Cipro: il vicolo cieco della riunificazione
Pensavo che questa volta sarebbe andata diversamente. Pensavo che per la prima volta da quel lontano 1963, un allineamento delle stelle, più unico che raro, avrebbe permesso una riconciliazione a Cipro.
Sbagliavo.
Quando il 7 luglio a Crans Montana, in Svizzera, il segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres entrò in conferenza stampa dichiarando con tono sommesso che i negoziati si erano interrotti senza un accordo, mi sono posta una domanda scomoda: siamo giunti alla fine di un vicolo cieco a Cipro?
Il conflitto a Cipro è tra i più antichi dell’epoca post coloniale, ed è l’unico all’interno dell’Unione europea. Quel delicato compromesso costituzionale raggiunto nel 1960 che prevedeva un’eguaglianza politica tra greco-ciprioti e turco-ciprioti, e garanzie di sicurezze – con un sapore tutto coloniale – di Grecia, Turchia e Regno Unito, durò solo tre anni.
Nel 1963, gli articoli consociativi della Costituzione cipriota furono violati da parte greco-cipriota, dando via ad una stagione di violenza intercomunale. Nel 1974, a seguito di un colpo di stato militare greco sull’isola di Afrodite, la Turchia intervenne militarmente, occupando il 37% della parte settentrionale del Paese. Quell’occupazione dura ancora oggi. Dalla fine degli anni ‘70, ogni segretario generale dell’Onu si è speso sul conflitto cipriota. Innumerevoli gli inviati speciali che speravano di chiudere in bellezza le loro carriere per ritrovarsi immancabilmente con un pugno di mosche in mano. L’inviato dell’Onu Espen Barthe Eide è l’ultima tra queste vittime.
I dolori della soluzione federale
Eppure quello di Cipro sembrerebbe il più facile da risolvere fra i conflitti. Dal 1974, tranne sporadiche eccezioni, non c’è violenza sull’isola. Dal 2003, il confine non riconosciuto tra nord e sud è aperto. Greco-ciprioti e turco-ciprioti sono liberi di attraversare il “confine”, visitare l’altra parte dell’isola, fare compere, e nel caso di molti turco ciprioti, ottenere la cittadinanza della Repubblica (e dell’Unione europea) e lavorare a sud e nel resto dell’Ue. Sarebbe eccessivo sostenere che non esiste animosità tra le due comunità. Ma in confronto a molti conflitti a poche miglia dall’isola, da Israele-Palestina all’Ucraina, dalla Libia al Caucaso, dallo Yemen ai Balcani, Cipro è un’isola di relativa tranquillità.
Anche la dimensione regionale del conflitto, ossia le relazioni tra Turchia e Grecia, seppur non rosee, a partire dal rapprochement inaugurato dai terremoti del 1999, sono caratterizzate tanto da competizione strategica quanto da cooperazione economica e politica. A partire dalla fine degli anni ‘90, la Grecia sostiene ad esempio l’integrazione della Turchia nell’Ue.
Cosa spiega, dunque, questa triste sequenza di fallimenti negoziali? Perché il conflitto cipriota, la cui soluzione federale sembrerebbe essere così a portata di mano, persiste ancora oggi? Paradossalmente, o forse no, è proprio la relativa tranquillità sull’isola che rende un accordo così difficile da sancire. Qualunque accordo di pace richiede, inevitabilmente, compromessi spesso dolorosi per ognuna delle parti nel conflitto.
Una soluzione federale a Cipro richiederebbe, in sintesi, ai greco-ciprioti di co-governare in modo paritario l’isola con quella che loro considerano una minoranza turco-cipriota, mentre i turco-ciprioti sarebbero chiamati a cedere parte del loro territorio, a restituire molte proprietà private greco-cipriote situate nel nord dell’isola. Da par suo, la Turchia – così come la Grecia e il Regno Unito – dovrebbe cedere in parte i diritto di intervento unilaterale sull’isola e ridurre notevolmente la propria presenza militare a Cipro Nord.
I contorni di un accordo si conoscono perlomeno dai primi anni ‘90, se non addirittura dalla fine degli anni ‘70. Dal 2004 se ne conoscono anche i dettagli, illustrati nel piano Annan rigettato dai greco-ciprioti con un referendum nel 2004, e rivisti nell’ultimo round negoziale dal 2014 fino al fallimento di Crans Montana, poche settimane fa. Insomma l’accordo a grandi e piccole linee è noto.
Lo status quo che piace ad Ankara e Atene
Quel che manca è la volontà politica di fare quel salto nel buio richiesto in qualunque processo di pace. E quando lo status quo per una o più parti del conflitto è sostanzialmente tollerabile se non positivo, la motivazione politica di fare quel salto si diluisce fino a sparire completamente provocando il collasso del processo di pace. È questo quel che avvenne nel 2004, quando il governo greco-cipriota fece campagna per il “no” alla riunificazione, ottenendo la stragrande maggioranza dei voti.
Nel 2017, la ripartizione delle responsabilità non ricade però esclusivamente sui greco-ciprioti. Mentre i turco-ciprioti – vivendo in uno Stato non riconosciuto – sono fortemente motivati a raggiungere un accordo, greco-ciprioti, greci e turchi, per motivi diversi sono molto meno motivati ad accettare i compromessi intrinseci ad un accordo.
La Turchia di Erdoğan non è ideologicamente contraria ad un accordo federale sull’isola. A differenza della vecchia guardia kemalista, l’Akp di Erdoğan sostenne il piano Annan nel 2004 ed era aperta ad un accordo nel 2017. Ma per Erdoğan la priorità pare essere una e una sola: il consolidamento del proprio potere. Dunque, nella misura in cui la popolarità del presidente turco è in parte radicata nei settori nazionalisti del Paese, la volontà di raggiungere un compromesso a Cipro esiste ma risulta secondaria.
La Grecia è anch’essa ben disposta in linea di principio a raggiungere un accordo sull’isola. Ma un po’ per caso e un po’ per via delle posizioni personali dell’attuale ministro della Difesa di Atene Panos Kammenos, appartenente al partito degli indipendentisti (nazionalisti di destra), la Grecia ha giocato un ruolo poco costruttivo negli ultimi mesi negoziali da gennaio in poi.
Infine, i greco-ciprioti che, arrivati agli sgoccioli del negoziato sulle garanzie di sicurezza e la presenza militare turca sull’isola, hanno alzato ulteriormente l’asticella, provocando il collasso delle trattative a Crans Montana.
Le vittime dello stallo
Sono passati 55 anni dallo scoppio del conflitto a Cipro, e 40 dall’avvio dei negoziati sulla riunificazione dell’isola. La sostanza del compromesso è nota a tutti. Ma la verità è che le parti, ed in primis i greco-ciprioti, sembrano essere relativamente soddisfatti dello status quo, o perlomeno insufficientemente scontenti per accettare quello che inevitabilmente sarebbe un compromesso doloroso e rischioso.
La verità scomoda che nessuno ha il coraggio di dire apertamente è che tutto sommato greco-ciprioti e turchi preferiscono lo status quo a Cipro. A rimetterci, come sempre, sono i più deboli, ossia la minoranza sempre più esigua di turco-ciprioti che controvoglia si vedrà progressivamente assorbita in una Turchia a sua volta sempre più lontana dall’Unione europea.