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Italia e Unione europea

Ue: gli euro-incompatibili aspiranti Varoufakis

12 Lug 2017 - Riccardo Perissich - Riccardo Perissich

Sarà merito di Trump, di Brexit, di Draghi che ha stabilizzato Brexit e posto le basi per una ripresa della crescita, o dell’arresto della marea populista in Olanda, Austria e Spagna: fatto sta che, dopo due anni d’immobilismo pre-elettorale, l’Europa ricomincia a muoversi. Soprattutto, la vittoria di Emmanuel Macron può porre fine della sclerosi che ha caratterizzato la Francia negli ultimi anni, riequilibrare un po’ il rapporto con la Germania e permettere al motore franco-tedesco di ripartire.

Sorge spontanea la domanda: e l’Italia? Macron e Merkel non si stancano di affermare l’importanza del nostro apporto. Siamo un Paese fondatore, la terza economia dell’eurozona e il secondo per esportazioni e importanza della manifattura. La storia dell’integrazione europea è disseminata di fondamentali, a volte risolutivi, contributi italiani.

Attesi a braccia aperte, siamo tuttavia guardati con grande preoccupazione. Le debolezze strutturali che ci pongono ai margini della ripresa economica in atto sono troppo note perché sia necessario ricordarle. L’auspicato successo dell’ambizioso programma di riforme di Macron ci restituirebbe il poco invidiabile primo posto nella lista dei ‘grandi malati’. Preoccupa soprattutto lo stato della nostra politica. Siamo l’unico Paese in cui i sondaggi non hanno ancora registrato un mutamento di clima in favore dell’Ue. Siamo soprattutto l’unico Paese dell’eurozona con la prospettiva non solo teoriche di una maggioranza euroscettica nel prossimo Parlamento.

Si potrebbe discettare a lungo sulle molteplici ragioni per cui il nostro rapporto con l’Europa ha cessato di funzionare e che ci hanno trasformato da euro-entusiasti in euroscettici.

Impreparati a sederci al tavolo franco-tedesco
C’è tuttavia la diffusa volontà di ‘sederci al tavolo’ del rinnovato dialogo franco-tedesco. Quanto si legge sulla stampa e si ascolta nelle dichiarazioni dei responsabili non incoraggia tuttavia a pensare che il Paese sia preparato a occupare quella sedia in modo efficace. Cercare di prevedere l’approdo finale della nuova fase che comincia per l’Ue è in questo momento un esercizio sterile. Sono certe solo due cose. Da un lato la coppia franco-tedesca nutre ambizioni elevate. Dall’altro, il negoziato si muoverà entro limiti obiettivi di cui sarebbe irresponsabile non tenere conto.

La differenza fondamentale fra immobilismo e movimento è che nel primo caso tutto è concesso. Si può accusare l’Ue di tutti i mali e riempire il dibattito con il libro dei sogni di ciò che l’Europa dovrebbe essere e fare, nella sicurezza che resterà senza effetto; contrapporre il purgatorio di Bruxelles al paradiso di Ventotene. Quando le cose ricominciano a muoversi, la conseguenza è che il possibile si rivela nelle sue vere, limitate dimensioni. A questo passaggio non sembriamo preparati: c’è nel dibattito italiano sull’Europa un elemento d’irrealtà, di frustrazione, ma anche di compiacimento che si può rivelare molto pericoloso.

Guardando il dialogo franco-tedesco si dimentica troppo spesso che esso non si fonda su una spontanea convergenza d’interessi, ma su uno sforzo di volontarismo per superare profonde divergenze che dura a fasi alterne da più di mezzo secolo. Si è installata negli spiriti una strana alienazione dalla realtà dei rapporti con i nostri principali partner che, nutrita da un diffuso anti-germanismo, porta molti a considerare preferibile rivolgersi a Trump e/o a Putin piuttosto che a Bruxelles, Parigi e Berlino.

Da euroscettici a euro-incompatibili
Tuttavia, forse a causa dei sondaggi che nonostante tutto indicano una chiara opposizione all’uscita dall’euro, forse dopo il clamoroso flop della campagna sovranista di Marine Le Pen in Francia, forse per le evoluzioni in corso in Gran Bretagna, il clima è cambiato e una certa opposizione frontale all’Europa sembra affievolirsi. L’atmosfera ora dominante è che vogliamo restare nell’Ue e nell’euro, ma che chiediamo radicali cambiamenti. Fin qui niente di male, tutti convengono che l’Ue deve cambiare.

