Ue-Egitto: un modo per dimenticare Giulio Regeni
L’Unione europea e l’Egitto stanno avanzando sull’impegno nel quadro delle priorità condivise dell’accordo di associazione e cooperazione siglato nel 2001: è questo il messaggio principale dell’ultimo country report sul Paese delle piramidi preparato dalla Commissione europea e dal Servizio europeo per l’azione esterna, Seae. Il rapporto, un documento che di per sé non ha un forte peso politico, è stato reso noto una settimana prima del prossimo Consiglio di Associazione Ue-Egitto, che si svolgerà il 25 luglio a Bruxelles. Un appuntamento che l’Italia guarderà con particolare interesse, per capire come l’Unione si pone nei confronti del Paese con il quale, dall’aprile scorso – a causa della scarsa cooperazione giudiziaria sul caso Regeni – l’Italia ha in corso una crisi diplomatica, segnata dall’assenza del nostro ambasciatore al Cairo.
Dal momento che l’Egitto fa fronte a un sempre più complesso ambiente economico, sociale, politico e di sicurezza, spiega la nota europea che dà notizia della pubblicazione dello studio, l’Ue è fermamente impegnata a continuare a sostenerlo nel fare fronte alle sfide attuali, sulla base di nuove priorità di partenariato.
Le dimenticanze europee sull’Egitto
Anche se non è privo di riferimenti e richiami al rispetto dei diritti umani, dello stato di diritto e delle leggi, l’accento posto a queste questioni dal country report a firma Ue è molto debole. E lo è ancora di più se si pensa che il rapporto prende in esame il periodo che va dal gennaio 2015 al maggio 2017. Anni in cui in Egitto, dove dal 2013 sono tornati al potere i militari, si è instaurato un regime per alcuni aspetti addirittura più brutale di quello di Mubarak, rovesciato dai rivoluzionari di piazza Tahrir che all’epoca incassarono anche applausi provenienti da Bruxelles.
Sfogliando il rapporto, soprattutto a occhi italiani, salta all’occhio l’assenza d’una qualsiasi menzione di Giulio Regeni, il giovane ricercatore italiano tragicamente morto a seguito di brutali torture a inizio 2015. La mancanza di alcun richiamo al nostro cittadino mostra il più ampio isolamento italiano, in ambito europeo, sul caso. Nel marzo 2016, il parlamento di Strasburgo ha presentato una proposta comune di risoluzione non vincolante che, menzionando il caso Regeni, ha criticato fortemente il ricorso alla tortura. Questo richiamo non si è tradotto in alcuna pratica politica. A nulla è servita la comparsa a Bruxelles dei genitori di Regeni che, nel giugno 2016, hanno chiesto ai parlamentari europei di isolare il Cairo. Anzi, sin dall’inizio della crisi bilaterale, diversi Paesi dell’Ue, Francia in primis, hanno cercato di sostituire l’Italia nella relazione privilegiata che aveva con l’Egitto.
Omissioni e sottovalutazioni
Quello di Regeni non è l’unico nome dimenticato. Il country report non fa accenno neanche a Ibrahim Halawa, il cittadino irlandese di origini egiziane arrestato ancora minorenne al Cairo, durante le manifestazioni della Fratellanza musulmana contro la deposizione di Mohamed Morsi. Halawa finì in carcere alla vigilia del massacro – anche questo non menzionato dal rapporto – di piazza Rabaa al-Adawya, quando i militari egiziani usarono la violenza per fare piazza pulita del sit-in qui in corso a sostegno del deposto presidente Mohammed Mursi – rappresentante della Fratellanza.
Se dai nomi si passa ai fatti, il country report – che in una frase menziona presunti, ma non confermati, casi di tortura – non fa accenno alle sparizioni forzate, il più nuovo, e in alcuni casi brutale, strumento repressivo di cui si sta servendo il regime egiziano. Nessun richiamo neanche alla libertà di espressione – tutt’altro che garantita lungo il Nilo – ai diritti delle minoranze e alla violenza settaria, questione che – nonostante i buoni propositi- Al-Sisi non riesce a risolvere.
L’appello delle Ong alla Mogherini
Superficiali, almeno secondo il parere di chi scrive, anche le menzioni alla legge contro le manifestazioni e, più in generale, le riunioni. Lo stesso si può dire sulla legge riguardante le organizzazioni non governative, la cui chiusura forzata è solo accennata.
Mancanze, quelle elencate fino ad ora, che erano già state oggetto di una lettera inviata il 22 giugno a Federica Mogherini da una serie di associazioni internazionali ( dall’Arci al Cairo Institute for Human Rights Studies, passando per network di EuroMedRights) che avevano invitato l’Alto Rappresentante a posticipare il Consiglio di Associazione. Secondo i firmatari, dal dicembre 2016 – quando si sono concluse le negoziazioni sulle priorità dalla partnership tra Egitto e Ue – ad oggi, le autorità egiziane hanno soffocato ogni manifestazione pacifica di dissenso, chiudendo ulteriormente non solo la sfera pubblica, ma anche quella politica in previsione delle presidenziali previste per il 2018.
Ue, serve una nuova ricetta
Nonostante i progressi macroeconomici, dovuti a riforme strutturali tutt’altro che indolori, l’ Egitto di oggi è un Paese che deve affrontare una serie di crisi, securitarie, politiche e socioeconomiche tutt’altro che facili, soprattutto per un Paese le cui istituzioni faticano ad essere indipendenti ed efficienti. Tutto ciò rende l’ Egitto una nazione la cui stabilità è solamente di facciata. In aggiunta, essa non sembra sostenibile nel lungo periodo. Non tanto perché è molto costosa in termini di diritti umani, ma anche perché il regime non appare intenzionato a promuovere un processo politico realmente inclusivo, l’unico in grado di garantire una credibile stabilità nel lungo periodo.
Com’è già successo in un passato piuttosto recente, il semaforo verde arrivato al Cairo da Bruxelles rischia di dimostrarsi controproducente. Ecco perché, per scongiurare altre crisi, l’Europa dovrebbe proporre una ricetta più articolata e più originale. Stabilità e sviluppo richiedono apertura e riconciliazione politica. L’esatto contrario di quanto sta accadendo in questi anni lungo il Nilo.
Piuttosto che garantire un pieno avallo all’attuale regime, l’Ue avrebbe interessi a sostenere un percorso che vada in direzione opposta. Probabilmente questa nuova via porterebbe su sentieri più irti, ma arrivati in vetta ci sarebbero più possibilità di rimanervi a lungo.