Spazio: primo satellite italiano anti-detriti
D-Sat, un satellite di progettazione e costruzione italiana dotato di una tecnologia innovativa per la riduzione dei detriti spaziali, è stato lanciato il 23 giugno dal Satish Dhawan Space Centre di Sriharikota (India). D-Sat è il primo satellite nella storia che sarà rimosso in maniera diretta e controllata alla fine della sua missione, grazie a un dispositivo dedicato e integrato a bordo.
Dal punto di vista tecnico, D-Sat è un CubeSat (categoria di piccoli satelliti) composto di tre unità. La sua missione è di eseguire tre esperimenti in un’orbita eliosincrona di 500 km di altitudine. Al termine della missione, D-Sat eseguirà una manovra di rientro diretta e controllata che ne causerà la distruzione sopra l’oceano, lontano da aree abitate.
Caratteristiche, dotazioni e compiti del D-Sat
D-Sat è la prima dimostrazione orbitale di un Decommissioning Device (D3), un sistema propulsivo (a combustibile solido) intelligente progettato per rimuovere un satellite dall’orbita con una manovra diretta e controllata alla fine della missione o in caso di malfunzionamento. Il sistema può operare un “de-orbiting”, spostando il satellite in un’altra orbita o in un “cimitero dei satelliti”, di cui si parla da tempo, oppure portare il satellite al rientro nell’atmosfera (“re-entering”) per la sua distruzione.
Il sistema integrato all’interno di D-Sat può essere adattato a satelliti di ogni dimensione, evitando in questo modo la creazione di altri detriti spaziali quando il satellite ha terminato la sua missione.
D-Sat eseguirà anche un test orbitale del protocollo Mames (Multiple Alert Message Encapsulation), definito da Etsi (European Telecommunications Standards Institute). Mames è un protocollo che permette di incapsulare diversi formati di messaggi d’allarme, con l’obiettivo di distribuirli alle vittime di disastri naturali in aree nelle quali le infrastrutture di telecomunicazione sono state compromesse. Questi scenari di emergenza stanno diventando sempre più comuni a causa della correlazione tra cambio climatico e fenomeni naturali come uragani, incendi, tornado, piogge torrenziali e inondazioni, per cui questo esperimento potrebbe aiutare a salvare centinaia di vite umane.
Spazio un bene strategico a uso pacifico
D-Sat è prodotto da D-Orbit, una società italiana di sistemi satellitari, specializzata in prodotti e servizi per ottimizzare e razionalizzare le fasi iniziali e finali di una missione satellitare, riducendo la complessità dei sistemi e incrementando il tempo di vita e l’affidabilità del satellite stesso. La società è nata nel 2011 grazie a Luca Rossettini, un ingegnere formatosi come ricercatore negli Stati Uniti. D-Orbit dispone di una ground station per il controllo delle attività spaziali: ha sede a Milano e filiali a Washington D.C. e Lisbona.
Per capire l’importanza di questo progetto è opportuno ricordare il ruolo dello spazio nella nostra vita quotidiana.
Lo spazio è un bene strategico che appartiene al genere umano e che deve essere sfruttato solo per scopi pacifici, secondo i trattati delle Nazioni Unite. Tuttavia, bisogna ammettere che è assai difficile distinguere l’uso civile o militare (noto come dual use) che viene fatto dei segnali che giungono dallo spazio, come quelli di osservazione della terra (progetto europeo Copernicus), di posizionamento e navigazione (progetto europeo Galileo simile al GPS americano) o i segnali di telecomunicazione da cui dipendono radio, televisioni, transazioni commerciali e finanziarie e molti altri servizi.
Opportunità e rischi
Lo spazio è uno strumento che permette di mantenere l’azione di governo quando le infrastrutture di terra sono fuori uso e la capacità di affrontare sfide globali quali la conservazione dell’ambiente, lo studio e la mitigazione dei cambiamenti climatici e l’attuazione della sicurezza per i propri cittadini. Inoltre, lo spazio è fondamentale per l’indipendenza, la sicurezza informatica e la gestione delle crisi, inclusa la migrazione.
