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Stato dell'Unione

Ue: l’ultimo urrà del presidente Juncker

23 Set 2017 - Riccardo Perissich - Riccardo Perissich

Il discorso sullo stato dell’Unione di Jean Claude Juncker è stato da molti descritto come l’ultimo urrà di un federalista ostinato. Le critiche che hanno etichettato il discorso come irrealistico, o addirittura fuori luogo, erano da attendersi. Per essere credibile, un programma politico deve superare tre test: “ cosa, come e con chi”.

Iniziamo con il “ cosa”. Le proposte di Juncker sulla riforma della governance dell’eurozona riflettono idee già in circolazione. Trasformare il Meccanismo europeo di Stabilità (Mes) in un Fondo monetario europeo, completare l’unione bancaria e istituire un “bilancio e una capacità fiscale comuni per l’Eurozona”. D’altro canto, Juncker non ignora l’altra faccia della medaglia: la necessità di restituire credibilità alla disciplina fiscale sancita dal trattato di Maastricht e alle successive decisioni, care alla Germania e ad altri Paesi sulla stessa linea.

I tre test di un programma politico: cosa, come, con chi
Il dibattito sul futuro dell’eurozona, che ci si attende inizi dopo le imminenti elezioni tedesche, sarà caratterizzato da due temi principali: l’esigenza di trovare il giusto equilibrio fra condivisione e riduzione dei rischi oltre che fra la discrezionalità politica e il ‘dominio delle regole’ nella gestione dell’Unione economica e monetaria (Uem) .

Riguardo al primo tema, nonostante sia sbagliato sottovalutare l’importanza della riduzione dei rischi (come molti fanno a Roma), è ugualmente pericoloso negare l’esigenza stessa di alcuni strumenti di condivisione dei rischi (come alcuni fanno in Germania). Questa è una posizione estrema che, se sostenuta a Berlino e altrove, vizierebbe il dibattito fin dall’inizio. È ciò nondimeno un utile promemoria della montagna di scetticismo difficile da sormontare.

Questo ci porta al “come”. Juncker propone la creazione di un ministro delle Finanze dell’eurozona che ricoprirebbe entrambi i ruoli di vice-presidente della Commissione e presidente dell’Eurogruppo. Non sorprendentemente, questa è una proposta controversa che verrà probabilmente contestata per ragioni diverse sia a Berlino sia a Parigi. Quali che siano le altre prerogative del ministro delle Finanze, l’intera proposta non avrebbe senso se non comprendesse il controllo e l’applicazione delle discipline concordate.

Regole comuni e meccanismi di controllo
I tedeschi fanno giustamente notare che le regole comuni non sono state applicate correttamente ed è noto che siano tentati dal trasferire il compito a un organismo ‘tecnocratico’. Il trattato di Maastricht ha istituito una procedura che era essenzialmente un processo di ‘peer review’ fra i governi, con un minimo coinvolgimento della Commissione. È noto a tutti come questo approccio sia fallito.

In seguito, fra le altre riforme del sistema che è culminato nel Fiscal Compact, così come nel Two-Pack e Six-Pack, il ruolo della Commissione nel valutare la performance degli Stati membri è stato ampiamente rafforzato. Non s’è trattato di un’ostentazione di fervore federalista, ma piuttosto di un riconoscimento del fatto che una procedura interamente intergovernativa non funzionava. Non dovremmo stupirci che la Commissione sia criticata da tutti: da alcuni membri del Sud dell’Europa per la sua ossessione degli “zero virgole”, da altri per un uso della ‘flessibilità’ che è troppo spesso discrezionale.

Tuttavia, si può dubitare che la proposta di trasferire la competenza a un organismo tecnocratico risulti più efficace e meno conflittuale dell’organizzazione attuale. Questa proposta è spesso accompagnata da ipotesi di ‘decentralizzazione’, dove le forze di mercato acquisirebbero un ruolo maggiore nel determinare la sostenibilità del debito degli Stati membri, possibilmente con una procedura concordata per un default regolamentato. Dato l’irregolare e imprevedibile comportamento dei mercati finanziari, è difficile credere che una soluzione del genere potrebbe evitare uno scontro politico in modo permanente e che potrebbe funzionare senza un simultaneo rafforzamento degli strumenti di condivisione dei rischi.

Un giudizio politico indipendente dai governi
Anche i francesi potrebbero avere dei problemi con la proposta di Juncker, ma per ragioni diverse. Vorrebbero chiaramente vedere più – e non meno – discrezione politica nel sistema. Tuttavia, sono anche noti per avere una tradizionale sfiducia nella Commissione. Sostengono l’idea di un ministro dell’Eurozona, senza specificarne la collocazione. Si può presumere che, nonostante il titolo altisonante, il ruolo sarebbe indipendente dalla Commissione e dipenderebbe di fatto dai governi.

