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Negoziati di Astana

Siria: gli accordi di Taif non sono un’opzione

29 Giu 2017 - Cristin Cappelletti - Cristin Cappelletti

Negli incontri di Astana dello scorso 4 maggio, Russia, Turchia, Iran avevano trovato un accordo per la realizzazione di quattro zone sicure in Siria, nel tentativo di arrivare ad una, seppur lenta, diminuzione delle violenze. Qualche giorno fa il presidente russo Vladimir Putin ha annunciato la convocazione di un nuovo round di colloqui sulla Siria ad Astana, il 10 luglio, nel tentativo d’accelerare la cessazione delle ostilità ed un accordo tra le parti.

L’incontro si terrà in concomitanza con l’incontro sponsorizzato dalle Nazioni Unite a Ginevra. Entrambi gli appuntamenti sono stati accolti con favore da Staffan de Mistura, inviato speciale dell’Onu per la Siria, che ha definito i due colloqui necessari per trovare una soluzione al lungo conflitto.

Sei anni dopo, la pace ancora un miraggio
Eppure, a sei anni dall’inizio della guerra civile, nonostante i molti tentativi sia da parte dell’Onu che delle potenze regionali – e non -, la pace in Siria sembra ancora un miraggio. Ma la guerra in Siria non è certo un’eccezione rispetto alle molti crisi umanitarie di cui il Medio Oriente è stato, suo malgrado, protagonista negli ultimi decenni. Tanti sono stati gli accordi di pace fatti, dai cui errori e successi l’Onu, assieme alle maggiori potenze internazionali, potrebbe imparare per trovare una soluzione quanto meno parziale al conflitto siriano.

In particolare subito dopo l’inizio del conflitto ed ancora oggi molti si sono espressi a favore d’un accordo di pace ispirato agli accordi di Taif del 1989 che misero formalmente fine alla guerra civile libanese durata 15 anni. Il trattato firmato a Taif, in Arabia Saudita, formalizzò il sistema di governo confessionale libanese, mettendo le basi per una divisione del potere su base religiosa. Tuttavia la Siria non è il Libano, e ogni simile auspicio non tiene in considerazione le significative differenze che esistono tra i due Paesi ed il fallimento di tale sistema di governo.

La Siria non è il Libano né l’Iraq
Anche l’Iraq nell’era della post invasione americana del 2003 è stata fino ad ora caratterizzato da un governo prevalentemente sciita per dar voce alla maggioranza religiosa del Paese per lungo tempo vessata dal regime di Saddam Hussein. Ma la concentrazione di potere in senso settario non ha fatto altro che accrescere e amplificare i già precari equilibri tribali e religiosi presenti nel Paese, marcando ancora di più le divisioni interne tra le diverse confessioni religiose e creando un terreno fertile per la nascita e il diffondersi del jihadismo islamico, da Al Qaeda al sedicente Stato islamico, l’Isis.

Sia il Libano che l’Iraq vivono, in diversi modi, in un costante stato di guerra civile, dove le divisioni settarie sono ulteriormente accresciute nei rispettivi dopoguerra. In Siria, una soluzione ‘alla libanese’ non solo non è praticabile, ma costituirebbe un ulteriore salto nel vuoto con il rischio di un aumento delle violenze.

Le caratteristiche peculiari del conflitto siriano
La Siria, rispetto al Libano, è legata a una forte identità nazionale non presente a Beirut, dove l’appartenenza tribale e settaria è molto più significativa. Inoltre, nonostante sia il Libano che la Siria condividano la complessità di due guerre mai strettamente combattute a livello nazionale e dove l’interventismo internazionale ha assunto un peso consistente, a Beirut i tratti di una guerra civile tra vari gruppi religiosi era maggiormente marcati. In Siria, invece, nonostante la presenza di potenze regionali e non come Russia, Iran, e il supporto di varie monarchie del Golfo ai ribelli, l’equazione principale rimane quella di opposizione al regime autoritario di Bashar al Assad.

La presenza di svariati gruppi legati all’estremismo islamico, primo fa tutti l’auto-proclamato Stato islamico, hanno reso ancora più difficile il ritorno ad uno stato ‘pre ante’ e alla conseguente conservazione della totale sovranità territoriale. Tanti rimangono i dubbi riguardo al futuro di Assad, incertezze che fino ad ora hanno impedito alle varie parti di raggiungere ogni qualsivoglia compromesso per mettere fine ai sei anni di violenze.

I colloqui di pace in Siria sono a un vicolo cieco. Né Assad né l’opposizione sembrano volersi arrendere a concessioni. E il futuro della Siria risulta sempre più nelle mani di potenze straniere, tra tutte Russia, Iran e Turchia, il cui unico intento esula da un reale interesso per il futuro del popolo siriano, rimanendo finalizzato al raggiungimento dei relativi interessi nazionali.