Ue/Africa: aiuti allo sviluppo merce di scambio politico
Nel suo ultimo discorso sullo stato dell’Unione, il rendiconto annuale che ogni settembre il presidente della Commissione europea fa di fronte al Parlamento di Strasburgo riunito in seduta plenaria, Jean-Claude Juncker ha affermato che è stata l’Italia, grazie al suo costante sforzo sulla questione migranti, a salvare l’onore di tutta l’Unione europea.
Il riconoscimento da parte della singola figura più rappresentativa dell’Unione del lavoro fatto dall’Italia è certamente un passo importante, ma il tono delle risposte dei commentatori italiani è stato sostanzialmente unanime, riassumibile con: “Molte grazie per le belle parole, ma ora si passi ai fatti.”
L’Unione e la gestione dell’immigrazione
L’Italia ha affrontato questa emergenza permanente dal 2013, senza poter contare per molto tempo su alcun supporto finanziario europeo. Nel 2014, allo scadere dell’operazione interamente italiana Mare Nostrum, è subentrata Triton, strano compromesso al ribasso fra l’Italia ed alcuni stati europei, perché la contrarietà di diverse nazioni a inviare aiuti impedì un accordo con l’intera Unione europea.
Quest’ultima iniziativa finì per dimostrarsi fin da subito inadeguata: una coalizione di 15 Stati europei era riuscita a mettere insieme un budget pari solo al 30% di quello di Mare Nostrum, finanziato dalla sola Italia. In un contesto politico reso sempre più incerto dalle montanti ondate populiste, Juncker decise di correre ai ripari durante un altro discorso sullo stato dell’Unione, quello del 2015, annunciando la creazione dello EU Emergency Trust Fund for Africa (eutf).
Lo Eutf, limiti e vincoli del nuovo strumento
Questo fondo ha da allora operato come un fondo allo sviluppo, ma d’emergenza, e quindi ricercando risultati di più breve periodo. Molti analisti si sono fin da subito interrogati sulla consistenza logica di un fondo allo “sviluppo di emergenza”, come può dopotutto il sottosviluppo essere considerato un problema di breve periodo, come si può pensare di risollevare organicamente l’economia di un Paese con azioni di corto respiro?
Recentemente una Ong paneuropea, la Global Health Advocates (GHA), grazie a 45 interviste rivolte a diverse Ong e attori della società civile locali, ha stilato un rapporto nel quale vengono indagate in profondità le attività e i successi dell’Emergency Trust Fund for Africa, in cui la creazione di Juncker e della Commissione europea da lui presieduta viene esposta in tutti i suoi limiti.
In primo luogo vi è la questione budget: quasi tre miliardi di euro. Una cifra certo importante, specialmente se comparata con i circa tre milioni di euro al mese (alzati poi a nove a seguito dei disastrosi naufragi dell’aprile 2015) dell’operazione Triton. Quasi l’80% dei fondi provengono dallo European development fund, il fondo principale per gli aiuti allo sviluppo europei, il quale ha visto conseguentemente ridotte le sue capacità d’azione e di sviluppo nel lungo periodo.
Ma il vero problema risiede nel fatto che questi fondi, che per legge europea dovrebbero essere deputati allo sviluppo sostenibile e di lungo periodo dei Paesi africani, sono stati usati per un intento sostanzialmente politico, quello di porre un freno al fenomeno migratorio nel breve periodo, spesso con poco interesse per come gli Stati riceventi utilizzavano questi fondi.
Mancanza di collaborazione con agenzie e Paesi partner
In particolare, oltre alla totale mancanza di un quadro di collaborazione con agenzie che già portano avanti complementari progetti di sviluppo, come la Banca Mondiale, gli Stati Uniti, il Canada, e gli altri progetti bilaterali appartenenti ai singoli Stati membri, il rapporto evidenzia l’ulteriore assenza di una cooperazione tra l’Ue ed i Paesi africani partner.
I progetti finanziati dall’ Eutf sono supervisionati da un comitato operazionale, di cui i Paesi africani fanno parte solo come membri osservatori e non hanno voce in capitolo nella pianificazione, commentando i progetti solo una volta approvati.
Questa politica unilaterale, che non tiene conto delle reali necessità di sviluppo risulta evidente in Senegal. Una delle Ong intervistate ha affermato che il loro progetto era stato bocciato perché comprendeva obiettivi di lungo termine, raggiungibili in quattro anni. Inoltre, i progetti “di aiuto” venivano attivati solo in quelle aree geografiche di maggior transito per i migranti, a discapito di zone umanitariamente più bisognose.
Effetti distorsivi e conseguenze negative
In tal senso, la totale mancanza di una strategia per l’allocazione delle risorse in maniera analitica ha portato drastici cambiamenti nei bilanci dei Paesi coinvolti, denotando come l’Unione europea stia dettando le regole piuttosto che stabilire un rapporto di aiuto reciproco. In Niger, parte del budget destinato a settori come l’educazione e la sanità è stato riallocato in spese per la sicurezza, con l’intento di bloccare la partenza illegale di migranti.
In poche parole, l’Eutf ha assunto i contorni di una pedina di scambio per garantire ai Paesi africani “fondi allo sviluppo” in cambio della loro accondiscendenza agli interessi degli Stati dell’Unione. Questo significa che l’allineamento, da parte dei Paesi africani, alle richieste dettate dalla politica interna dei Paesi Ue è diventato un criterio decisivo per lo stanziamento delle risorse sulla base non di necessità di sviluppo, come povertà o accesso a risorse naturali, ma sulla volontà di seguire i dettami europei.
La verità, è che l’Eutf è nato come strumento di comunicazione per calmare gli animi di un’opinione pubblica scossa dagli incontrollabili flussi di migratori. L’Ue avvertiva la necessità di offrire ai suoi cittadini la parvenza di un’azione politica efficace e pianificata per mettere un freno a decine di migliaia di sbarchi.
Un buco nell’acqua che vanifica il Premio Nobel 2012
L’impatto del fondo non è stato certo tra i più proficui in materia di sviluppo. La mancanza di una strategia unificata e del coinvolgimento della società civile ha fatto più danni che altro. In Niger, la popolazione giovanile è significativamente coinvolta nelle attività legate al trasporto di migranti, un’attività che costituisce una delle maggiori fonti di reddito per i giovani nigerini. L’improvvisato giro di vite sui trafficanti ha portato molti giovani non solo a perdere il lavoro, ma a tornare più sfiduciati di prima nel mercato del trasporto di migranti, in cerca di una forma di sostentamento economico.
Il Fondo di emergenza si è dimostrato un buco nell’acqua. Parole e progetti al vento che hanno deviato l’impegno di fondi da progetti di sviluppo a lungo termine e sostenibili a politiche per il blocco di migranti. Nessuna correlazione inoltre esiste, né studio, che sostenga le sbrigative affermazioni della Commissione che lo sviluppo locale possa portare a una diminuzione degli sbarchi.
Nel 2012, l’Unione europea era stata gratificata del Premio Nobel per la pace, per il suo impegno nella promozione della stabilità e dei diritti umani. Un impegno che sembra aver perduto, trascurato dalla folla corsa al conseguimento di interessi politici di breve termine.