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Al Forum di Pechino

Nuova Via della Seta: Italia fra porti e investimenti

25 Mag 2017 - Lorenzo Bardia - Lorenzo Bardia

Con il viaggio del presidente della Repubblica Sergio Mattarella in Cina nel febbraio scorso e la recente partecipazione del premier Paolo Gentiloni al Belt and Road Forum for International Cooperation di Pechino, torna al centro dell’interesse italiano la nuova Via della Seta, la strategia di sviluppo promossa da Pechino volta a stimolare gli scambi commerciali, gli investimenti e la costruzione di infrastrutture nel territorio euroasiatico.

L’iniziativa, lanciata dal presidente cinese Xi Jinping all’inizio del suo mandato e articolata in Silk Road Economic Belt sul piano terrestre e in Maritime Silk Road sul piano marittimo, vede infatti nell’Italia la destinazione ideale di investimenti e potenziali infrastrutture. Quali saranno quindi le sfide che nei prossimi anni l’Italia dovrà affrontare?

Da Shanghai a Venezia 
Nel settore infrastrutturale, la penisola si prepara ad accogliere i flussi della Maritime Silk Road con il progetto dei “cinque porti”, l’alleanza tra cinque dei maggiori scali del Nord Adriatico pianificata dalla North Adriatic Ports Association (Napa).

Il consorzio interesserà le strutture portuali italiane di Venezia, Trieste e Ravenna e i porti di Capodistria, in Slovenia, e di Fiume, in Croazia, con l’obiettivo di attrarre le navi cargo cinesi che percorreranno il Mediterraneo attraverso il Canale di Suez e indirizzarle fino a Malamocco, località marittima nei pressi di Venezia dove è prevista la costruzione di una piattaforma off-shore.

Se la tratta Shanghai-Amburgo è lunga 11 mila miglia, il viaggio necessario per collegare Shanghai al Mar Adriatico del nord sarebbe di circa 8.600 miglia, con un tempo di percorrenza inferiore di 8 giorni rispetto al porto tedesco. Una volta operativo, il complesso portuale dovrebbe quindi essere in grado di gestire tra 1,8 e 3 milioni di TEU all’anno; numeri importanti, se consideriamo che, ad oggi, la totalità dei porti italiani può gestire fino a 6 milioni di TEU l’anno.

Il flusso di capitali cinesi
Come ha però sottolineato Xi nel discorso di apertura del Forum, nell’iniziativa non rientrano soltanto progetti di “infrastructure connectivity”, ma anche gli investimenti. In Italia si conta infatti che gli investimenti diretti esteri provenienti dalla Cina, nel periodo 2000-2016, si aggirano intorno ai 13 miliardi di euro, cifra che fa della penisola il terzo Paese europeo – dopo Regno Unito e Germania – destinatario dei flussi di capitali cinesi.

Tuttavia, è a partire dal 2014, pochi mesi dopo la proposta di Xi, che il cambio di passo della strategia cinese è diventato evidente. La People’s Bank of China ha rilevato il 2% di alcune tra le più grandi industrie italiane: Fiat Chrysler Automobiles, le partecipate Eni ed Enel e, nel campo delle telecomunicazioni, Telecom Italia e Prysmian, per un investimento totale di 3,2 miliardi di euro. Nel settore energetico, ricordiamo l’acquisizione da parte di Shanghai Electric del 40% di Ansaldo Energia, per un esborso totale di 400 milioni di euro, seguita dall’acquisto da parte di State Grid Corporation of China del 35% di Cassa Depositi e Prestiti Reti per 2,1 miliardi di euro.

Il 2015 si è aperto con la People’s Bank of China che, complice il periodo del sistema bancario italiano, ha rilevato il 2% di UniCredit, Monte dei Paschi di Siena e Intesa Sanpaolo, ed è terminato con la più grande operazione registrata fino a questo momento, la scalata per il controllo di Pirelli da parte di Chem China, per un totale di 7 miliardi di euro.

Tra gli investimenti, la Cina ha di recente iniziato a guardare al calcio. Dopo il passaggio di proprietà dell’Inter, che nel giugno 2016 è diventata asset del gruppo Suning, è di aprile la notizia della vendita da parte di Fininvest del Milan, rilevato dalla cordata guidata dall’uomo d’affari Yonghongh Li. Infine, sempre del mese scorso è la cessione da parte di Atlantia del 5% del capitale di Autostrade per l’Italia al Silk Road Fund.

L’Italia nella strategia di Pechino
Diverse sono le ragioni che hanno condotto in Italia il flusso di investimenti cinesi: il Paese è infatti la seconda manifattura d’Europa, con settori altamente all’avanguardia ed eccellenze che possono, con il loro alto know-how, aiutare lo sviluppo delle industrie cinesi. In secondo luogo, è chiara la volontà di Pechino di porsi nel mercato italiano come attore non aggressivo, ma partner presente e affidabile; in tale direzione vanno interpretate le acquisizioni cinesi di quote delle principali società italiane ma soprattutto i recenti passaggi di proprietà delle società calcistiche Inter e Milan.

Se, quindi, nei prossimi anni si prevede un incremento dei flussi per gli investimenti cinesi, è il piano infrastrutturale a vivere una situazione di incertezza. Il progetto dei “cinque porti”, a quattro anni dal lancio della Belt and Road Initiative, è ancora fermo alla fase di pianificazione: al momento sono stati stanziati per l’inizio dei lavori 350 milioni di euro da parte del governo, a fronte di un costo stimato di 2,2 miliardi di euro.

L’Italia sconta da una parte la concorrenza del porto del Pireo, per il quale la China Ocean Shipping Company già a partire dal 2008 ha investito più di 4,3 miliardi di dollari. Da allora, la capacità del porto greco è quadruplicata ed ha raggiunto nel 2015 un traffico di 3,36 milioni di TEU.

Dopo il Forum di Pechino e il Congresso del Partito comunista cinese di quest’anno, molti dei progetti della nuova Via della Seta entreranno nella fase di realizzazione: tocca ora all’Italia coglierne le potenzialità e non lasciare che la “win-win cooperation” evocata da Xi resti un’occasione mancata.