il nuovo “vento nelle vele dell’ Europa” ha trovato espressione prima nel discorso di Juncker sullo stato dell’Unione, poi in quello di Macron alla Sorbona.

Il contraccolpo delle elezioni tedesche
Eccoci alle elezioni tedesche: un risultato in parte prevedibile, ma peggiore delle attese. Il giudizio più diffuso è che ciò renderà più difficili aperture verso le proposte di Juncker e di Macron. Gli analisti più accorti si sono però affrettati a spiegare che nemmeno l’auspicata riconduzione della ‘grande coalizione’ avrebbe costituito una passeggiata per il dialogo; il breve testamento politico consegnato da Schaeuble all’ultimo Ecofin ne è una chiara testimonianza.

Quanto basta per decretare la fine delle grandi speranze e descrivere un’ Europa orfana di una Merkel in declino e nelle mani di un presidente francese ancora troppo fragile e persino troppo ‘gollista’. In questo senso, a conferma che il riflusso della marea è solo parziale, sono intervenuti anche altri attori: da una parte governi come l’olandese, l’austriaco e gli scandinavi condizionati da un’opinione pubblica reticente; dall’altra i Paesi del Gruppo di Visegrad prevalentemente sovranisti e timorosi di essere relegati ai margini di un’Europa a cerchi concentrici.

La finestra d’opportunità s’è già chiusa?
È sufficiente questo movimento del pendolo, particolarmente destabilizzante per il dibattito italiano, per dire che avevamo scherzato e che la finestra di opportunità citata da Juncker si è rapidamente chiusa? La risposta è: non necessariamente, ma a condizione di affrontare i problemi per il verso giusto. In primo luogo, non si può dimenticare che Macron e Merkel hanno investito sull’ Europa, rispettivamente nel loro primo e ultimo mandato, troppo capitale politico per rassegnarsi facilmente alla sconfitta.

In secondo luogo, le resistenze in gran parte prevedibili che si stanno manifestando hanno un solo sbocco possibile: il mantenimento dello status quo. In politica lo status quo è sempre attraente e a questa tendenza concorrono pulsioni e interessi politici a volte contraddittori ma non per questo meno potenti. Il primo compito di chi vuole le riforme è quindi di concentrarsi non su ciò che è desiderabile, ma su ciò che è necessario. In altri termini, cominciare con la dimostrazione che lo status quo non può funzionare.

L’attrazione e il paradosso dello status quo
Non ci troviamo di fronte a una pagina bianca: mantenere lo status quo vuol dire restare con le regole e gli strumenti attuali. Il paradosso è che quasi tutti convengono che il sistema attuale funziona male, che la posizione dell’ Europa è ancora troppo fragile e che la ripresa in atto non ci mette al riparo da una nuova crisi economica o finanziaria.

In terzo luogo, lo stallo è dovuto non solo a contingenze di politica interna e all’obiettiva difficoltà delle scelte da compiere, ma anche al crollo di fiducia reciproca che si è installato dopo l’inizio della grande crisi. Bisogna quindi cominciare a occuparsi di ciò che è urgente e dimostrare concretamente che è possibile sbloccare meccanismi che sembravano definitivamente inceppati.

Ciò vale per la politica estera, per la collaborazione in materia di sicurezza e di terrorismo, per l’immigrazione e per misure che permettano il rilancio della produttività e della competitività dell’economia. I discorsi di Juncker e di Macron offrono larga materia per delle discussioni concrete e realistiche. Se tornerà la fiducia, il medio termine seguirà. Lo abbiamo appreso dalla più tenera infanzia: nulla incita a compiere lunghi percorsi come la consapevolezza che si è capaci di camminare.

I temi più controversi legati alla governance dell’eurozona
È tuttavia inutile illudersi che un rilancio “per vie laterali” ci possa esimere dall’affrontare i temi più controversi legati alla governance dell’euro-zona. Tutte le idee che circolano, da quelle che privilegiano la condivisione a quelle che privilegiano la riduzione dei rischi, comportano una radicale modifica delle regole esistenti e in alcuni casi anche dei trattati. Ciò vale per le ambiziose proposte di Macron, ma anche per i passaggi più aborriti del testamento di Schaeuble. I casi sono due: o restiamo con le regole esistenti smettendo però di criticarle, oppure tutti dovranno mettere acqua nel loro vino ideologico.

Cosa vuol dire tutto questo dal punto di vista italiano? A nessuno sfugge che l’Italia si trova in una delicata e incerta fase di transizione politica. Se vogliamo restare credibili in attesa delle scadenze elettorali, per prima cosa sarebbe necessario un impegno delle forze politiche che aspirano a governare sul rispetto della tenuta dei conti pubblici e delle regole esistenti; come del resto ha fatto Macron nel momento in cui proponeva riforme ambiziose.

Immigrazione e unione bancaria le priorità italiane
Inoltre, dobbiamo chiederci cosa è prioritario e realisticamente possibile dal punto di vista dei nostri interessi. Molti punti dell’agenda Macron/Juncker possono trovarci consenzienti, ma per noi le priorità sono chiaramente due: l’immigrazione e l’unione bancaria. Sulla prima, anche per merito del recente attivismo italiano, i progressi sono evidenti e si tratta di continuare sulla strada intrapresa.

La vicenda dell’unione bancaria è molto più complessa e molte nostre rivendicazioni sono legittime. Tuttavia non possiamo dimenticare di essere anche parte del problema. Ciò vale per la questione dei non-performing loans che ha infiammato il recente dibattito, come per l’eccessiva accumulazione di debiti sovrani italiani nei bilanci delle nostre banche.

Definire una più accorta strategia negoziale non basta perché essa non avrà successo se non sarà capita e condivisa anche dall’opinione pubblica. La narrativa italiana sull’ Europa è malata e provinciale. Bisogna uscire dalla schizofrenia di fantasticare di alleanze che esistono solo nella nostra immaginazione, ma anche di vivere l’Europa come un costante complotto ai nostri danni. Una cosa è definire i nostri legittimi interessi, un’altra è rifiutarsi di misurarli con il mondo circostante, compreso il giudizio dei mercati. Su questa strada ogni negoziato sarà a priori percepito come una sconfitta e ogni compromesso come un’imposizione. Non è ciò che vogliamo, né ciò che l’ Europa si aspetta da noi.