Sicurezza migratoria e marittima: due obiettivi futuri
La fase di profondi cambiamenti e sostanziale destrutturazione del sistema internazionale e dei suoi delicati equilibri di sicurezza attualmente in corso sta producendo grandi cambiamenti strategici nella postura internazionale degli Stati. Numerosi sono i temi e i dossier che hanno acquisito una diversa e crescente rilevanza nelle nuove relazioni internazionali. Tra i tanti, vi sono due dossier che in passato non hanno avuto un’adeguata centralità nell’azione internazionale dell’Italia: la questione della sicurezza migratoria e quella della sicurezza marittima, due dimensioni ora profondamente intrecciate nella crisi della sicurezza nel Mediterraneo centrale.
Il tema è stato approfondito dal Cenass in un progetto sostenuto dall’Unità di analisi e programmazione del Ministero degli Esteri e presentato in un convegno alla Camera dei Deputati. Le conclusioni raggiunte indicano che l’Italia ha davanti a sé un periodo temporale non breve in cui i dossier, tra loro connessi, della sicurezza dei flussi migratori dall’Africa all’Europa e della sicurezza marittima nel Mediterraneo sono destinati ad uscire dalla loro stretta natura specifica, acquisendo un complesso significato che si rivelerà fondamentale per accrescere il valore strategico della sua azione esterna.
La sicurezza migratoria
Il carattere anarchico delle crisi migratorie, le infrastrutture criminali che le regolano, i network terroristici che ne beneficiano indirettamente ed i calcoli politici di molti Stati di origine e transito su come orientare, amplificare e tesaurizzare i flussi hanno creato un sistema in cui i processi migratori odierni sono divenuti molto pericolosi per i migranti e altrettanto pericolosi per gli Stati. Soprattutto è ormai impossibile, in queste forme di migrazioni di masse ibride, distinguere qual è la vera natura strategica del fenomeno. Siamo infatti in presenza di una situazione emergenziale altamente distorsiva dei normali e fisiologici flussi migratori, che sta producendo un’illogica torsione dei meccanismi giuridici di protezione dei rifugiati e di alterazione delle stesse relazioni internazionali tra gli Stati, inclusi quelli europei.
Nonostante ciò, tende a prevalere un approccio mainstream alla crisi migratoria che vuole mantenere ad ogni costo separati i processi migratori e le questione di sicurezza, non riconoscendo l’esistenza di interconnessioni tra queste due dimensioni. Eppure, è ormai evidente che quello che è stato definito “nesso scomodo” tra sicurezza e migrazione esiste ed è estremamente difficile da sciogliere. La realistica questione di fondo di oggi non ci pare tanto quella di dibattere all’infinito se esiste anche una dimensione della sicurezza nei flussi migratori o se la dimensione umanitaria o economica dei flussi migratori debba prevalere sui problemi di sicurezza; ma piuttosto cosa fare per occuparsi di tutte queste dimensioni in funzione dei complessivi interessi nazionali, senza prioritarizzarne una sulle altre.
Così come è sempre più importante buttare un occhio su quanto fanno i Paesi amici ed alleati d’oltralpe, in particolare nell’area mitteleuropea. Qui appare sempre di più configurarsi ormai un approccio ai flussi migratori come un processo di neue Völkerwanderung, ossia di spostamento di massa popoli. Questa è la lettura del maggiore storico tedesco contemporaneo, Hans Peter-Schwarz, recentemente scomparso ed autore del volume Die neue Völkerwanderung nach Europa: Über den Verlust politischer Kontrolle und moralischer Gewissheiten. Titolo traducibile con “Le nuove migrazioni dei popoli verso l’Europa: sulla perdita del controllo politico e delle certezze morali”.
Ma questa è anche la sensazione che si desume dal vedere come nel volgere di pochi anni sia il governo a guida socialista austriaco che quello in gestazione a Berlino dopo le elezioni politiche hanno messo in agenda un tetto massimo al numero di domande di asilo politico che sono disposti ad accettare sul proprio territorio. Il limite posto dall’Austria nel 2016 è di 37.000, quello che verosimilmente introdurrà la Germania nel 2018 sarà di 200.000. Con queste decisioni, a con una analoga politica francese, i Paesi europei hanno deciso, a fronte di evidenti abusi dei meccanismi del diritto dell’accoglienza dei rifugiati, di porre un numero chiuso al numero di stranieri che posso essere regolarizzati con tali strumenti.
La dimensione marittima della sicurezza migratoria
Declinata in termini marittimi, la sicurezza migratoria riguarda sia la sicurezza della vita dei migranti per il soccorso (Sar) e il rispetto dei loro diritti umani, che la legalità dei traffici marittimi internazionali in un contesto complessivo di crescente anarchia delle acque internazionali e di crescenti contenziosi degli Stati rivieraschi per il controllo degli spazi marittimi.
