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Un anno di presidenza

Filippine: Duterte, lo sceriffo che ancora piace

19 Lug 2017 - Francesco Valacchi - Francesco Valacchi

Ad un anno dalla sua investitura, il presidente filippino Rodrigo Duterte ha sicuramente scosso il panorama politico interno del suo Paese, ma ne ha ancor più segnato le condizioni di sicurezza e la vita economica. La sua violenta campagna antidroga, basata su poteri straordinari concessi alle forze di polizia, che arrivano ad agire tramite vere e proprie esecuzioni extragiudiziali, ha colpito duramente l’opinione pubblica internazionale. La situazione a Manila è ancora troppo incerta per potere trarre un vero e proprio bilancio. Si possono però analizzare alcuni indicatori salienti, cercando innanzitutto di interpretare i motivi della fiducia che viene ancora  tributata del presidente nonostante la sua nota irruenza e la sua intransigenza.

La diplomazia
Un elemento importantissimo per le relazioni diplomatiche dello Paese del Pacifico è stato il cambiamento al vertice nell’Amministrazione americana: se infatti le relazioni con Barack Obama e il suo staff erano pessime e il confronto diretto all’ordine del giorno, il rapporto con Donald Trump è parso sin dall’inizio improntato al reciproco rispetto e alla collaborazione.

Trump ha avuto per Duterte importanti dichiarazioni di solidarietà in un colloquio telefonico, definendo il lavoro di lotta al traffico di droga promosso da Manila addirittura “incredibile” ed appoggiando in tutto e per tutto l’aggressiva politica del presidente filippino.

Al di là delle dichiarazioni programmatiche i rapporti con gli Stati Uniti e con la Russia sono stati essenzialmente proficui. Imprese statunitensi e, soprattutto, investitori americani legati al governo repubblicano stanno iniziando a stanziare risorse economiche come investimenti nelle Filippine, a partire da inizio anno. Un documento del Dipartimento di Stato pubblicato a fine giugno rivaluta il mercato delle Filippine considerandolo con una certa fiducia.

La relazione con Mosca, facilitata anch’essa, come quella con gli Usa, dalle affinità nell’immagine e nel carattere autoritario dei due presidenti, ha portato ad un incontro con Vladimir Putin a Mosca in maggio. Dal rapporto Duterte spera d’ottenere – l’ha affermato apertamente -, cooperazione negli armamenti. Il presidente filippino ha dovuto però abbandonare la Russia in anticipo a causa della degenerazione delle condizioni di sicurezza in patria (in particolare nel Sud).

La sicurezza
Le condizioni di sicurezza generali del Paese, al netto della spietata lotta al narcotraffico, sono infatti un problema che desta sempre più preoccupazioni. Certo l’attentato di giugno a Manila, dove un terrorista isolato ha attaccato un casinò uccidendo 37 persone prima di suicidarsi, è un preoccupante indicatore, ma la situazione è più complessa. L’attacco è stato rivendicato dal sedicente Stato islamico, seppure la voce ufficiale del governo dissenta e cerchi di ricondurre tutto ad un caso di lupo solitario.

La situazione è però quella di uno stato sull’orlo di un’emergenza terroristica. Nell’isola meridionale di Mindanao è in corso uno scontro fra forze del governo e guerriglieri legati al sedicente Stato Islamico che ha avuto una importante recrudescenza in maggio. L’ultima decade del mese ha visto un attacco in forze di guerriglieri che in più quartieri della cittadina di Marawi hanno avuto la meglio sui governativi e nonostante il massiccio impiego di forze di Manila la situazione è ben lungi dall’essere risolta.

La situazione è precipitata non a caso nel momento in cui l’Isis ha iniziato ad avere la peggio negli scontri militari sul suo territorio. Con la disfatta i flussi principali di ex-combattenti di Al-Baghdadi si sono diretti verso l’Europa attraverso la membrana permeabile della Turchia e verso l’area indonesiana. L’Indonesia è il principale stato musulmano dell’area, e ha il maggior numero al mondo di cittadini di fede islamica. L’obiettivo dei guerriglieri potrebbe essere non tanto la creazione di un vero e proprio califfato, quanto approfittare della scarsa controllabilità dell’area e creare sacche di resistenza islamiche cosparse a macchie sulle varie isole.

Uno dei migliori obiettivi di tale strategia sarebbe senza dubbio l’isola di Mindanao (adiacente all’Indonesia). La popolazione islamica della zona, dove è presente una regione autonoma musulmana, esacerbata dalle politiche violente ed esclusive del governo, costituisce un substrato favorevole all’attecchimento ed alla radicalizzazione dell’estremismo.

L’economia
La situazione economica delle Filippine era in lieve ripresa al momento dell’ascesa al potere di Duterte: oggi sono la terza economia dell’Asean. La crescita nel 2016 è stata un positivissimo 6,8%. Duterte ha ottenuto però nei primi tre mesi del 2017 la crescita più bassa a partire dal 2015. Il dato potrebbe preoccupare se affiancato al fatto che le Filippine detengono la presidenza dell’organizzazione internazionale e avrebbero potuto quindi influenzare l’Asean Economic Community.

D’altronde, come dimostra il suo recente rifiuto di 250 milioni di aiuti da parte dell’Unione Europea, per evitare che l’Ue si ”immischi negli affari interni del suo Paese”, Rodrigo Duterte non sostiene certo un approccio diplomatico multilaterale basato su vantaggi economici. Il presidente sembra piuttosto interessato a coltivare rapporti economici con Paesi che applichino una politica interna e dimostrino una visione comuni a quella filippina, ma soprattutto non interferiscano con il suo pronunciato autoritarismo.

Ultima grande incognita delle relazioni di Manila è la posizione cinese, vessata fino ad oggi dalla questione della disputa sul Mar Cinese Meridionale, ma che potrebbe evolversi positivamente per il grande interesse della Cina sulle economie dei paesi Asean e per la tradizionale non interferenza cinese sulla politica interna dei partner economici.

L’appoggio al presidente
La percentuale di approvazione interna del residente sceriffo rimane comunque altissima (circa 80%) e la sua politica della sicurezza imposta contro il rispetto dei diritti umani sembra fare ancora presa sui filippini. Pare effettivamente che il consenso sia basato sul timore causato in passato dall’imperversare della criminalità organizzata e nel presente dalle problematiche di sicurezza in genere. Gli sviluppi sul medio termine potrebbero però vedere sorprese legate alle prestazioni economiche dello Stato.