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La decisione dell'Unesco

Eritrea: Asmara ‘patrimonio dell’umanità’ retaggio italiano

9 Ago 2017 - Antonio Armellini - Antonio Armellini

Ha avuto tutto sommato poco risalto da noi la notizia che l’Unesco ha recentemente dichiarato Asmara “patrimonio dell’umanità” con la motivazione: “un esempio eccezionale di urbanistica modernista”. Eppure la cosa avrebbe dovuto interessarci sotto più di un profilo.

L’Eritrea è stata l’unico Paese in cui il “mal della pietra”, che ha caratterizzato a volte in maniera irrazionale la colonizzazione italiana, ha avuto il tempo di lasciare una traccia strutturata.

La Somalia è sempre stata la retrovia trascurata. In Libia l’instabilità continua e la prevalenza data allo sviluppo agricolo (questo sì, con begli esempi di architettura rurale) hanno ridotto qualità e quantità degli interventi. In Etiopia i progetti “imperiali” non hanno avuto il tempo per essere realizzati: in tutte le principali città del Paese sono rimaste solo le tracce delle grandi costruzioni avviate e rimaste incompiute; e il nostro tentativo di recuperare i piani urbanistici, all’avanguardia per l’epoca, per trasmetterli al governo etiopico non andò a buon fine, nonostante qualche tentativo.

Esempio vivente dell’architettura italiana del Novecento
In Eritrea invece no: tempo e impegno hanno permesso di dare vita, soprattutto ad Asmara, a quello che è diventato un vero e proprio esempio vivente della storia dell’architettura italiana del Novecento: dalle villette finto-tirolesi e pseudo-liberty che segnalavano il raggiunto status dei primi coloni, al grande sviluppo urbanistico del periodo fascista, con la sua mescolanza di exploits razionalisti e di magniloquenza gradassa, sino ai ‘palazzinari’ del secondo dopoguerra, segno ultimo di una presenza italiana che è continuata ininterrotta sino alla definitiva espulsione negli Anni Settanta.

Fin qui la cosa potrebbe sembrare un ennesimo amarcord un po’ slabbrato di storia coloniale. Se non fosse per un fatto: quella architettura e quella dimensione urbanistica sono state non solo e non tanto preservate – cosa forse inevitabile in un Paese che povero era e tale è rimasto – ma introiettate dal Paese che l’occupazione coloniale aveva subito. Non credo vi siano esempi analoghi in altri Paesi, dove i lasciti degli ex colonizzatori sono stati a volte accettati e a volte distrutti, ma sono stati sempre recepiti come estranei.

Architettura da lascito coloniale a modello autoctono
L’analisi più accurata a recente della storia urbanistica del Paese non è italiana, bensì contenuta nel del bel volume: ‘Asmara’, opera di un gruppo di architetti eritrei che la hanno analizzata come parte della loro eredità culturale. Facendo di quella architettura modernista e di quello sviluppo urbanistico razionalista altrettanti modelli autoctoni su cui continuare a costruire lo sviluppo del Paese.

Mi è sembrato un dato che valesse la pena sottolineare. Perché credo sia un esempio senza precedenti di come una eredità coloniale figlia di una logica di sfruttamento si sia trasformata in un fattore di arricchimento e di crescita venendo assunta come propria da parte del Paese che quello sfruttamento ha subito. Lasciando trascolorare la dimensione “italiana” per recuperarne in chiave assolutamente “interna” la valenza che ne fa un unicum.

Testimonianze culturali vitali e derive politiche letali
Non ci sono in Italia esempi altrettanto completi – con la parziale eccezione di luoghi come Pontinia o Sabaudia – per cui chi vorrà studiare a fondo il razionalismo italiano e il rapporto con l’architettura dell’intero Novecento, potrà farlo solo analizzando questa testimonianza – ad un tempo preservata e vitale – di architettura eritrea.

E’ una cosa che dovrebbe farci piacere, specie se osserviamo come sul piano dell’identità politica le cose siano andate in maniera diversa. Isaias Afewerki è stato il capo storico della lotta per l’indipendenza nazionale ma, una vota raggiuntala, ha dapprima lanciato l’Eritrea in una delle più assurde e sanguinose guerre territoriali che l’Africa abbia conosciuto, per trasformarsi poi in un satrapo sanguinario. Dimostrando così di avere posto male a frutto gli insegnamenti avuti all’Università di Roma, dove era stato anche uno dei protagonisti del movimento studentesco…