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Elezioni legislative

Austria: Kurz, più Renzi che Orbán

17 Ott 2017 - Francesco Bascone - Francesco Bascone

La vittoria del popolare Sebastian Kurz nelle urne anticipate d’Austria era largamente scontata. Altrettanto prevedibile il testa a testa fra i socialisti dell’Spö e la destra populista dell’Fpö: il partito del cancelliere uscente Christian Kern, in difficoltà per lo scandalo Silberstein (ricorso a metodi fraudolenti in campagna elettorale), sembrava avviato ad un umiliante terzo posto e si è invece salvato in corner.

Rispetto ai sondaggi delle scorse settimane, in base ai dati provvisori (quelli definitivi potrebbero tardare fino a giovedì), si deve constatare un calo di 1-2 punti per i democristiani dell’Övp (dal 33 circa al 31,7%), e un rafforzamento degli altri due grandi partiti (dal 24% circa al 26-27%). I socialisti perdono la maggioranza relativa e la cancelleria, ma mantengono il numero di seggi che avevano.

Di conseguenza, una ipotetica coalizione sinistra-ultradestra che mandi il vincitore Kurz all’opposizione avrebbe i numeri, contrariamente a quanto sembravano indicare i sondaggi. Ma non è l’ipotesi più probabile, data la difformità dei programmi politici, anche se alcuni esponenti di spicco dell’Spö vi sono favorevoli e hanno sperimentato l’alleanza in taluni Länder.

Sipario sulla Große Koalition
Una sorpresa è stato lo scivolamento dei Verdi sotto la soglia del 4% che – insieme alla mancata vittoria a mani basse per i popolari – rende impraticabile quella che in Germania chiamano “formula Giamaica”. Una coalizione fra i popolari Kurz, i Neos (liberali) e la lista Pilz (verdi scissionisti) arriverebbe infatti solo al 40% circa.

Come a Berlino, una riedizione della Große Koalition fra popolari e socialisti è fattibile secondo l’aritmetica ma ritenuta improbabile. A differenza della Germania, però, in Austria il partito democristiano non ha preclusioni ad una alleanza con la destra populista. Questo è dunque lo scenario più verosimile, anche se nessuno degli altri tre può, mentre è in corso il conteggio definitivo, essere escluso categoricamente. Kurz non ha ancora annunciato la sua scelta; ma dicendo che vuole formare un governo in grado di cambiare il Paese è sembrato scartare la prima opzione – che si muove nella continuità degli ultimi esecutivi – e orientarsi verso la seconda.

Che questa prospettiva inviti la stampa nostrana a lanciare titoli allarmistici è inevitabile. Parlare di deriva dell’Austria verso un regime alla Viktor Orbán è però fuorviante.

Rivoluzione liberale a Vienna?
Il giovane cancelliere in pectore, 31 anni, vuole realizzare riforme di stampo liberale che i socialisti bloccherebbero (mentre l’Fpö le asseconderebbe), non intende certo introdurre leggi o misure liberticide. Sarà un capo del governo autoritario, in nome dell’efficienza e del cambiamento, verso il suo partito e i suoi ministri, non verso la società (in questo senso può essere assimilato più al nostro Matteo Renzi che al premier ungherese). E nei confronti dell’integrazione europea non condivide la tiepidezza del gruppo di Visegrad.

L’alleanza con l’Fpö sposterà indubbiamente a destra il baricentro del governo, ma parlare di neo-nazisti al potere sarebbe una caricatura grottesca. Anche l’uso del termine “xenofobi” è poco appropriato. Heinz-Christian Strache, il leader della destra populista, non “teme” o “detesta” gli stranieri, bensì propugna più efficienti filtri all’immigrazione illegale, più severità nell’effettuare espulsioni e una revisione delle generose prestazioni sociali che alimentano il pull effect.  Kurz persegue finalità analoghe, sia pure con minore asprezza; e di certo non consentirà al potenziale alleato, anche se dovesse assegnargli il ministero dell’Interno, di oltrepassare certi limiti.

Sull’Unione europea, Strache non ha sempre avuto una posizione lineare; ultimamente ha comunque negato di essere favorevole alla uscita dall’euro, o addirittura dall’Unione: rispetto al Front National, alla Lega Nord e a Movimento Cinque Stelle, può essere considerato, in questo campo, una “colomba”.

Fpö: troppo rumore per nulla
Se l’ingresso della Alternative für Deutschland al Bundestag tedesco con poco meno del 13% dei voti ha suscitato scalpore e costernazione, è naturale che la percentuale doppia ottenuta dall’Fpö domenica scorsa in Austria provochi commenti allarmati. Ma questo risultato elettorale va messo in prospettiva. Mentre l’AfD è un movimento in rapida ascesa, l’Fpö è da sempre uno dei tre grandi partiti austriaci, da molti anni sempre sopra il 20%; è stato al governo come junior partner con i socialisti negli anni Ottanta e con i democristiani negli anni Duemila, senza intaccare la natura democratica dell’Austria.

Questa consultazione elettorale ha avuto il merito di relegare il partito dell’estrema destra al terzo posto, sia pure con un margine ristretto. Nel 2016, e ancora fino alla scorsa primavera, l’Fpö aveva nei sondaggi la maggioranza relativa, superando il 30% (senza dimenticare che alle elezioni presidenziali del 2016 il suo candidato Norbert Hofer sfiorò il 50% al secondo turno, poi annullato per un vizio formale, e perse in dicembre col 46%). Senza la discesa in campo di Kurz nel maggio scorso, l’ultradestra avrebbe sicuramente ottenuto la maggioranza relativa e preteso la carica di cancelliere.