Afghanistan: guerra che Trump non può vincere (militarmente)
Dopo aver criticato per anni l’impegno americano in Afghanistan ed essersi più volte speso, da privato cittadino, per un ritiro totale delle truppe statunitensi dal Paese, sembra che adesso, da commander-in-chief, Donald Trump abbia cambiato idea. Nel suo discorso a Fort Myer, in Virginia, il 21 agosto scorso, Trump ha infatti mostrato di aver compreso che non ci si può ritirare da un conflitto costato mille miliardi di dollari, più di duemila soldati e una buona dose del capitale politico di due presidenti senza portare a casa nessun risultato.
Peraltro, creare oggi un vuoto di potere in Afghanistan avrebbe conseguenze catastrofiche, lasciando campo libero, come in Iraq dopo il 2011, a gruppi terroristici quali Al-Qaeda e Isis.
Più truppe con un mandato ampio e senza limiti di tempo
Trump, nel procedere ad un aumento ‘chirurgico’ delle truppe dispiegate sul territorio – si parla di 4000 unità – è intenzionato a non ripetere gli errori del passato. Al contrario di Obama – che nel 2009 portò a centomila i soldati americani sul territorio afghano, annunciandone al tempo stesso il progressivo ritiro dopo diciotto mesi -, Trump non apporrà scadenze temporali all’incremento delle truppe.
Per evitare che i talebani possano tatticamente aspettare il ritiro per riprendere le loro scorribande, l’impegno americano sarà stavolta legato agli sviluppi politico-militari sul campo. Inoltre, i negoziati con i talebani – al cuore della strategia di Kerry quand’era segretario di Stato – saranno subordinati a significativi miglioramenti sulla sicurezza. Per ‘vincere la guerra’, Trump vuole anche cambiare le regole fissate da Obama dopo l’inizio del ritiro, che prevedono come unici obiettivi legittimi degli attacchi delle truppe Usa i gruppi terroristici come Al Qaeda ed Isis, e non anche i talebani. L’intenzione del presidente è dunque quella di aumentare l’elasticità del mandato delle forze sul territorio, consentendo loro di partecipare direttamente ad offensive contro i talebani per raggiungere determinati obiettivi strategici.
Il ruolo del Pakistan
Parlando del contesto regionale, Trump, in linea con le precedenti amministrazioni, si è espresso duramente nei confronti del Pakistan, sulla carta partner strategico statunitense e destinatario di milioni di dollari in aiuti, ma al tempo stesso rifugio sicuro per i gruppi terroristici che operano in Afghanistan e nel Kashmir. Occorre però tenere presente che eventuali misure come un blocco del flusso di aiuti, peraltro già parzialmente implementato, o un inasprimento delle sanzioni contro quei funzionari con legami più evidenti con il terrorismo potrebbero determinare il definitivo scivolamento di Islamabad sotto l’influenza cinese e quindi la perdita, per Washington, di importanti leve politico-economiche per influenzare l’agenda pakistana.
L’esortazione all’indirizzo dell’India, acerrimo rivale regionale del Pakistan, a partecipare ancora di più alla ripresa economica afghana si può considerare parte di una rinnovata pressione su Islamabad. Il Pakistan, che considera l’Afghanistan alla stregua di un suo satellite, è già turbato dal crescente interesse di Nuova Delhi per i destini di Kabul e dagli investimenti indiani nel Paese.
Cortocircuito al governo di Kabul
Ciò che non è ancora chiaro è come l’approccio di Trump possa fare fronte ai fallimenti politici ancor prima che militari della strategia americana in Afghanistan. Se infatti oggi i talebani controllano o contendono il 40% dei distretti afghani è soprattutto per la debolezza politica e per la mancanza di legittimità del governo di Kabul.
A tre anni dall’accordo post-elettorale che – ottenuto grazie ai buoni uffici di Kerry – ha sancito la spartizione del potere tra l’attuale presidente Ashraf Ghani e il capo dell’esecutivo Abdullah Abdullah ed ha sbloccato un’impasse che stava diventando molto pericolosa, la mancanza di popolarità e l’inefficienza dell’attuale compagine governativa sono più che mai evidenti. La partita si gioca infatti tanto nei distretti rurali in cui è più forte la presenza talebana quanto nei palazzi della zona verde di Kabul, dove corruzione e conflitti intestini indeboliscono un governo sempre più delegittimato e nutrono la propaganda dei terroristi, fornendo nuove leve alla lotta talebana.
Ghani è impopolare tra l’élite politica del paese, che lo giudica un leader arrogante e presuntuoso, reo di aver riempito le fila del governo di suoi fedelissimi di etnia Pashtun e di perseguire politiche settarie che penalizzano il secondo gruppo etnico del paese, i tagiki, rappresentati invece da Abdullah Abdullah. Il popolo afghano, dal canto suo, è frustrato dall’inefficienza e dall’incapacità di un governo percepito come un fantoccio degli americani e che non è in grado di garantire sicurezza e un minimo benessere economico.
Restituire legittimità alle istituzioni
Trump ha dichiarato chiuso, come già altri prima di lui, il capitolo del ‘nation-building’ ed ha affermato che d’ora in poi tutti gli sforzi si concentreranno sulla lotta al terrorismo. Al netto di quanto dovuto alla retorica, è chiaro che per far fronte a talebani, Al Qaeda e Isis è innanzitutto necessario restituire legittimità alle istituzioni politiche afghane, assicurandosi che le prossime elezioni siano condotte regolarmente ed il risultato accettato dall’opinione pubblica. Cambiare la legge elettorale, che ora prevede un sistema di voto singolo non trasferibile che avvantaggia i candidati singoli, e promuovere al suo posto un meccanismo di rappresentazione proporzionale che favorisca la formazione di partiti politici forti potrebbe essere un passaggio necessario, a patto che sia assicurata l’indipendenza della commissione elettorale, che deve fungere da garante per la correttezza dell’intero processo.
La guerra contro i talebani, se ne è forse convinto anche l’attuale inquilino della Casa Bianca, non si può vincere militarmente. Il leggero aumento della presenza americana sul territorio e il lieve aggiustamento tattico promesso da Trump al più possono evitare che la situazione sul campo si deteriori ulteriormente. Per convincere i talebani a deporre le armi e a partecipare al gioco politico è necessario costruire un’alternativa politica vincente ed efficace in cui il popolo afghano possa riconoscersi e da cui possa vedersi garantita protezione. Di fronte ad autorità deboli, elezioni truccate e governi corrotti, la lotta armata avrà sempre garantito supporto e legittimità.