Repubblica Ceca: nel voto riscossa populisti ed estrema destra
La vittoria di Ano 2011 (Azione dei cittadini insoddisfatti, che in ceco vuol dire anche “sì”) alle elezioni per il rinnovo della Camera dei deputati in Repubblica Ceca era ampiamente prevista. I numeri con cui questo partito ha vinto sono però andati oltre le aspettative: la formazione ha infatti ottenuto quasi il 30% dei consensi contro il 26,5% che si profilava alla vigilia del voto. Questo risultato rafforza ulteriormente Ano che, già prima del test elettorale, risultava essere la più popolare forza politica del Paese. Il suo successo e, di conseguenza, quello del magnate Andrej Babiš, leader del partito, conferma una tendenza internazionale attualmente favorevole a uomini e soggetti politici che si situano al di fuori della cosiddetta politica convenzionale e dei suoi rituali.
La riscossa di Ano dimostra, inoltre, il favore su cui possono contare oggi leader che vengono percepiti come uomini vicini alla gente, capaci di farsi capire e di comprendere i bisogni, le inquietudini e il malessere diffusi nelle società di cui sono espressione. In effetti, Ano ha saputo intercettare il malcontento di sinistra e di destra e capitalizzato tale vantaggio. Babiš ha vinto malgrado sia stato di recente accusato in patria di evasione fiscale e di frode, in quest’ultimo caso dall’Ue. Molti elettori si sono ritrovati nelle sue posizioni euroscettiche e nella sua contrarietà al principio dell’accoglienza dei migranti secondo il sistema delle quote. 63 anni, imprenditore, con un patrimonio di 4 miliardi di dollari è il secondo uomo più ricco della Repubblica Ceca.
Fra partito-azienda e debuttanti
Fondatore di un partito-azienda, nei cui posti chiave ha messo i suoi principali collaboratori, intende governare con criteri manageriali e portare avanti con l’elettorato un rapporto diretto, lontano dalla cosiddetta politica tradizionale e dalle sue consuetudini sempre più insopportabili agli occhi di numerosi cittadini cechi. Ano si aggiudica 78 seggi (quasi raddoppiando il bottino rispetto alla scorsa tornata) grazie ad un sistema elettorale ideato dai socialdemocratici e dall’Ods (Partito civico democratico), che hanno invece visto ridimensionato il loro peso sulla scena politica del Paese. “Per formare il nuovo governo dovremmo incontrare per primi i socialdemocratici e i popolari” ha detto Jaroslav Faltynek, vicepresidente di Ano, che mostrerebbe, quindi, l’intenzione di mantenere la maggioranza uscente, anche se a rapporti di forza invertiti.
L’altro dato di queste elezioni è che la Camera dei deputati ceca apre le porte a tre nuove formazioni politiche. La prima è il Movimento libertà e democrazia politica (Spd, 10,8%) dell’imprenditore di origini nippo-coreane Tomio Okamura. Si tratta di un populista animato da pulsioni di estrema destra che incoraggia l’islamofobia, punta il dito contro coloro i quali definisce parassiti – riferendosi in particolare ai membri della minoranza rom – e chiede un referendum sulla permanenza della Repubblica Ceca nell’Unione europea. Segue, a quota 10,6%, il Partito pirata, che promette di ingaggiare una lotta senza quartiere per la trasparenza, il buon funzionamento delle istituzioni democratiche e nuove forme di welfare. Il terzo nuovo inquilino della Camera dei deputati è il Movimento dei sindaci (circa 5%), che intende incoraggiare lo spirito critico nella società ceca.
Tramonto socialista
Perdono consensi i liberal-conservatori di Top 09 e, in modo rilevante, i partiti di sinistra. I socialdemocratici, che hanno espresso fino ad oggi il premier (Bohuslav Sobotka), hanno ottenuto appena il 7%, perdendo 35 seggi, su 50 mentre i comunisti del Ksčm scendono al di sotto del 10% per la prima volta in vent’anni. Ora la scena è di Babiš e del suo Ano, creatura politica e prodotto di questi tempi, nei quali il populismo e la voglia di forme sempre più dirette di democrazia si diffondono nel Vecchio continente. I vincitori di questa tornata elettorale hanno un atteggiamento tutt’altro che conciliante nei confronti dell’Ue e delle sue politiche (pur essendo Ano parte della famiglia politica liberaldemocratica dell’Alde, in principio fervente europeista), e non approvano la posizione di Bruxelles in ambito migranti. A giudicare da queste premesse sembra, quindi, che il Gruppo di Visegrád possa contare su una Repubblica Ceca ancora più determinata a contrastare il sistema delle quote e a chiedere la revisione di tutta una serie di aspetti che regolano il funzionamento dell’Ue e i rapporti tra i poteri centrali dell’Unione e i governi dei Paesi membri. E il parallelo avvento al governo del centrodestra di Sebastian Kurz in Austria, secondo alcuni commentatori, potrebbe aprire un canale privilegiato di dialogo fra Praga e Vienna (a cui andrebbe ad aggiungersi Bratislava), per ribadire con forza le posizioni dell’Europa centrale nel confronto con Bruxelles.