Balcani, tarlo per la sicurezza europea
Sarà Trieste, città da sempre ponte tra Europa occidentale e centro orientale, a ospitare, il 12 luglio, non solo i ministri degli esteri delle nazioni coinvolte nel processo di Berlino (Italia, Austria, Francia, Germania, Gran Bretagna e i sei Paesi dei Balcani Occidentali – i cosiddetti– WB6- Albania, Bosnia Erzegovina, Kosovo, Macedonia, Montenegro e Serbia), ma anche i rappresentanti della Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo, la Banca europea per gli investimenti e l’Alto Rappresentante dell’Unione europea, Ue, Federica Mogherini.
La Mogherini e i Balcani
Il sostegno di Mogherini e dell’azione esterna dell’Ue all’integrazione dei Balcani occidentali è ben noto; l’Alto Rappresentante sta infatti progressivamente diventando una figura chiave nella mediazione tra i problemi politici e di sicurezza dell’area. Dall’organizzazione di un incontro d’emergenza a gennaio per risolvere le tensioni al confine tra Serbia e Kosovo al forte impegno mostrato con continui incontri informali con i capi di Stato dei WB6, l’ultimo dei quali lo scorso maggio, il Servizio europeo per l’azione esterna – Seae – mantiene intatta la prospettiva di adesione e pare intenzionato a sostenere l’accelerazione degli sforzi di avvicinamento all’Ue. Un interrogativo comune che si pone spesso però, nei riguardi della montuosa regione europea, è se una futura integrazione possa portare problemi relativi alla sicurezza interna dell’Unione. Sicurezza ed allargamento sono compatibili? L’accesso dei Paesi dei Balcani all’interno dell’Ue sarebbe una preoccupazione o una risorsa cooperativa per l’Europa?
I Balcani sono stati per anni il fulcro della politica estera di difesa comune dell’Ue, basti pensare che la prima missione della Politica di sicurezza e di difesa comune lanciata dall’Unione fu quella di polizia europea in Bosnia Erzegovina il primo gennaio del 2003, mentre la prima missione militare si svolse in Macedonia, con inizio sempre nel 2003. Delle 15 operazioni al momento in corso fuori dai confini europei, due riguardano i Balcani, ma allargando l’orizzonte al totale delle missioni svolte nella sua storia del Servizio esterno per l’azione europea, sei su un totale di 30 si sono svolte nei Balcani, tra queste anche la più ampia in termini di uomini e mezzi mai realizzata, la missione European Union Rule of Law Mission in Kosovo – Eulex – in Kosovo, ancora operativa e con un mandato fino al 2018. A queste si devono unire le molteplici missioni bilaterali di stati membri che hanno coinvolto polizie nazionali nel supporto delle forze di sicurezza di Albania, Montenegro e Serbia, in cui si è distinta l’Italia. Va sottolineato come i compiti delle missioni fossero, e tuttora sono, impegnativi e delicati; in Bosnia Erzegovina la missione militare European Union Force – Eufor – ha continuato il mandato della Stabilisation Force – Sfor – delle Nazioni Unite, con compiti di peacekeeping e prevenzione della pace. La missione European Union Police Mission – Eupm – al contrario, aveva sulla carta compiti di supporto nella riforma delle forze di polizia, che, visto che le stesse erano state dissolte durante la guerra, ha significato sostenere la creazione della stessa polizia bosniaca; in particolare Eupm ha contribuito alla formazione e all’addestramento del reparto speciale antiterrorismo, le cui ultime operazioni hanno riguardato la cattura di affiliati dell’autoproclamatosi “stato islamico” bosniaci. Eulex ha goduto addirittura del mandato esecutivo per condurre operazioni di polizia nel Paese, ciò ha significato operarci con gli stessi compiti (e obblighi) di una polizia nazionale come attività investigative, perquisizioni e esecuzione di mandati di cattura per la persecuzione dei responsabili di crimini di guerra.
Molto si è scritto e detto sull’efficacia di tali missioni, e più volte si è teso a screditarle, ma se ad oggi in Bosnia ed Erzegovina, Kosovo e Macedonia sono presenti forze di polizia multietniche, con alle spalle una formazione di livello europeo, questo si deve all’opera di queste missioni. Agli scettici bisogna rammentare che il processo di riforma delle forze dell’ordine di un Paese non è semplice, se poi le forze dell’ordine non sono mai esistite, o sono state ad appannaggio per decenni di una sola etnia il lavoro diventa ciclopico.
Foreign fighters balcanici
Chiaramente, come sostenuto dai report periodici della Commissione sullo stato degli accordi di stabilizzazione e associazione degli stati candidati all’accesso, ancora molto c’è da lavorare nel settore dell’anticorruzione e nella lotta alla criminalità organizzata. Tali battaglie sono difficili da combattere, anche all’interno dell’Europa unita, ma i progressi fatti negli ultimi 15 anni nella gestione della sicurezza interna da parte di tutti gli stati coinvolti sono evidenti e gli standard delle polizie locali non sono molto lontani da polizie europee. Ai problemi della corruzione e della criminalità organizzata si è aggiunto negli ultimi anni il rischio terrorismo, con Bosnia Erzegovina e Kosovo al secondo e terzo posto, dietro il Belgio, per numero di foreign fighters attivi per abitante.
La cooperazione tra le forze di polizia, intelligence europee, in particolare Europol, contingenti Nato (Kosovo Force – Kfor – in Kosovo) e le polizie nazionali sembra funzionare egregiamente, numerose sono le attività congiunte che hanno scoperto e disciolto organizzazioni a fini terroristici nei Balcani. Inoltre, dallo scorso anno la Commissione ha esteso il network anti-radicalizzazione, progetto del Fondo Police del DG HOME, ai Paesi dell’area balcanica.
Integrazione come arma contro i conflitti etnici
Il rischio di diminuzione della sicurezza per i cittadini europei in caso di ingresso dei Paesi balcanici non pare argomento sufficiente per negarne l’accesso. Il punto focale di incognita invece è da ricercare nelle fratture etniche presenti nei sei stati balcanici. La Bosnia Erzegovina resta ad oggi un Paese diviso, con legami tra diverse etnie praticamente inesistenti e politici locali sempre pronti a innescare micce di conflitto per manciate di voti. In Macedonia lo stallo elettorale ha assunto caratteristiche settarie, con l’etnia albanese sempre più in conflitto con la controparte di lingua serba. Linea di conflitto che si ritrova nella perdurante situazione kosovara e anche nel sud della Serbia, con la valle del Presevo sempre agli onori della cronaca interna per instabilità e tensioni interetniche. Montenegro e Albania, anche grazie a presenza di etnie più omogenee, sembrano estranee a queste vicende, ma sono le più toccate dai problemi di corruzione e criminalità organizzata.
Il conflitto etnico non è superabile se non attraverso una forte azione di concerto politicamente rilevante. Incontri intergovernativi ciclici come il Processo di Berlino possono essere l’occasione per la formulazione di politiche cruciali per l’integrazione dei Balcani occidentali in Europa; unione doganale, miglioramento delle infrastrutture, lotta alla corruzione e alla disoccupazione saranno i temi caldi di Trieste. Non bisogna tuttavia trascurare la sfera della sicurezza della regione, esempio positivo ai fini dell’integrazione negli ultimi anni, ma argomento sempre pronto a tornare caldo per via delle delicate questioni etniche. L’Europa non può permettersi di dilapidare ciò che ha duramente costruito in anni di sostegno e cooperazione con la regione.