IAI
Bilancio a metà mandato

Canada: Trudeau, bello, giovane e un po’ ipocrita

10 Ago 2017 - Alessandro Miglioli - Alessandro Miglioli

In Canada, complice un passato coloniale alle dipendenze del Regno Unito, vige un sistema di legge in larga parte consuetudinario. Fra le varie particolarità di questo sistema, che potrebbero quasi essere definite bizzarrie da noi europei continentali, vi è il fatto che, nelle leggi canadesi, il ruolo di primo ministro non ha in alcun modo una durata specifica.

Il primo ministro canadese svolge il suo ruolo “at Her Majesty’s pleasure” e, in caso di elezione di un nuovo Parlamento, ovviamente favorevole al suo governo, prosegue in maniera ininterrotta il suo mandato per più legislature.

Le elezioni politiche canadesi avvengono ogni quattro anni. Dunque Trudeau, oggi, è più o meno a metà mandato, a due anni circa dall’insediamento suo e dell’attuale Parlamento: il tempo giusto per un primo bilancio.

Chi è in realtà Justin Trudeau
Justin Pierre James Trudeau è, in primo luogo, un figlio d’arte. Nella mente della maggior parte dei canadesi con più di cinquant’anni infatti, Justin resta prima di tutto il primogenito di Joseph Philippe Pierre Yves Elliott Trudeau, uno dei più longevi ed apprezzati primi ministri canadesi.

La prima apparizione pubblica per cui Justin viene ricordato fu l’elogio funebre pronunciato al funerale del padre. E la persistenza nell’immaginario collettivo di una figura autorevole alle sue spalle gli ha permesso, insieme alla sua aria sorridente e ad una buona forma fisica, di continuare a fregiarsi della definizione di “politico giovane”, nonostante si possa dubitare della legittimità dell’utilizzo di tale appellativo per un uomo che ha già passato le 46 primavere.

Portavoce di istanze progressiste sociali e sul clima
In ambito politico, in linea con il suo Partito Liberale, Trudeau si è fatto portavoce di istanze fortemente progressiste a livello sociale. Da sempre autodefinitosi un “fiero femminista”, nel 2015 arrivò, durante la campagna elettorale, ad imporre il divieto di candidatura al Parlamento per tutti i liberali che non avessero garantito il loro appoggio a una legge fortemente pro choice in tema di aborto, attirandosi numerose critiche dalla frangia conservatrice del suo partito e dagli ambienti clericali canadesi.

Ma il momento che ha permesso al primo ministro canadese di presentarsi al Mondo intero come portavoce di istanze considerate progressiste fu la conferenza sul clima di Parigi del 2015, avvenuta giusto un mese dopo il suo insediamento.

In tale occasione infatti la delegazione canadese, guidata dalla ministra alle politiche ambientali del neo-formato governo Trudeau, Catherine Mckenna, fu tra coloro che più duramente si batterono per darsi obiettivi ambiziosi, ottenendo di porre il limite di innalzamento delle temperature medie del Pianeta a 1,5°C.

Il governo canadese ottenne un ritorno d’immagine estremamente positivo da queste due posizioni e l’entourage di Trudeau ha proseguito, nella retorica quantomeno, a sostenere istanze fortemente ecologiste, in linea con le posizioni del suo elettorato di riferimento, fortemente progressista in ambito sociale.

Contraddizioni canadesi tra energia ed ambiente
È bene però ricordare che l’accordo di Parigi ha natura puramente volontaria, e che quindi non è prevista nessuna forma di sanzione per gli Stati in caso di mancato rispetto delle emissioni di CO2 accordate, al di là, naturalmente, dell’eventuale senso di colpa per il destino del Mondo.

Ciò è un fatto importante da tenere a mente, perché il Canada ha recentemente vista la sua posizione di Paese relativamente povero in idrocarburi cambiare bruscamente. La scoperta nel 2005 di immense distese di sabbie bituminose nello stato dell’Alberta ha infatti catapultato il Canada al terzo posto della classifica degli Stati con le più grandi riserve accertate di petrolio.

Le sabbie bituminose sono una forma di deposito di idrocarburi molto superficiale, la cui estrazione comporta necessariamente la distruzione della foresta boreale in cui si trovano. A questo va poi aggiunta l’ovvia necessità di oleodotti di migliaia di km attraverso le distese selvagge del Canada centrale; e il fatto che il costo energetico della raffinazione di tali idrocarburi è molto più elevato, rispetto al petrolio estratto dai giacimenti tradizionali.

Migliaia di kmq di foresta sono già stati completamente distrutti, ma Trudeau non sembra intenzionato a fermarsi: lo scorso marzo, ad un meeting di produttori di petrolio ad Houston, è arrivato ad affermare che “nessuno Stato potrebbe mai trovare 173 miliardi di barili di petrolio nel suo territorio e semplicemente lasciarli lì.”

Trump e Trudeau meno diversi di quanto non appaiano?
Facciamo bene a preoccuparci delle posizioni dell’ingombrante vicino meridionale di Trudeau, il presidente Usa Donald Trump, che nonostante la già citata natura volontaria dell’accordo di Parigi ha deciso di uscirne e che afferma di voler riportare agli antichi splendori l’industria dell’estrazione di carbone negli Stati centrali dell’Unione. Ma per ora i discorsi di Trump hanno prodotto molta meno CO2 che le azioni di Trudeau.

Secondo l’organizzazione di ricerca Oil Change International e il giornale The Guardian, se il petrolio contenuto nelle sabbie bituminose dell’Alberta venisse estratto a pieno ritmo, il Canada rappresenterebbe il 30% delle emissioni di CO2 del pianeta, mentre costituisce solo lo 0,5% della popolazione mondiale.

Per essere un politico così giovane e progressista, Trudeau appare poco interessato al futuro del mondo.