Unico tra tutti gli Stati europei l’Italia ha sempre garantito l’adempimento degli obblighi di salvataggio, anche al di là della propria zona di competenza. L’assunzione di responsabilità di Tripoli nel Sar (attuato con l’istituzione di una zona marittima dedicata, sotto il controllo delle forze di Guardia costiera) pone ora le condizioni per la condivisione di tali obblighi tra gli Stati che si affacciano sul Mediterraneo. Egualmente non rinviabile è la definizione di criteri concordati per l’individuazione del luogo di sbarco delle persone salvate.

Tutti i Paesi europei si sono però arroccati nella chiusura dei loro porti ai migranti e Frontex pare non favorevole alla proposta italiana di ridefinire il mandato dell’operazione Triton prevedendo non solo l’Italia come luogo di sbarco. Eppure, è proprio di qui che bisogna ripartire per dare una dimensione europea alla nostra tradizionale politica di accoglienza, magari esportando il modello di cooperazione Guardia costiera-Interno-Ong regolamentato dal codice di condotta che l’Ue ha approvato. Esso è difatti improntato proprio al concetto integrato di sicurezza migratoria, coniugando i doveri di soccorso con quelli di mantenimento della legalità dei traffici marittimi e di integrità territoriale degli Stati di destinazione.
L’episodio della collisione tra un’unità navale tunisina e un barcone avvenuto nella zona Sar di Malta, che ha richiesto l’intervento italiano, dimostra l’esigenza che l’Italia stipuli accordi di cooperazione Sar con La Valletta e Tunisi, dando peraltro applicazione all’intesa già esistente con l’Algeria, Paese da cui non si sono mai interrotti i flussi verso la Sardegna. Significativo è anche che si ipotizzi di dislocare forze marittime italiane in acque internazionali prospicienti la Tunisia per collaborare nel soccorso ed individuare soggetti coinvolti in attività illecite e/o terroristiche che cerchino di sbarcare clandestinamente in Italia. La riapertura della rotta dalla Libia, via Sabrata, rilancia anche la funzione di sicurezza marittima svolta dall’Operazione Eunavfor Med Sophia.
Nell’agenda italiana dell’immigrazione via mare restano, in definitiva, molti temi da affrontare, ivi compreso la collaborazione giudiziaria con i Paesi del Nord Africa per la prevenzione e repressione del traffico di esseri umani e di migranti, cercando un anche il coinvolgimento della Corte Penale Internazionale nell’esercizio della sua giurisdizione sulla base delle pertinenti risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell’Onu relative alla situazione della Libia.

La politica estera come luogo di bilanciamento dei diversi interessi
È proprio il campo della politica estera, che per tradizione e capacità costituisce uno dei domini più elevati dello statecraft, dell’arte del governo, a dover rappresentare il luogo ove le esigenze politiche, umanitarie, economiche, di sicurezza, giuridiche, strategiche si debbano fondere e armonizzare. Non che questo possa essere l’unico ambito ove trattare un dossier la cui multiforme natura obbliga a considerarlo da una pluralità di punti di vista, sia interni che esterni.
Ma è importante che non manchi la dimensione esterna delle politiche di sicurezza migratorie. Questo perché, visto che trattiamo di fenomeni che si originano a svariate migliaia di chilometri dalle nostre coste e coinvolgono un numero elevato di Paesi terzi, spesso scarsamente stabili e capaci, i flussi possono essere governati e la human security dei migranti e il perseguimento della sicurezza degli Stati possono essere conciliati solo operando in prossimità dei Paesi di conflitto e lungo le frontiere delle rotte dei transiti illegali.
Infine occorre tenere presente che la sicurezza migratoria si compone di una dimensione interna, che è il dominio dei ministeri dell’Interno e delle Politiche d’integrazione, e di una dimensione esterna, che è quello della politica estera. La qualità dei flussi, che in ultima analisi è la loro utilità o pericolosità sociale, viene solitamente gestita sul territorio nazionale dai ministeri dell’Interno attraverso strumenti di prevenzione ed integrazione; la magnitudine dei flussi e la loro natura strategica (ostile o meno agli interessi nazionali) possono essere controllate solo con azioni di politica estera sviluppate a migliaia di chilometri di distanza, presso gli Stati di origine e transito.
La necessità dell’azione esterna della politica migratoria è anche evidente per evitare il rischio che l’Europa reagisca in maniera sproporzionata ed irrazionale al mutato significato dei flussi migratori, adottando politiche ispirate alla sola sicurezza interna, chiudendo ermeticamente le proprie frontiere e incentivando l’accoglienza in quei Paesi, come l’Italia, ove la geografia rende più difficile il controllo delle frontiere marittime e su cui il diritto europeo pone degli obblighi maggiori.