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Elezioni legislative

Giappone: Abe il prammatico vince ed è ‘leader necessario’

26 Ott 2017 - Fabrizio Bozzato, Stephen R. Nagy - Fabrizio Bozzato, Stephen R. Nagy

La scommessa del premier giapponese Shinzō Abe su elezioni anticipate per la Camera bassa del Parlamento nipponico s’è rivelata vincente. Le urne hanno assegnato alla coalizione guidata dal Partito liberal-democratico (Ldp, nell’acronimo inglese) una robusta affermazione che rappresenta un mandato per andare avanti con il programma di riforme economiche, attuare una politica estera e di sicurezza all’insegna della fermezza e abbandonare l’irenismo della Costituzione post-bellica. Per quest’ultimo compito, l’Ldp, in sodalizio con altre forze revisioniste, può contare sulla super-maggioranza di due terzi richiesta per le riforme costituzionali.

A dispetto del tifone che ha visitato l’arcipelago durante il voto e la tradizionalmente bassa affluenza ai seggi, la coalizione di governo si e’ assicurata 312 seggi su 465 e ha dunque i numeri per cambiare la Costituzione anche senza appoggio esterno. Il Giappone ha quindi scelto di proseguire nel segno della continuità, o meglio, della “discontinuità proattiva” di Abe che, dopo la conquista dello storico terzo mandato, diverrà il più longevo primo ministro del suo Paese se resterà in carica fino alle Olimpiadi di Tokyo del 2020.

Le qualità di Abe e i limiti del suo successo
La vittoria di Abe è stata definita “trionfale” da molti osservatori. Effettivamente, non solo l’Ldp – del quale Abe è presidente – ha mantenuto la sua forza parlamentare, ma ha anche dimostrato la resilienza del patto di fiducia che lo lega alla sua base elettorale. Significativamente, in una nazione in rapido invecchiamento, il consenso per i liberaldemocratici è stato transgenerazionale, dato che il 40% dei neo-votanti 18/19enni ha scelto l’Ldp. Le elezioni erano considerate anche come un referendum sulla figura di Abe, spesso controversa e con zone d’ombra. Molti elettori sembrano però avere seguito il principio per cui un leader non va scelto per la sua palatabilità, ma perchè se ne riconoscono l’esperienza e capacità di statista e il fattivo pragmatismo politico.

Poco importa se alcuni dei suoi provvedimenti sono di dubbia costituzionalità o se la gestione della sua squadra di governo è apertamente machiavellica. Abe è colui che ha dimostrato di avere stoffa e intelligenza da leader, precedendo e succedendo a cinque consecutivi premier che sono durati in carica circa un anno ciascuno. Inoltre, agli occhi della maggioranza dei giapponesi, sarebbe stato improvvido cambiare in un momento così critico per la nazione, marcato da riassetti interni e sfide internazionali. In tal senso, il presidente dell’Ldp è visto come il “leader necessario” per il Giappone da qui al 2021. In altre parole, gli elettori – in materia di economia, politica estera e sicurezza – hanno scelto la “linea Abe”, che già conoscono e ritengono efficace.

Un’opposizione debole e frammentata
Questa tornata elettorale ha anche segnato l’esordio del Partito democratico costituzionale (Pdc), guidato da Yukio Edano, l’ex-vicepresidente del disciolto Partito Democratico, che rappresentava la tradizionale opposizione all’Ldp. La nuova formazione, fondata il 2 ottobre, ha ottenuto un buon riscontro ai seggi. piazzando 55 deputati nella Camera bassa e diventando quindi il maggior partito di opposizione. La reputazione di Edano – che fu il volto eroico dell’allora governo di centrosinistra durante la tragedia di Fukushima nel 2011 – e l’agenda programmatica del Pdc hanno persuaso numerosi giapponesi convinti della bontà della Costituzione pacifista, che ritengono minacciata dal revisionismo di Abe, a sostenere il Pdc nella speranza che possa svilupparsi in una futura alternativa di governo al colosso Ldp.

