Siria: buoni e cattivi, le diverse facce della jihad
L’accordo raggiunto fra Russia, Usa e Giordania per un cessate-il-fuoco nei governatorati del sud-ovest della Siria di Daraa, Quneitra e Suwayda ha dimostrato, dopo gli anni di presidenza Obama, una prima concreta convergenza di intenti fra le due Super-Potenze: oltre alle forze pro-Damasco, a detenere il controllo nelle tre regioni oggetto dell’accordo di de-escalation è l’organizzazione ribelle Fronte del Sud.
Il gruppo, vicino ma non affiliato all’Esercito Siriano Libero (Esl), è nato nel febbraio del 2014 dall’unione di 49 diverse milizie e, presentandosi come la “voce moderata” dell’opposizione siriana, è riuscito ad attirare il supporto militare, finanziario e logistico di Stati Uniti, Arabia Saudita ed Eau.
Il documento di Amman, parallelo a quello di Astana, si va a collocare nella più ampia logica relativa alla creazione di quattro zone di de-escalation in diverse aree del territorio siriano, che includono i territori a nord di Homs, la Ghouta Orientale (Damasco), i tre sopra citati governatorati e la regione di Idlib.
Separare l’opposizione legittima dai movimenti terroristi
In Siria, al momento, una delle questioni principali fra il governo, l’opposizione e i vari attori esterni coinvolti risulta essere la separazione dei gruppi ribelli “legittimi”, da quelli considerati “terroristi”. E’ ormai conclamata la designazione nella lista delle organizzazioni terroristiche del sedicente Stato islamico, l’Isis, o Daesh, e dell’organizzazione ombrello Hay’at Tahrir al-Sham (Hts), in cui prevalgono gli elementi appartenenti all’ex Jabhat Fateh al-Sham e Jabhat al-Nusra, ovvero al-Qaida in Siria.
Ma la questione per la seconda formazione risulta essere ancora oggi spinosa, a causa della notevole influenza che Hts esercita su Idlib, uno dei governatorati oggetto dell’accordo di de-escalation. Infatti, oltre a rappresentare l’ultimo bastione dell’opposizione, tale regione costituisce il cuore pulsante di Hts, che è riuscita a imporsi sia a livello militare che amministrativo, influenzando al momento 81 dei 156 consigli locali e arrivando a controllare numerose zone al confine con la Turchia. Come ribadito dall’inviato speciale dell’Onu de Mistura è proprio sul futuro di quest’area che si stanno incontrando le maggiori difficoltà.
L’opposizione “legittima” isola Hay’at Tahrir al-Sham
Nei giorni in cui ancora si credeva in Siria di potere destituire militarmente il governo Assad, i gruppi che formano l’odierna Hay’at Tahrir al-Sham hanno spesso serrato i ranghi assieme alle formazioni secolari e ad altri gruppi Islamisti: nel nemico comune, gruppi ribelli con ideologie diverse hanno trovato il collante per combattere fianco a fianco. Tuttavia, ora che le condizioni per un dibattito sul futuro politico del Paese si stanno – seppur lentamente – venendo a creare, i ribelli riconosciuti dalle potenze esterne come “legittimi” starebbero progressivamente isolando Hts.
A riprova di ciò, possiamo citare le recenti tensioni venutesi a creare fra la stessa Hts e l’altro attore principale del governatorato, Ahrar al-Sham (AaS), suo storico alleato in armi. Queste due formazioni Islamiste sono riuscite ad imporre la loro presenza nella regione, fagocitando quella sfilacciata unione di milizie dell’Esl che, nonostante il supporto statunitense, ha finito per combattere con inefficienti tattiche di insorgenza de-centralizzata. Il rapporto odi et amo fra Ahrar al-Sham ed Hay’at Tahrir al-Sham è dovuto alla complessità della realtà jihadista siriana, la quale ha mutato forma nel corso del tempo, modificando la propria natura.
