Italia-Egitto: ambasciatore è passo indietro
Si susseguono (due sono stati pubblicati nei giorni scorsi su AffarInternazionali, a firma di Ugo Tramballi e Nino Sergi, mentre la tesi contraria è stata sostenuta da Paola Caridi) i commenti di coloro che suggeriscono di rimandare in Egitto il nostro ambasciatore, nonostante la mancanza – o proprio a causa della mancanza – di sviluppi nel caso di Giulio Regeni.
Tutti gli osservatori, a quanto pare, sono concordi nell’attribuire la circostanza che non sia ancora emersa la verità, né tantomeno fatta giustizia, all’insufficiente collaborazione da parte delle autorità egiziane. E tutti, favorevoli e contrari al ritorno dell’ambasciatore, sembrano ritenere particolarmente preoccupante – e forse in ulteriore peggioramento – la situazione dei diritti umani in Egitto. Cosa spinge, allora, alcuni a proporre una modifica della scelta compiuta a suo tempo dal nostro governo di ritirare il rappresentante italiano, facendo quello che, nei fatti, è un passo indietro?
Le tesi a favore
Gli argomenti, in sostanza, sono due. Il primo è che, visto l’insuccesso dell’attuale strategia, un cambiamento di rotta sarebbe funzionale alla soluzione dello stesso caso Regeni. Si sostiene che un ambasciatore nella pienezza delle sue funzioni potrebbe fare di più. Nino Sergi aggiunge che questo ritorno dovrebbe essere accompagnato da un mandato preciso del nostro governo a lavorare per la soluzione del caso e propone una serie di “altre significative azioni positive” (alcune di carattere simbolico, altre consistenti in “interventi di cooperazione finalizzati all’affermazione e alla tutela dei diritti umani”).
Il problema, a nostro avviso, è che non bastano i ragionamenti astratti (“la presenza può fare più dell’assenza”, sarebbe “un segno di forza e non di debolezza”), anche se basati sulla lunga esperienza di chi li fa, né l’idea dell’integrazione con una serie di altre azioni, a fare pensare che le cose andrebbero nel modo che i sostenitori del ritorno dell’ambasciatore s’immaginano. Perché tutto, al momento, fa pensare il contrario.
Lo stesso Tramballi riporta il pensiero di “un diplomatico europeo che conosce bene l’Egitto”, il quale si dice convinto che “la fine del boicottaggio italiano sarebbe la fine di ogni speranza di conoscere la verità: il regime prenderebbe il ritorno del vostro ambasciatore come la rinuncia ufficiale a proseguire il caso”.
Basta fare, del resto, un po’ di attenzione alla lettura che, nei mesi scorsi, hanno dato del possibile ritorno al Cairo del rappresentante italiano i media filogovernativi egiziani per comprendere che, dal loro punto di vista, si tratterebbe proprio di quel “ritorno alla normalità” che Nino Sergi sostiene che non sarebbe. E la percezione (sia pure interessata) della parte egiziana è ben più rilevante, ahimè, delle intenzioni e del wishful thinking della parte italiana.
Se le cose stanno in questo modo, il rischio è che la tesi dell’utilità della piena ripresa delle relazioni diplomatiche con l’Egitto per la soluzione dello stesso caso Regeni diventi una copertura per il secondo argomento addotto dai suoi sostenitori: quello che fa riferimento alla necessità di tenere in conto gli interessi strategici complessivi del nostro Paese in Egitto.
Non è un confronto fra idealisti e realisti
Paolo Valentino, sul Corriere della Sera del 19 giugno, ha scritto che i rapporti diplomatici fra Italia ed Egitto “non possono non avere come pilastro della loro architettura i diritti dell’uomo”, aggiungendo subito dopo che “questi non possono neppure esaurire e governare da soli la complessità delle relazioni internazionali”. Ha ragione. Ma questo non significa che i primi – se “pilastri” devono essere – siano a quella “complessità” sacrificabili, soprattutto se ad essere in gioco sono i diritti fondamentali di cittadini italiani all’estero, il cui rispetto è, non da oggi, un obiettivo tipico della politica estera.
Quel che si vuole dire è che la tragica uccisione di Giulio Regeni e la mancata punizione dei responsabili, oltre che una gravissima violazione dei diritti umani nei confronti della vittima e della sua famiglia, è una violazione di cui l’Egitto si è reso internazionalmente responsabile nei confronti dell’Italia – una violazione che il nostro Paese non può, perché non è nel suo interesse, rinunciare a fare valere. Come scrive Paola Caridi, “non riuscire a difendere la dignità di Giulio Regeni significa non difendere lo Stato di diritto italiano, e neanche il ruolo dell’Italia nel Mediterraneo, nella regione araba, nel grande Medio Oriente”. Non è cedendo qualcosa rispetto alla vicenda dell’italiano Regeni che l’Italia può difendere meglio interessi italiani di altro tipo.
Non è questione, in altre parole, di scegliere quale interesse sia più importante (o di confrontarsi – se vogliamo – fra idealisti e realisti). È l’insieme degli interessi del nostro Paese ed è la sua capacità di perseguirli in modo credibile ed efficace a sconsigliare di compiere quel gesto che, come si è detto, verrebbe inevitabilmente interpretato dalla controparte come una rinuncia.
Iniziative alternative per la diplomazia
Come fare, allora, per ottenere verità e giustizia per Giulio se l’ipotesi del rientro dell’ambasciatore al Cairo non è utile allo scopo? Noi siamo dell’idea che, nella logica delle misure “progressive” di cui lo stesso Paolo Gentiloni, da ministro degli Esteri, aveva parlato, si debbano prendere in esame altre possibili risposte alla mancanza di collaborazione da parte egiziana.
La gamma degli strumenti che il diritto internazionale mette a disposizione è piuttosto ampia – dal progetto di articoli sulla responsabilità internazionale degli Stati fino alle convenzioni internazionali sui diritti umani (a cominciare da quella contro la tortura, ratificata sia dall’Italia che dall’Egitto). Così come non mancano le iniziative che la nostra diplomazia potrebbe porre in atto in sede multilaterale.
È vero, purtroppo, che gli altri Stati europei si sono sostanzialmente disinteressati della vicenda. Ma è stato davvero fatto tutto il possibile per coinvolgerli? E si è mai pensato di sollevare la questione nel quadro del sistema delle Nazioni Unite? Insomma, sono state prese in esame tutte le possibili opzioni? E l’Italia, tutta l’Italia, ci ha creduto fino in fondo? Non è possibile, invece, che l’Egitto abbia potuto fare, in qualche misura, affidamento su una prevedibile temporaneità della nostra reazione? Se non è così, e se c’è ancora, davvero, la volontà di ottenere verità e giustizia per Giulio, piuttosto che su un possibile passo indietro, sarebbe bene, a nostro avviso, ragionare con maggiore determinazione sui possibili passi avanti.