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Evoluzione istituzionale

Libia: Onu, quattro sfide per una difficile soluzione politica

10 Set 2017 - Roberto Aliboni - Roberto Aliboni

In Libia l’agenda istituzionale mette ora la crisi alle strette: il 29 luglio il Comitato per la redazione della Costituzione ha votato il testo di progetto costituzionale che ora , in tempi assai brevi, dovrebbe essere sottoposto a referendum; e l’Accordo Politico Libico (Apl) – cioè la transizione che doveva portare il Paese a una normalizzazione istituzionale – scade il 17 dicembre, con il rischio di lasciare il Paese nel vuoto. Può questa congiuntura istituzionale, con i suoi vincoli, agevolare una soluzione politica della crisi?

Nel Paese è emerso un consenso per tenere nuove elezioni, che allo stato è però privo di ogni supporto istituzionale. Da un lato, non è affatto detto che si riesca ad indire il referendum costituzionale. Dall’altro, le condizioni politiche e militari in cui oggi si trova la Libia rischiano di fare decadere quel minimo di struttura istituzionale che bene o male l’Apl ha rappresentato, a meno che qualcosa non lo rimpiazzi, e quindi di far piombare il Paese in un caos ancora peggiore di quello in atto.

Le quattro sfide dell’inviato Onu, partendo dalle elezioni
Alla fine di agosto Ghassan Salamé, l’inviato speciale dell’Onu per la Libia, che all’inizio di luglio ha sostituito Martin Kobler, si è rivolto al Consiglio di Sicurezza dell’Onu per informarlo della situazione e soprattutto degli obiettivi della sua azione diplomatica  in vista della scadenza dell’Apl.

Ha indicato quattro sfide principali. La prima è di forgiare un consenso per consentire una qualche forma di continuazione dell’Apl, sia pure con le modifiche necessarie a riscuotere l’appoggio da parte delle fazioni, per evitare il vuoto, almeno nell’immediato, e la tenuta di eventuali elezioni in condizioni inadeguate.

È a tutti evidente – almeno a quelli che hanno seguito le vicende della Libia dopo Gheddafi – che i libici rischiano di ripetere l’esperienza delle elezioni del 2014. La guerra civile di quell’anno scoppiò anche perché, in assenza di un contesto istituzionale condiviso, l’esito elettorale risultò inaccettabile ai perdenti, che quindi si sollevarono a mano armata contro i vincitori. Le tensioni odierne al centro della Libia e nella Sirte sono la spia di quanto potrebbe accadere se si andasse alle elezioni senza aver predisposto le condizioni politico-istituzionali per un’accettazione generale del risultato.

Un progetto costituzionale non condiviso
La seconda sfida deriva dal fatto che il progetto costituzionale approvato alla fine di luglio è subito apparso  tuttaltro che condiviso. Secondo le regole costituzionali provvisorie, che erano in vigore circa tre anni e mezzo fa, quando fu eletto il Comitato per la redazione della Costituzione, il referendum deve essere convocato trenta giorni dopo l’approvazione del progetto di Costituzione. Secondo le regole poi precisate nell’Apl, la convocazione del referendum deve essere fatta dalla Camera dei Deputati (Tobruk).

Secondo la giurista Azza Maghou,  la convocazione è un atto dovuto. Ma il potente presidente della Camera, Aguila Saleh Issa, che già tanto ha abusato dei suoi poteri, è notoriamente contrario non solo al provvedimento ma allo stesso Comitato per la redazione della Costituzione. Le esperienze precedenti fanno pensare che non lo farà convocare mai.

Come che sia, la validità del voto del Comitato è stata vivamente contestata da chi non ne condivide i contenuti e una corte nella città di Beida (dove risiede il governo che si rifà a Tobruk e alla Camera dei Deputati) ne ha già invalidato il voto. Ci sarà un ricorso alla Corte Suprema, ma certo i trenta giorni, che sono già passati, diventeranno sempre di più contribuendo al caos invece di dirimerlo.

Assicurare coerenza istituzionale e politica
La terza sfida consiste nell’assicurare coerenza istituzionale e politica alla Costituzione e alle elezioni, che quindi non dovrebbero avere luogo in un contesto di contraddizioni e sconnessioni costituzionali: le elezioni, ha sottolineato Salamé, non sono fatte solo per attribuire il potere a una parte, ma perché ciò avvenga nel  segno del consenso e della rotazione.

L’indicazione di questa terza sfida ha infine condotto Salamé alla quarta e più complessiva sfida e cioè alla necessità di articolare i tre processi finora menzionati in una sola sequenza, un pacchetto coerente, che apra la porta ad un processo di stabilizzazione democratica piuttosto che a una nuova guerra civile.

Articolare i processi in sequenza e garantirli
All’Assemblea annuale dell’Onu, che si aprirà il 20 settembre, quindi assai presto, è atteso l’intervento con il quale Salamé esporrà questa sequenza e i modi con i quali intende assicurarne la realizzazione.

Riassumendo, la sequenza è chiara: referendum, Costituzione, elezioni. Ma le condizioni politiche e sociali per metterla in atto mancano e si rischia di arrivare ad elezioni divisive come quelle del 2014. Il compito di Salamé è perciò quello di attuare questa sequenza e contemporaneamente costruire il consenso politico che manca e che oggi si traduce in un’opposizione al progetto di Costituzione ch è stato messo sul tavolo.

Le strade per cercare di uscire dall’impasse sono essenzialmente due: abbandonare le procedure istituite nel 2014 – ormai superate dall’evolversi della crisi e non facilmente gestibili – e modificare l’Apl facendo dell’Apl modificato la base di un compromesso politico generale e al tempo stesso di una Costituzione condivisa; altrimenti riaprire in qualche modo la possibilità di modificare il testo della Costituzione e approfittare dei tempi e dei procedimenti all’uopo necessari per trovare un consenso politico sufficientemente ampio.

Perciò, la congiuntura istituzionale che si profila in questa seconda parte del 2017 è una buona occasione per riaprire la ricerca di una soluzione alla crisi libica, ma Salamé dovrà prima affrontarne e scioglierne i complessi, apparentemente insolubili nodi politici. E questo non sarà un lavoro facile.