Mutamenti di forma e tattiche camaleontiche
Un esempio è stata la trasformazione da Jabhat al-Nusra a Jabhat Fateh al-Sham annunciata nel luglio del 2016 dall’ex leader al-Joulani – ora eminenza grigia dell’organizzazione – il quale, con un chiaro riferimento ad al-Qaeda (a-Q) centrale, dichiarò pubblicamente la scissione da qualsiasi “entità esterna”. Tale tattica camaleontica si collocava nella più ampia strategia atta ad abbandonare le mire internazionaliste di a-Q centrale: infatti, come affermato alcuni mesi prima dall’allora leader di al-Nusra in un’intervista concessa ad al-Jazeera, la Siria non sarebbe stata utilizzata come “rampa di lancio” per colpire l’Occidente, cioè, per intenderci, non avrebbe rappresentato un nuovo Afghanistan.
Nonostante quest’operazione di ‘rebranding’, l’allora Jabhat Fateh al-Sham è rimasta inserita nella lista delle organizzazioni terroristiche perché entità salafita-jihadista avente legami con al-Qaeda, destino incontrato anche dalla sua più recente trasformazione, Hay’at Tahrir al-Sham.
Al momento, Hts si ritrova progressivamente isolata: la leadership di al-Qaeda centrale ha criticato la sua decisione di abbandonare la jihad globale; la comunità internazionale la continua ad accusare di essere una costola di al-Qaeda; e il suo fedele alleato, Ahrar al-Sham, nonostante non l’abbia ancora scomunicata ufficialmente, sta adottando – in maniera di certo non casuale rispetto al dibattito ‘ribelli legittimi / terroristi’ in seno ai tavoli negoziali ad Amman ed Astana – posizioni sempre più conciliatrici verso le fazioni dell’Esl, tracciando un evidente solco con Hts. Al momento, si registrerebbero addirittura intensi scontri fra le due fazioni.
Ahrar al-Sham e il jihadismo revisionista
Pur non facendone parte, l’oramai scomparso Abu Khalid al – Suri, uno dei co-fondatori di Ahrar al Sham, è stato una figura di riferimento per il network di al-Qaeda durante gli anni ’80 e ’90. In un video del 2000, egli è persino ritratto vicino ad Osama bin-Laden ed Ayman al-Zawahiri nel campo di addestramento afghano di al-Farouq, famoso perché di lì passarono alcuni degli attentatori delle Torri Gemelle.
Khalid al-Suri fu poi il corriere di al-Qaeda in Europa, avendo avuto legami con la cellula responsabile degli attacchi di Madrid del 2004, anni nel quale egli era anche in stretti legami con Abu Musab al-Suri, proficuo stratega jihadista. Più recentemente, nel maggio del 2013, il co-fondatore di AaS fu nominato mediatore da Ayman al-Zawahiri in persona nella faida sfociata tra il Jabhat al-Nusra di Joulani ed il Daesh di Baghdadi. Nonostante questo passato ambiguo, sulle colonne del Washington Post è apparso il 10 luglio del 2015 un Op-Ed dell’allora capo delle relazioni estere di AaS, Labib al Nahhas, il quale negava categoricamente qualsiasi tipo di legame politico ed ideologico con al-Qaeda.
Seppur in principio la piattaforma ideologica di Ahrar-al-Sham fosse quella salafita-jihadista infatti, l’organizzazione ha saputo ritagliarsi nel tempo una posizione intermedia fra gli Islamisti più intransigenti e le forze secolari, diluendo parzialmente la propria ideologia e rigettando l’affinità dottrinale con Daesh ed al-Qaeda. Negando da subito i legami con a-Q, rifiutandone perciò l’assioma del jihadismo transnazionale in favore di quello locale, e accennando timidamente ai diritti delle minoranze nella cornice di uno stato basato sulla Shari’a, Ahrar ha assunto una posizione jihadista revisionista, montando una critica all’interno (e dall’interno) del movimento salafita-jihadista, pur preservandone lo spirito.
La storia di Ahrar al-Sham, che storicamente ha visto al suo interno diverse correnti di pensiero più o meno vicine ad al-Nusra, è un j’accuse verso tutti coloro che ignorano le complessità annidate nelle sfumature dell’Islam politico, in particolare in Siria: chi avrebbe mai pensato infatti, che un’organizzazione fondata da un nucleo di ex jihadisti vessati nella prigione delle torture di Sednaya, avrebbe finito per issare, accanto a quella della Shahada, la bandiera (pro-democrazia) della Rivoluzione siriana, candidandosi verosimilmente per un ruolo nel futuro governo siriano?