In caso di crisi con uno Stato, conosciamo misure come il blocco navale o la no-fly zone. Oggi è possibile anche il blocco spaziale. Il blocco spaziale è una deliberata interruzione del funzionamento delle infrastrutture spaziali critiche con operazioni lanciate da o contro space-based asset o space-related assets destinati ad assicurare soprattutto la continuità delle azioni di governo, i trasporti, le telecomunicazioni, le transazioni economiche, la sicurezza.
Il blocco spaziale può essere attuato da satelliti contro altri satelliti, da infrastrutture al suolo in grado di colpire quei satelliti che permettono l’interdipendenza tra infrastrutture a terra, da cyber attack che degradano o cancellano i segnali provenienti da infrastrutture spaziali. Anche un piccolo Paese che disponga di tecnologie sofisticate per attuare un simile blocco può seriamente compromettere l’operatività di un grande Stato.
Da questa breve esposizione appare chiaramente l’importanza delle infrastrutture spaziali e del loro funzionamento.
La minaccia dei detriti spaziali
I detriti spaziali rappresentano oggi un rischio per la continuità e la sicurezza delle attività spaziali. Dal novembre 2015, più di 5100 lanci hanno messo in orbita circa 7200 satelliti, di cui circa 4100 sono rimasti nello spazio e solo 1100 sono ancora oggi operativi. Questi sono accompagnati da quasi 2000 corpi orbitali sparsi e un gran numero di detriti di frammentazione, causati dalla rottura di più di 200 oggetti spaziali.
Questa grande quantità di hardware nello spazio ha una massa totale di oltre 8000 tonnellate. Più di 23.000 oggetti spaziali (di cui circa 17.000 pubblicati) sono regolarmente rintracciati dall’ US Space Surveillance Network e mantenuti nel suo catalogo, che copre oggetti di dimensioni superiori a circa 5/10 cm nelle orbite basse (Leo) e superiore a 30 cm/1 metro alle altezze geostazionarie (Geo).
Leo è la regione più congestionata nello spazio vicino alla Terra, contenente circa il 75% di tutti gli oggetti catalogati. A velocità tipiche di collisione di dieci chilometri al secondo in orbite basse, si prevede che gli impatti di detriti superiori a circa 10 cm causino rotture catastrofiche, vale a dire la completa distruzione dell’infrastruttura spaziale con un conseguente evento di frammentazione e la produzione di altri detriti. Per oggetti troppo piccoli da catalogare i livelli di popolazione sono ancora più grandi. Ad esempio, il numero di detriti compresi tra uno e dieci centimetri è valutato a diverse centinaia di migliaia e il numero compreso tra un millimetro e un centimetro è superiore a 100 milioni.
L’esigenza di una convenzione internazionale
Questo dimostra come sia urgente evitare che le infrastrutture spaziali (principalmente satelliti) che saranno lanciate in futuro nello spazio generino altri detriti spaziali, pena la compromissione delle attività spaziali di cui si è accennato, in particolare quelle dedicate alla sicurezza. Il progetto CleanSat dell’Agenzia spaziale europea è stato disegnato per ridurre i detriti spaziali e la tecnologia come quella di D-Sat rappresenta un concreto passo in avanti per la realizzazione di questo progetto.
Purtroppo, per quanto riguarda i detriti spaziali non esistono norme cogenti, ma solo le linee guida dell’UNoosa (United Nations Office for Outer Space Affairs) o un progetto europeo di Code of Conduct per le attività spaziali che comprende disposizioni per i detriti spaziali. Queste disposizioni sono definite di soft law, quindi non cogenti rispetto alle norme di hard law. Ci sarebbe bisogno di una convenzione internazionale sottoscritta da tutti i Paesi che svolgono attività spaziali, come quelle che esistono in campo aeronautico.