Soccorsi in mare, titanismo dell’Italia
L’Italia giganteggia nel Mediterraneo per gli sforzi profusi, in gran parte da sola, nel salvataggio dei migranti e nella loro accoglienza. La comunità internazionale plaude al nostro sacrificio, ma l’Unione europea lo vede come un dissonante approccio alla sicurezza delle proprie frontiere marittime aggravato dalla prassi della flottiglia delle Ong che cooperano nel soccorso (Sar, dall’acronimo inglese).
Unilateralismo italiano
È oramai di dominio pubblico, dopo l’audizione del Comandante generale della Guardia costiera alla Commissione Difesa del Senato del 4 maggio, che il Centro nazionale Sar (Mrcc, dall’acronimo inglese) coordina tutte le operazioni nel Mediterraneo centrale, comprese quelle delle Ong, in un’area di circa 1.000.000 di Kmq.
Tale area va ben al di là della zona Sar italiana prevista dal Dpr 662-1994 e, scavalcando quella maltese, arriva sino alle coste libiche. Nessuno ha regolamentato una simile situazione, ma essa si è creata di fatto, giorno per giorno, sulla spinta della necessità di salvare migliaia di vite umane.
Siamo stati dunque noi a presentarci – di fronte all’indifferenza o all’incapacità di altri – come il principale riferimento nel Sar mediterraneo anche in considerazione degli obblighi giuridici che ricadono sul primo Mrcc che è informato di una situazione di pericolo.
È così che l’Italia è giunta a coordinare tutte le operazioni di soccorso davanti alla Libia ed è divenuta l’unico Paese a ricevere nei propri place of safety (1) (Pos) le persone salvate da navi private e da quelle di EunavforMed e Triton.
Fonte: Maricogecap.
Frontiere marittime europee
Frontex è stata trasformata in Agenzia europea della guardia costiera e di frontiera con poteri rafforzati per preservare la libera circolazione nello spazio Schengen minacciata dagli ingressi irregolari. Frontex era nata per attuare respingimenti in mare, ma, mentre la Spagna e la Grecia si sono avvalsi di questa funzione, l’Italia non l’ha mai richiesta pur attuandola per un breve periodo con la Libia.
L’impiego in prossimità dell’Italia e di Malta di mezzi di Frontex con l’operazione Triton è stato attuato su nostra richiesta per avere sostegno al Sar, dopo il termine di Mare Nostrum cui l’Ue, come chiarito da Marco del Panta su queste pagine, non aveva voluto partecipare considerandola un “pull factor”. Le navi di Triton, paradossalmente, non differiscono perciò da quelle delle Ngo, se non fosse per i compiti di identificazione dei migranti.
Guardia costiera Ue
Ben altra sarebbe la situazione del Mediterraneo centrale, se si fosse istituita una forza europea, civile e militare, incentrata sulla Funzione Guardia Costiera, con compiti Sar secondo regole ed assetti comuni.
In effetti, il Parlamento europeo – pur non affrontando la questione in tali termini – con la Risoluzione del 12 aprile 2016 sulla situazione nel Mediterraneo ha considerato il Sar nel quadro della politica di asilo, ritenendo che il rafforzamento dei servizi nazionali sia prioritario per esigenze umanitarie e per specifici obblighi giuridici. Secondo la stessa Risoluzione, l’impiego di mercantili ed Ong nel soccorso non può comunque essere un’opzione alternativa all’organizzazione di un servizio Sar con assetti pubblici.
Incertezza zone Sar
La necessità per il Mrcc italiano di agire oltre la zona Sar nazionale deriverebbe anche dal fatto che la Libia e la Tunisia non hanno mai istituito proprie zone Sar e che Malta ha difficoltà a definire con noi i limiti della sua zona. Sappiamo della Libia, in cui è in corso un grande sforzo internazionale per dotare il Paese di un’organizzazione statuale, Guardia costiera compresa.
Conosciamo le radicate pregiudiziali di Malta che sinora hanno impedito ogni soluzione negoziata per risolvere la sovrapposizione della sua zona Sar con la nostra e stabilire una collaborazione secondo i canoni della Convenzione di Amburgo del 1979.
Ma ci meravigliamo che esista un problema con la Tunisia da sempre nostro interlocutore privilegiato, che nel 2011 concordò di riaccompagnare nei porti di partenza le persone salvate al largo delle proprie coste. Perché, allora, non adire l’Organizzazione Marittima Internazionale per ottenere, sotto la sua egida e con la mediazione dell’Ue, una definizione concordata delle zone Sar mediterranee che elimini ogni residua incertezza e faciliti la cooperazione ?
Le zone Sar mediterranee.
Armonizzazione norme Ue
Tra le iniziative che l’Italia dovrebbe considerare vi è anche l’armonizzazione delle norme Ue sugli obblighi di soccorso, sulle sanzioni penali in caso di omissione e sull’organizzazione del Sar.
Non si tratterrebbe di attribuire all’Ue una competenza non prevista, ma solo raggiungere standard comuni nello svolgimento di un servizio che la citata Risoluzione del Parlamento europeo considera essenziale.
Chiaramente, in parallelo bisognerebbe affrontare il tema della scelta del Pos, in caso di operazioni condotte in zone Sar di Paesi che non possono o non vogliono accettare le persone salvate, anche prevedendo deroghe volontarie al sistema di Dublino.
Centralità Italia
Le operazioni multinazionali Triton ed Eunavformed ( e domani quella Nato ‘Sea Guardian’) continueranno a trasportare in Italia le persone salvate davanti alla Libia, sotto il coordinamento di Roma. Anche le Ong continueranno a svolgere il loro apprezzato lavoro in ausilio della nostra Guardia costiera, magari agendo in una cornice di verifiche da parte italiana e dei Paesi di bandiera.
L’Italia non può tuttavia lasciar perdere l’occasione che le recenti polemiche sul Sar delle Ong hanno creato. S’impone ora una regolamentazione realistica dei limiti delle zone di intervento italiano, degli assetti pubblici disponibili e dei costi necessari, senza fare affidamento eccessivo sulle risorse private di Ong e mercantili che non possono essere considerati un fattore sistemico.
Ma soprattutto è necessaria una forte iniziativa euromediterranea per coinvolgere attivamente nel Sar tutti i Paesi rivieraschi secondo principi di condivisione delle risorse e delle responsabilità.
(1)La regolamentazione IMO stabilisce che le persone salvate debbano essere portate al più presto in un “place of safety”, luogo sicuro dove siano loro garantiti assistenza, cure, cibo e protezione dei diritti personali, in vista del raggiungimento della meta finale.