In Italia, però, le posizioni di gran parte dello schieramento politico cessano di essere euroscettiche solo per diventare ‘euro-incompatibili’. S’invoca a gran voce la ‘fine dell’austerità’, dimenticando che l’Italia non l’ha mai veramente applicata. Si brandisce l’arma del rifiuto dell’incorporazione del Fiscal Compact nel Trattato, dimenticando che le misure concrete che vi sono incluse sono già integrate nel diritto comunitario e in parte nella nostra stessa Costituzione. Il quadro diventa ancora più inquietante se si esaminano i programmi con cui le forze politiche si preparano alla prossima campagna elettorale.

A destra ci si gingilla con la proposta di una ‘moneta parallela’ e ci si avvia verso un consenso per una forma di ‘flat tax’ che, non accompagnata da una credibile riduzione della spesa, farebbe sicuramente saltare i conti pubblici; pericolo tanto più concreto perché abbondano le promesse di ulteriori benefici a favore di varie categorie e anche lo snaturamento della riforma Fornero.

A sinistra si chiede a gran voce lo scorporo degli investimenti dal Patto di Stabilità – misura non priva di saggezza anche se di difficile definizione -, ma si tace sul fatto che avrebbe come corollario che il saldo delle spese correnti, compreso il servizio del debito, dovrebbe essere rigorosamente zero. Si chiedono una patrimoniale, ovviamente gli eurobonds, altri importanti aumenti della spesa corrente, la reintroduzione dell’articolo 18, l’opposizione alla ratifica del Ceta [l’accordo di libero scambio Ue-Canada, ndr] e anche lì grandi passi indietro nella riforma delle pensioni. La peraltro timida stagione delle riforme strutturali è derubricata, persino da alcuni dei suoi protagonisti, a un episodio del ‘fallimento del neo-liberismo’.

I pentastellati navigano nell’abituale confusione, ma sembrano orientati e recepire gli elementi più tossici dei programmi degli altri schieramenti. Per colmare la misura, da questo tripudio di propositi ‘euro-incompatibili’ è tutt’altro che immune il Pd nella persona del suo segretario: Matteo Renzi tende a dimenticare che i parametri di Maastricht, compreso quello sul debito, erano una camicia di forza più soffocante del sistema che ne ha preso il posto e che va sotto il nome improprio di Fiscal Compact. Credere che oggi si possano discutere le regole solo per allentarle è una pericolosa illusione.

Tentazione di ricatto e mancanza di realismo
Ciò non vuol dire che dovremo essere semplici consumatori di decisioni altrui. Molte richieste che emergono dall’Italia sono giuste. Un esempio è l’immigrazione, anche se poi la razionalità delle proposte si perde nella cacofonia di un dibattito interno emotivo, elettoralistico e sconnesso dalla realtà.

Il problema è la mancanza di una realistica strategia d’insieme. Come si spiega che, anche con la diffusa complicità dei media e nel colpevole silenzio di gran parte della classe dirigente, sia propinata all’opinione pubblica una dose così elevata di mancanza di realismo? La risposta si trova forse nell’illusione che la minaccia di Italexit sia talmente dirompente da convincere i nostri partner ad accedere alle richieste più stravaganti. Si crea in questo modo nella testa degli italiani una pericolosa confusione fra essere ‘important’ ed essere ‘indispensabili’.

L’Ue è fondata sulla costante ricerca di compromessi per tener conto delle esigenze di ciascuno, ma il sistema tende a reagire con durezza quando si vogliono mettere in discussione principi essenziali da cui dipende la coesione e la sopravvivenza dell’insieme.

Questo modo fallimentare di affrontare il negoziato europeo ha precedenti illustri. La Gran Bretagna ha imparato a sue spese a più riprese che è impossibile bloccare la macchina quando c’è una forte intesa franco-tedesca e il consenso degli altri. Più di recente, Cameron, Tsipras e il suo ispiratore Varoufakis si sono presentati a Bruxelles sicuri che il ricatto di Brexit o di Grexit avrebbe piegato le resistenze. Sappiamo come andò a finire.

In Italia, fino a poco tempo fa la retorica ‘euro-incompatibile’ era appannaggio solo di alcuni politici. Più di recente, è emersa in loro aiuto una schiera di brillanti e ambiziosi economisti. Il loro messaggio è spesso contraddittorio, sempre irrealistico, ma fornisce ai populisti di varia estrazione la struttura concettuale di cui avevano bisogno. Se abbiamo molti aspiranti Varoufakis, non è tuttavia ancora chiaro chi possano essere gli aspiranti Cameron e Tsipras: le persone decise a battersi i pugni sul petto a casa come i gorilla nel parco di Virunga ed a presentarsi poi al negoziato con l’intento di battere vigorosamente i pugni sul tavolo… Per tornare a Roma a mani vuote o quasi. Oppure, come Tsipras, per tornare portando con sé sullo stesso aereo i membri della troika. Con quali conseguenze per il Paese è facile immaginare.