Tortura: legge insoddisfacente, ma un passo avanti
La nuova legge sulla tortura, approvata in via definitiva dalla Camera dei Deputati il 5 luglio, è il punto di arrivo, quantomeno provvisorio, di un cammino durato quasi tre decenni: da quando, nel novembre del 1988, il Parlamento ha autorizzato la ratifica della Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura e gli altri trattamenti o punizioni crudeli, disumani e degradanti. Un cammino caratterizzato da tentativi numerosi di adeguare la legislazione italiana agli obblighi, soprattutto di punizione, imposti da quella Convenzione.
In particolare, nel corso degli anni si è tentato – inutilmente, a causa dei contrasti apparentemente insanabili sulla sua definizione – di introdurre una fattispecie specifica di tortura nel codice penale ordinario. Ci si sarebbe potuti attendere che ciò avvenisse dopo i “fatti di Genova” del 2001 – come era avvenuto per il codice militare di guerra sulla scia dei “fatti di Somalia” -, ma così non è stato.
Giudici e Governo che dovevano ‘arrangiarsi’
Nel frattempo, di fronte a episodi di tortura accertati, i giudici italiani hanno dovuto – per così dire – arrangiarsi, incriminando per reati generici, punibili con pene lievi, con il risultato quasi inevitabile che la brevità dei termini di prescrizione, talvolta in combinazione con la lunga durata dei procedimenti, ha determinato l’impossibilità di punire.
E nel frattempo, i rappresentanti del Governo italiano, di fronte al Comitato delle Nazioni Unite contro la tortura e a diversi altri organi internazionali di controllo, hanno dovuto anch’essi arrangiarsi, sostenendo da un lato un’interpretazione restrittiva dell’obbligo convenzionale di punire (che testualmente – ma solo testualmente – renderebbe compatibile con quell’obbligo la “copertura” della tortura mediante reati generici) e, dall’altro, ripetendo con credibilità decrescente con il passare degli anni che il Parlamento era “in procinto” di introdurre il reato di tortura.
Mancato rispetto delle Convenzioni internazionali
Negli ultimi tempi, alla questione del mancato adempimento degli obblighi previsti dalla Convenzione delle Nazioni Unite si è affiancata quella del mancato rispetto degli obblighi derivanti dall’art. 3 della Convenzione Europea. Quest’ultimo, che riconosce il diritto assoluto a non subire torture o trattamenti o punizioni inumani o degradanti, è stato interpretato dalla Corte di Strasburgo nel senso di imporre sia obblighi sostanziali (di astensione dalla pratica della tortura) sia obblighi procedurali (di svolgere, a fronte denunce di tortura, un’inchiesta “effettiva”, idonea all’accertamento dei fatti, all’identificazione dei responsabili e alla punizione adeguata di questi ultimi).
La sentenza nel caso Cestaro contro Italia del 2015 ricostruisce, con chiarezza esemplare, le conseguenze che ha avuto l’assenza, nel nostro ordinamento, di una disciplina statale adeguata a punire efficacemente la tortura.
Insoddisfazione dei contrari e dei favorevoli
Se questo, in estrema sintesi, è il contesto, la nuova legge, frutto di un compromesso, ha lasciato insoddisfatti molti: non soltanto i contrari “senza se né ma” alla previsione di un reato specifico di tortura, visto come una forma di criminalizzazione delle forze di polizia. Anche sul fronte opposto, quello dei sostenitori della necessità di una legge contro la tortura – nell’interesse specifico delle stesse forze di polizia oltre che nell’interesse generale -, vi è chi si battuto per la non approvazione del testo, giudicato “peggio di niente”.
Almeno c’è il reato di tortura, ma la legge poteva essere migliore
Amnesty International è stata, invece, tra coloro che, pur criticando la definizione accolta, hanno ritenuto prevalente la necessità di introdurre comunque il reato di tortura nell’ordinamento italiano. Che la legge approvata avrebbe potuto essere migliore, molto migliore, è certo. La definizione della fattispecie è lunga e contorta – apparentemente al fine di escludere, di lasciare fuori, piuttosto che di includere tutte le forme di tortura che si riscontrano nella prassi contemporanea. E presenta almeno due difetti specifici.
In primo luogo, l’espressione “verificabile trauma psichico” fa emergere una diffidenza, fuori luogo e antistorica, rispetto alla sofferenza mentale quale elemento costitutivo della nozione di tortura. In secondo luogo, da certe espressioni incluse nella definizione si ricava l’impressione che la tortura possa essere intesa come tale solo se è frutto di più condotte ripetute.
Entrambi questi aspetti fanno sorgere il dubbio legittimo che il nuovo reato non sia idoneo a comprendere tutte le ipotesi di tortura nel senso del diritto internazionale. Ed è altresì deludente la scelta di non allungare i termini di prescrizione del reato di tortura oltre quanto previsto dalle regole generali. Tempi di prescrizione più lunghi (o addirittura l’imprescrittibilità, prevista in alcuni ordinamenti statali) avrebbero costituito una garanzia più certa contro l’impunità.
Passo avanti verso l’adempimento degli obblighi internazionali
Nonostante tutto ciò, e senza voler in alcun modo sottovalutare questi limiti, l’introduzione di un reato specifico di tortura nel nostro ordinamento rappresenta un passo avanti verso l’adempimento degli obblighi di punire la tortura previsti dalle convenzioni internazionali sui diritti umani. La rimozione del silenzio del codice sulla tortura, il fatto di chiamarla con il suo nome, la circostanza che sia possibile – sia pure, probabilmente, con qualche difficoltà – discutere di “tortura” nelle aule dei tribunali italiani, senza doverla camuffare da abusi o lesioni o altri reati generici, e che vi sia la speranza (anche se non la certezza) di riuscire a punirne i responsabili, sono un progresso rispetto alla situazione precedente.
Per un’organizzazione come Amnesty International, che da sempre persegue obiettivi ambiziosi in modo pragmatico, avvicinandosi alla meta un passo dopo l’altro, cogliendo le possibilità esistenti per ottenere risultati concreti anche piccoli, piuttosto che limitarsi a testimoniare ciò che sarebbe giusto (se solo fosse possibile), una previsione legislativa non del tutto soddisfacente è … meglio, e non peggio, di niente.