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Vanità e vacuità

Iran: Trump e l’accordo nucleare, vanità e opportunismo

26 Ott 2017 - Riccardo Alcaro - Riccardo Alcaro

Il presidente Usa Donald Trump ha ripudiato l’accordo nucleare con l’Iran negoziato dall’Amministrazione Obama nel 2015. Anche se il presidente non si è ritirato formalmente, di fatto la partecipazione degli Usa all’accordo è appesa a un filo. Le conseguenze di un ritiro sarebbero gravi: la regione diventerebbe più insicura e il regime internazionale di non-proliferazione più debole. Se ci si domanda perché Trump non abbia riguardo per tutto ciò, la risposta è che dietro alla sua mossa non c’è tanto un calcolo geopolitico quanto una buona dose di vanità e opportunismo.

Le affermazioni di Trump e le contraddizioni statunitensi
Nonostante la grottescamente parziale litania di misfatti iraniani snocciolata da Trump, il Joint Comprehensive Plan of Action (Jcpoa), com’è ufficialmente chiamato l’accordo, ha finora funzionato. L’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Aiea) non ha rilevato che due infrazioni minori, subito corrette dall’Iran. Gli altri firmatari del Jcpoa – Cina, Francia, Germania, Gran Bretagna, Russia e Ue – hanno tutti confermato l’adempienza dell’Iran. Lo ha riconosciuto lo stesso segretario di Stato Usa Rex Tillerson, mentre il segretario alla Difesa Jim Mattis ha pubblicamente detto in un’audizione al Senato che restare nell’accordo è nell’interesse nazionale americano.

Ciò nonostante, Trump si è rifiutato di dare formale certificazione che continuare a sospendere le sanzioni sia un vantaggio per gli Usa. Il presidente ha accusato l’Iran di nascondersi dietro l’accordo per perseguire politiche destabilizzanti nella regione. Trump ha anche affermato che lo sviluppo di capacità balistiche da parte dell’Iran sia la prova che la leadership iraniana non ha rinunciato all’opzione nucleare militare. Il punto è critico perché riguarda un aspetto controverso dell’accordo, e cioè il fatto che i limiti imposti al programma nucleare civile iraniano verranno meno tra il 2025 e il 2030.

Lo stato dell’accordo non giustifica il ritiro degli Usa
Anche se le accuse di Trump non sono completamente infondate, non ci sono ragioni sufficienti a giustificare il ritiro degli Usa dall’accordo. Il Jcpoa riguarda esclusivamente le capacità nucleari dell’Iran, non le sue politiche regionali. Per quanto riguarda la questione dei missili balistici, l’accordo non proibisce test. La questione della durata delle limitazioni al programma nucleare, infine, va contestualizzata. Trump ha dimenticato di menzionare che l’Iran, in qualità di membro non-nucleare del Trattato di non-proliferazione (Tnp), resterà sotto l’obbligo di non acquisire armi atomiche.

Il Jcpoa ha introdotto un sistema di ispezioni particolarmente intrusivo fino al 2040; e anche dopo quella data l’Aiea avrà maggiore accesso al programma nucleare di quanto ne avesse prima del Jcpoa. Chiaramente questo non è uno scenario ideale se l’Iran davvero volesse costruirsi un arsenale atomico quando i limiti sul programma civile verranno meno. La verità è che gli Usa avrebbero maggiore capitale per esercitare pressione sull’Iran nella regione se restassero nell’accordo e lavorassero coi loro partner a un’estensione concordata dei limiti al programma nucleare.

La coerenza di Trump nel distruggere l’eredità di Obama
Perché Trump ha ignorato questi argomenti di buon senso? Trump forse pensa di stare semplicemente rispettando una promessa elettorale, visto che ha sempre criticato l’accordo. Ma col 56% degli americani – e la metà degli elettori repubblicani – a favore dell’accordo, la questione non sembra decisiva per le sue fortune politiche. Tuttavia, se c’è qualcosa per cui Trump si è distinto per coerenza è il sistematico tentativo di distruggere quanto fatto da Barack Obama: dall’accordo commerciale transpacifico al clima, dalle politiche migratorie alla riforma sanitaria e ora all’accordo con l’Iran. Sembra che l’unico modo di sentirsi superiore al suo predecessore sia per Trump quello di cancellarne l’eredità.

Alla vanità personale si accompagna una buone dose di basso opportunismo politico. Nonostante il clamore, Trump si è astenuto dal raccomandare la re-imposizione delle sanzioni, incoraggiando invece il Congresso a correggere le presunte deficienze dell’accordo. Il calcolo è offrire al Congresso una via di mezzo tra la re-imposizione delle sanzioni – che costituirebbe una violazione dell’accordo da parte americana – e il non fare nulla. Il Congresso ha fino a metà dicembre per agire.

Trump si sente in un bunker, il biasimo sugli altri
Trump pensa di essersi messo in una situazione inattaccabile. Di fatto vuole cambiare unilateralmente i termini dell’accordo per mezzo di una legge nazionale. Se l’Iran si rifiuterà di adeguarsi a una più lunga scadenza dei limiti al suo programma nucleare decisa a Washington, o di contenere le sue attività balistiche, odi  ‘moderare’ le sue politiche regionali, Trump avrà una ragione per giustificare il ritiro Usa. Se gli europei continueranno a sostenere il Jcpoa, Trump dirà che è per colpa dell’Europa, non sua, se un accordo tanto nefasto continuerà a esistere. E se mancheranno i voti per l’opzione intermedia vista sopra, Trump se la prenderà col Congresso (i democratici in particolare) per non avergli fornito alternative. A quel punto chissà cosa succederà quando, a gennaio prossimo, il presidente Usa sarà chiamato a sospendere le sanzioni in base al Jcpoa. Trump potrebbe concludere di avere ‘trasferito’ la responsabilità dell’accordo al Congresso o agli europei, e lasciarlo in pace. Oppure, persuaso dai suoi stessi argomenti che il biasimo ricadrà su altri, abbandonare il Jcpoa.

Sia come sia, il presidente Usa sarà soddisfatto di sé. Il resto del mondo, e buona parte degli Usa, lo sarà molto meno. Anche se il Jcpoa dovesse salvarsi, la credibilità degli Usa sarebbe gravemente danneggiata. Le potenze rivali, incluso la Corea del Nord, che al contrario dell’Iran si è dotata di armi atomiche, non avranno incentivi a negoziare con un paese che non tiene fede alla parola data. Gli europei dovranno fare i conti con un alleato che non tiene in minimo conto i loro interessi di sicurezza. E il rinnovato antagonismo tra America e Iran renderà la prospettiva di una futura stabilizzazione del Golfo una chimera. Difficile vedere come un’imbecillità geopolitica del genere possa rendere, nonostante le promesse di Trump, l’America di nuovo grande.