Medio Oriente: un’espressione e le sue complessità
Alla Oxford Analytica Conference del settembre 2012 David Miliband – già ministro degli Esteri del Regno Unito dal 2007 al 2010 – affermò in modo insolitamente netto per i canoni dell’understatement britannico: “Words such as Islam and Arab World hide and conceal as much as they reveal. The world should not be treated as a monolith”[1].
A distanza di cinque anni da tale affermazione, appare interessante valutare l’attualità di quelle parole nonché provare a mutuarle rispetto a ‘contenitori’ concettuali contermini. Oggi più che mai parrebbe infatti opportuna una operazione di de-costruzione analoga per l’espressione Medio Oriente e per l’acronimo – maggiormente esteso geograficamente – Mena (Middle East-North Africa).
Etichette geografiche: quanto esplicative e quanto fuorvianti
Entrambi i termini cercano di tenere insieme e racchiudere realtà e dinamiche eterogenee tra di loro, in certi casi indipendenti e talora persino divergenti: si pensi, per fare un solo esempio più recente, alle contrapposte posizioni adottate da Arabia Saudita e Qatar circa il ruolo dei Fratelli Musulmani e dell’islam politico in generale all’interno del mondo arabo.
Nella terminologia geopolitica più evoluta, si usa invece distinguere e differenziare tra un Near East (Proche Orient, Vicino Oriente) e un Middle East (Moyen Orient, Medio Oriente). Altri ancora si riferiscono ai tre blocchi rappresentati da Maghreb (“luogo del tramonto”), Mashreq (“luogo dove sorge il sole”) e Golfo, con i sottesi e discendenti approcci specialistici (Maghreb Analysts, Gulf Analysts, etc).
All’incrocio tra antico e moderno, una frammentazione di realtà
Al di là delle etichette nominali, le chiavi di lettura e gli approcci operativi nell’area Medio Oriente coprono in realtà uno spettro oltremodo diversificato di mondi e di prassi: si passa dai fondi sovrani dei Paesi del Golfo, rappresentanti oggi circa il 40% di tutti i fondi sovrani del Mondo, ai vincoli di solidarietà tribale intra-sunnita (asabiyya) sino al settarismo siriano di ascendenza sciita-alauita, in un abbraccio incrociato tra antico e moderno, antropologia e finanza avanzata.
Persino all’interno di uno stesso Paese dell’area dalle dimensioni ridotte come il Libano, le linee interpretative sono quanto meno duali, se non triplici: dalla prospettiva sunnita-salafita delle città di Tripoli e Sidone, sino alla declinazione sciita di Hezbollah e dei marja (autorità spirituali) di riferimento, passando per la galassia cristiano-maronita. Non è un caso che quest’ultima componente negli Anni Trenta del secolo scorso abbia elaborato il concetto di fenicismo, in rimando alla talassocrazia fenicia antica e risalendo ad un tempo mitico che fosse riduttivo di complessità e conflittualità.
Israele, Giordania e il ruolo strategico nelle nuove generazioni
Venendo all’attualità della cronaca nel Medio Oriente, appaiono certamente significativi i casi di Israele e della Giordania. Il primo, esploso nei suoi elementi costitutivi, presenta anch’esso letture multiple e stratificate: per divisione sociale (ashkenaziti contro sefarditi), costruzione nazionale (la cosiddetta Israeliness, includente gli arabi-israeliani di religione musulmana), appartenenza religiosa (essere ebreo prima che israeliano), dimensione securitaria.
Rispetto a quest’ultima vi è stata nel mese di luglio l’installazione e la successiva rimozione di metal detector all’ingresso della spianata delle moschee a Gerusalemme dopo i recenti atti di violenza intercorsi con Hamas. Che, a sua volta, il 17 agosto ha registrato nella striscia di Gaza il primo caso di attentato suicida condotto ai suoi danni dalla corrente salafita opponente.
Il Regno hashemita di Giordania, dal canto suo, ove circa il 70% della popolazione ha meno di 30 anni, presenta anche una realtà complessa. Possiede una leadership forte (Re Abdullah II, sul trono dal 1999 e già studente alla Sandhurst Military Academy nel Regno Unito) e ben internazionalizzata (la Regina Rania di Giordania, già ambasciatrice di lungo corso del fondo dell’Onu per l’infanzia Unicef).
La Giordania ha inoltre mostrato un impegno costante al fianco della Nato (Defence capacity building e addestramento a favore dell’esercito iracheno) e nella lotta al sedicente Stato islamico, come dimostrato dal caso del pilota giordano catturato e brutalmente ucciso nel 2015 dallo stesso autoproclamato Califfato. Al contempo, storicamente, sono emersi nella base sociale taluni rigurgiti salafisti-takfiristi (si pensi alla vicenda di Al Zarqawi in Iraq) nonché casistiche di foreign fighters quantitativamente significative.
In questo contesto occorre ricordare che la coraggiosa Giordania si è resa promotrice di una importante risoluzione dell’Onu (la 2250 del dicembre 2015) riguardante il ruolo critico dei giovani nei processi di pace e sicurezza. Il tentato attacco all’ambasciata israeliana ad Amman di domenica 23 luglio da parte di un giovane di appena 17 anni è apparso paradigmatico della centralità – attuale e prospettica – di questa fascia anagrafica.
[1] D. Miliband, Speech held at Oxford Analytica Conference, 2012.