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Emergenza e sicurezza

Ungheria: Orbán, i migranti e la sentenza europea

14 Set 2017 - Massimo Congiu - Massimo Congiu

Impegnato in una campagna elettorale permanente, il governo dell’ Ungheria guidato da Viktor Orbán continua a cavalcare il tema dell’immigrazione per ampliare il consenso popolare. Il premier tiene a rassicurare i suoi connazionali sul fatto che l’esecutivo veglia su di loro e mantiene la linea dura contro i flussi di migranti clandestini che a suo avviso minacciano la sicurezza del Paese e dell’intera Europa.

La decisione di prolungare di sei mesi, fino al marzo del 2018, lo stato di emergenza per l’immigrazione clandestina è stata motivata dal portavoce del governo menzionando l’aumento del rischio di attentati terroristici che, secondo le autorità ungheresi, è direttamente e strettamente legato all’emergenza migranti.

Per Orbán, sicurezza e immigrazione emergenze collegate
Quelli che sono entrati in Ungheria dalla Serbia risultano rinchiusi in campi situati ai confini fra i due Stati. Si tratta di strutture dotate di container dove i migranti devono restare per tutto il tempo relativo all’esame delle richieste di asilo. Tale misura è in vigore da quando, nel marzo scorso, la relativa legge è stata approvata dal Parlamento di Budapest con 138 voti a favore, 6 no e 22 astensioni.

“Sappiamo di metterci contro le norme internazionali accettate anche dall’ Ungheria, ma andremo avanti lo stesso su questa strada”, aveva detto il premier, riferendosi  al regime di detenzione preventiva dei migranti, criticato dall’opposizione interna e dalle organizzazioni attive sul fronte della difesa dei diritti umani.

Il governo Orbán ha sempre motivato le decisioni prese in questo ambito citando il problema della sicurezza. Secondo il ministro dell’Interno ungherese Sándor Pintér, spesso i richiedenti asilo non rispettano le regole, non attendono la fine della procedura relativa alla loro domanda e se ne vanno in giro liberamente per lo spazio Schengen al fine di raggiungere i Paesi dell’Europa nord-occidentale.

Risulta, comunque, che finora pochi migranti abbiano ottenuto lo status di rifugiati dalle autorità ungheresi. I richiedenti meno fortunati vengono respinti in Serbia, al di là della doppia barriera di filo spinato che il governo magiaro ha voluto al confine con il Paese balcanico e che misura 175 chilometri di lunghezza.

Budapest contro il ‘partito dell’accoglienza’
Lanciato verso le elezioni politiche dell’anno prossimo, l’esecutivo si vanta di aver fermato il flusso di migranti alle frontiere nazionali e di impegnarsi da tempo, e con successo, nel mantenimento della sicurezza interna. Del resto Orbán e i suoi collaboratori sostengono di porsi il problema della sopravvivenza dell’intera Europa che il governo di Budapest vede minacciata dai flussi migratori incontrollati  e ancora di più dal cosiddetto “partito dell’accoglienza” che, a parere di Orbán, tiene in ostaggio Bruxelles. Insieme agli altri membri del Gruppo di Visegrád (Slovacchia, Repubblica Ceca e Polonia), l’ Ungheria respinge la politica delle quote e difende il principio dell’”Europa degli europei e non dei musulmani”.

A fine marzo, dopo le celebrazioni ufficiali per il 60o anniversario dei Trattati di Roma, i leader del V4 si sono riuniti a Varsavia e hanno denunciato unanimemente quello che hanno definito “ricatto dell’Ue in tema di migranti”. Nella circostanza, i quattro capi di governo si sono trovati d’accordo nel respingere il principio che vincola l’erogazione di fondi europei alla condizione di ospitare migranti, indipendentemente dal parere dei parlamenti nazionali e delle popolazioni interessate.

Al sistema delle quote, il V4 oppone quello della linea dura con la quale gestire l’immigrazione clandestina e considera inadeguata e nociva la politica adottata dall’Ue in questo ambito, oltre che poco rispettosa del volere dei singoli Stati membri e del loro diritto alla sovranità nazionale.

La reazione alla sentenza della Corte di Giustizia dell’Ue
La posizione dell’ Ungheria guidata dal governo del Fidesz viene espressa in modo chiaro nella reazione del ministro degli Esteri, Péter Szijjártó, alla sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione europea. Questi l’ha definita “scandalosa e irresponsabile” e ha aggiunto che si tratta di “una sentenza politica, non giuridica, che minaccia il futuro e la sicurezza dell’Europa ed è contraria agli interessi delle nazioni e quindi della stessa Ungheria”.

In linea con quanto precedentemente dichiarato dal premier e da altri esponenti dell’esecutivo, il capo della diplomazia di Budapest ha precisato che il governo farà di tutto per difendere il Paese dallo strapotere delle istituzioni dell’Ue che vogliono obbligare l ’Ungheria ad accettare rifugiati contro la sua volontà.

Il messaggio delle autorità ungheresi all’Ue è che Budapest intende andare avanti per la sua strada, incurante della sentenza. Infatti, Orbán ha affermato che occorre prendere atto della medesima ma che questo non significa che il governo debba cambiare la sua politica sull’immigrazione. “Non permetterò che l’Ungheria divenga un Paese di immigrati”, ha detto il premier in un’intervista alla radio pubblica.

A suo avviso, la sentenza della Corte di Giustizia europea spiana la strada al “piano” concepito da George Soros, il magnate statunitense di origine ungherese, che il primo ministro accusa di voler far insediare un milione di migranti musulmani in Europa e che per il governo magiaro rappresenta quel liberalismo definito da Orbán decadente e ormai privo di argomenti.

Diatribe di politica interna
La sentenza è stata invece accolta con favore dall’opposizione che vi vede una sconfitta del governo. I partiti di centro-sinistra contrari all’esecutivo e gli ambienti progressisti della società civile criticano da tempo le iniziative prese da Orbán e dai suoi ministri in questo campo e accusano il premier e i suoi collaboratori di aver imposto al Paese una deriva autoritaria e anti-europea che rappresenta la negazione più netta di ogni principio democratico. Lo accusano, inoltre, di aver intossicato l’opinione pubblica con una propaganda tesa a presentare i migranti come veicolo di terrorismo; e di isolare il Paese nella paura del diverso fino a renderlo insensibile a qualsiasi messaggio di solidarietà, nell’ostentata difesa di un’identità europea su cui c’è ancora molto da discutere.