Lo sbocco inevitabile di queste diverse soluzioni sarebbe che di fatto tutti i problemi sensibili tornerebbero sul tavolo del Consiglio europeo, ma senza il filtro politico della Commissione. Lungi dal risolvere il problema di mancata fiducia fra Paesi e governi europei, esse finirebbero probabilmente per inasprire le tensioni. La verità è che, nonostante tutte le critiche che si merita, la gestione della crisi da parte della Commissione ha migliorato la situazione. Le regole possono e devono essere chiarite e rese più efficaci; e la loro applicazione deve essere percepita meno arbitraria. Ma sarebbe un’illusione credere che possiamo fare a meno del giudizio di un corpo politico indipendente dai governi.

Il presidente unico, un ponte fra due legittimità
Juncker fa un passo avanti e mette sul tavolo un’ulteriore proposta controversa: unire la a carica del presidente della Commissione a quella del presidente del Consiglio. Vi è una forte relazione logica fra questa proposta e quella riguardante il ministro delle Finanze. La prima è tuttavia più ambiziosa della seconda. Un ministro delle Finanze sarebbe una risposta pratica, sebbene coraggiosa, a un problema concreto: la governane dell’Eurozona. Un unico presidente obbligherebbe l’Europa a confrontarsi con il problema della legittimità delle istituzioni, da lungo tempo irrisolto. Dei due presidenti attuali, uno trae la propria legittimità interamente dai governi. L’altro è sempre più legato al Parlamento. Sarà estremamente arduo stabilire un ponte credibile fra le due legittimità.

Questo ci lascia con la domanda cruciale: con chi? Senza giri di parole, Juncker ha ricordato a tutti i Paesi che, con l’eccezione della Danimarca che ha deroghe nel Trattato, tutti gli Stati membri dovranno prima o poi adottare l’euro. Sebbene corretta sul piano legale, tale affermazione è a dir poco sconcertante. La Ue si confronta con tre situazioni contrastanti: il ‘trilemma’ dell’Europa. Dopo la Brexit, l’Europa deve tenere uniti i 27. La maggior parte dei governi crede che la riforma dell’Eurozona dovrebbe generare più integrazione. Dobbiamo tuttavia accettare che non vi sono possibilità che questa prospettiva riceva un consenso unanime. La risposta prevalente sembra essere quella di un’Europa a più velocità. Si tratta di una soluzione pragmatica, poiché ha il vantaggio del buon senso e può certamente essere utile a evitare veti quando un nucleo solido di Paesi vuole andare avanti.

Il ‘trilemma’ dell’Europa e l’unità di Juncker
La domanda è: sarebbe sostenibile nel lungo termine? L’esito della saga britannica sembra suggerire che non lo è. I problemi del gruppo di Visegrad sono esistenziali: se li si analizza, non sono dissimili da quelli che hanno accompagnato la lunga e tormentata storia dell’ adesione britannica e che sono in pratica risultati in alcune forme di velocità differenziate (ad esempio gli opt-outs del Regno Unito e della Danimarca). Quando l’ostacolo è esistenziale, più velocità possono solo offrire un modello utile per una transizione, non per una soluzione permanente. Il monito di Juncker di un obbligo universale di adozione dell’euro andrebbe letto in questo contesto, soprattutto poiché arriva dopo parole forti riguardanti l’importanza dei valori che tengono unita l’Europa.

Questa contraddizione spiega il netto rifiuto da parte di Juncker di istituzioni separate e anche di un bilancio specifico per l’Eurozona. Queste parole devono essere condivise per due ragioni. Il mercato unico e l’unione monetaria sono strettamente interconnessi; l’euro è innanzitutto una conseguenza logica del mercato unico. Non vi è modo di separare la gestione dell’uno da quella dell’altro. La flessibilità è ben accetta e di fatto necessaria: si possono concedere esenzioni dall’applicazione delle regole, ma la separazione delle istituzioni sfocerebbe in un disastro. In secondo luogo, l’Eurozona deve rimanere aperta a nuovi membri: istituzioni separate innalzerebbero dei muri. La conseguenza è che, sebbene un’Unione a più velocità rappresenti una soluzione necessaria per compiere progressi, non dovrebbe condurre a un’architettura istituzionale multilivello permanente. Principio questo che diventerà più e non meno vero se e quando un nucleo di Paesi si muoveranno nella direzione di maggior integrazione.