La combinazione di attenzione alle tematiche sociali e difesa dei principi della carta costituzionale sembra infatti essere la formula politica adatta per costruire una opposizione credibile e rianimare la dialettica democratica nazionale. “Questo è solo l’inizio,” ha promesso Edano parlando ai media. Lo sarà, posto che il Pdc riesca a trovare la quadra tra pacifismo costituzionale e sicurezza nazionale.

La sconfitta di Koike e del Partito della speranza
Il grande sconfitto di queste elezioni è il Partito della speranza, fondato a fine settembre dalla garrula governatrice di Tokyo Yuriko Koike, e velocemente passato da compagine di belle speranze a partito con un grande futuro dietro di sé. Koike, notoriamente di posizioni conservatrici e nazionaliste, aveva deciso di accogliere e candidare molti parlamentari transfughi del Partito Democratico, giubilata forza di centro-sinistra, e proporre agli elettori un’agenda populista molto simile a quella che l’aveva portata a prevalere sull’Ldp nella elezioni governatoriali della capitale giapponese del 2016. L’interesse e le aspettative suscitati dalla nuova ensemble ibrida si sono, però, presto rivelati effimeri.

Alla vigilia delle elezioni, visti i sondaggi non incoraggianti, Koike ha scelto di non candidarsi. Il suo partito, nonostante schierasse 235 candidati, ha ottenuto solo 49 seggi, 6 in meno del Pcd, che però ha corso solo con 78 candidati. Particolarmente deludente è stato l’esito a Tokyo, che si supponeva esserne la roccaforte elettorale: il Partito della Speranza ha vinto solo in un distretto su 25, finendo in terza posizione. Il partito ha pagato la sua incongruenza politica e la percezione, maturata da molti elettori, di trovarsi di fronte a un quasi-Ldp senza troppa sostanza se non quella dell’opportunismo. Ragion per cui o hanno scelto l’originale o hanno votato formazioni alternative. In più, con la maggioranza di due terzi in pugno, ad Abe i voti dei parlamentari di Koike non saranno necessari se non nel caso in cui il Komeito – il partito buddista col quale l’Ldp è in coalizione – si mostrasse recalcitrante a mettere a disposizione i suoi 29 seggi per riformare la Costituzione.

Le prospettive politiche: catalizzare il successo
Sul fronte dei partiti minori, vanno notati i magri risultati del Partito Comunista e del Nippon Ishin (Partito dell’Innovazione Giapponese). Entrambi hanno perso terreno e seggi. Il leader del primo, Kazuo Shi, all’indomani del voto ha cercato di galvanizzare i suoi preconizzando un’alleanza strategica e durevole con il Pdc basata sulla comune opposizione alla riforma della Costituzione. Il suo entusiasmo, tuttavia, non sembra essere ricambiato dai vertici del Pdc.

Quanto al Nippon Ishin, i fasti del 2012, quando il partito si era affermato come seconda forza di opposizione con 54 seggi, sono lontani. Le fazioni interne e l’addio alla politica del carismatico fondatore, l’ex-sindaco di Osaka Toru Hashimoto, ne hanno causato la parabola discendente. La scelta di apparentarsi e coordinare le candidature con il Partito della Speranza nelle ultime elezioni è risultata infausta, ma viene difesa dalla dirigenza affermando che l’alleanza ha evitato il collasso elettorale. Il partito si sta ora preparando a salire sul carro della riforma costituzionale di Abe, dove potrebbe trovar posto.

Come sottolineato dal presidente Usa Donald Trump, nella sua telefonata di congratulazioni, il premier ha ricevuto un “forte mandato” dal popolo giapponese. Nondimeno, Abe sa che per consolidare la sua leadership e realizzare la sua visione politica avrà bisogno di unire e non dividere. Per questo motivo, all’indomani della vittoria ha dichiarato che intende aprire un dibattito nazionale per agglutinare un consenso il più ampio possibile sul suo piano di riforme, particolarmente quella costituzionale. Se la sua super-maggioranza gli permette l’ottimismo della volontà, il pessimismo dell’intelletto – e l’esperienza di politico di lungo corso – consigliano di cercare l’accordo dove si può evitare il conflitto.

Foto di copertina © Kento Nara/Geisler-Fotopress/DPA via ZUMA Press