Nato: Vertice, verso roadmap per 2%
Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump parteciperà al Vertice della Nato a Bruxelles il 25 maggio. L’incontro sarà il primo tra il nuovo presidente Usa e tutti i leader dei Paesi membri dell’Alleanza atlantica.
Trump intende riproporre le richieste americane per una maggiore partecipazione degli alleati alla ripartizione degli oneri (burden-sharing). Lo scorso mese il segretario di Stato Rex Tillerson ha chiesto ai Paesi della Nato di formulare una road map per raggiungere il livello di spesa del 2% del Pil, road map da discutere proprio nel prossimo Vertice alleato.
Il tema della ripartizione degli oneri – ovvero il raggiungimento della soglia di spesa per la difesa del 2% del Pil – sarà quindi argomento di confronto il 25 maggio, insieme a quelli di una maggiore assunzione di responsabilità e della definizione delle modalità di lotta al terrorismo.
I limiti di un target solo quantitativo
Nonostante il target del 2% abbia assunto un ruolo di primo piano nel dibattito attuale sulla difesa europea e transatlantica, questo parametro va comunque valutato con cautela per una serie di ragioni.
Innanzitutto, la difficoltà di applicare i parametri Nato alle diverse contabilità nazionali rende problematica una comparazione coerente e precisa delle effettive spese nazionali per le Forze Armate.
Inoltre, il riferimento al 2% fornisce una fotografia parziale delle capacità di difesa di un Paese.Questo parametro, infatti, non tiene conto di prontezza operativa, capacità di dispiegamento e sostenibilità delle Forze Armate. Inoltre, non fornisce indicazioni rispetto alla ripartizione delle spese all’interno dei bilanci nazionali, non valutando qualità ed efficienza degli investimenti.
Infine, il legame diretto con il Pil – che varia considerevolmente tra gli Stati membri – rende questo target poco sostenibile nel lungo periodoper alcuni Paesi. Ad esempio, la Germania dovrebbe sostenere una spesa di oltre 70 miliardi per raggiungere il 2% del proprio Pil.
Il quadro europeo
In Europa solamente Estonia, Grecia, Polonia e Regno Unito rispettano questo target; gli altri Stati se ne discostano, nonostante negli ultimi anni si registri una tendenza verso un aumento generale delle spese per la difesa.
Analizzando i piani di spesa relativi all’anno corrente, in Europa solamente Finlandia, Grecia e Romania hanno previsto, nelle rispettive leggi finanziarie, delle diminuzioni di spesa. Tutti gli altri hanno invece proposto aumenti che, in alcuni casi, raggiungono le due cifre percentuali.
Più nello specifico, Paesi come Francia e Germania sono ancora lontani dal raggiungimento della soglia. Parigi spenderà circa 40.3 miliardi nel 2017, circa l’1,8% del Pil nazionale. La percentuale include però anche la spesa per le pensioni – attorno ai 7,82 miliardi – che incide positivamente sulla proporzione con il Pil.
Berlino, per contro, che pure ha stanziato per il 2017 un aumento corrispondete a circa l’8% rispetto al budget della difesa del 2016, è ancora all’1,2% del Pil nazionale, prevedendo di raggiungere la soglia del 2% entro il 2024. Le prossime elezioni potrebbero però influenzare le tempistiche previste.
Il contesto italiano
In un quadro europeo generalmente positivo, anche l’Italia sembra seguire questo trend. Secondo il rapporto Nato pubblicato a marzo 2017, la spesa militare è aumentata tra il 2015 e il 2016, passando da 17,642 a 19,980 miliardi. Quest’incremento, che equivale ad un aumento del 10%, fa crescere la percentuale di spesa per la difesa in rapporto al Pil, dall’1,01% all’1,11%. Questi dati vanno tuttavia ridimensionati e valutati alla luce di due precisazioni.
In primo luogo, le cifre Nato includono anche la Funzione Sicurezza e Difesa del Territorio (Carabinieri), le Funzioni Esterne, e le pensioni provvisorie del Personale in Ausiliaria. Una valutazione più accurata dovrebbe considerare la Funzione Difesa unitamente alle spese relative agli investimenti stanziati dal MiSE, le risorse per il fondo missioni internazionali e una minima parte della Funzione Difesa e Sicurezza del Territorio relativa alle missioni Difesa e Polizia Militare dei Carabinieri.Secondo questa logica la spesa italiana per le Forze Armate nel 2016 si assesterebbe sui 17 miliardi, pari a circa l’1% del Pil nazionale.
In secondo luogo, considerando nello specifico la Funzione Difesa, l’aumento registrato tra il 2015 e il 2016, da 13.186 milioni a 13.360 milioni, è in realtà riconducibile all’incremento dei costi per il personale e solo marginalmente alla voce esercizio. Inoltre, le previsioni per le risorse destinate alla Funzione Difesa nel 2017 prevedono un lieve calo rispetto all’anno precedente, da 13,36 a 13,212 miliardi. Questo riduzione, nonostante un concomitante aumento degli investimenti MiSE – che nel 2017 dovrebbero assestarsi attorno ai 2,7 miliardi -, condurrebbe ad un ulteriore allontanamento del bilancio della difesa nazionale dal target del 2%.
L’importanza politica del 2% e l’Italia
Nonostante le sue limitazioni è importante sottolineare come questo target rimanga un valido punto di riferimento in termini politici. In questo senso, l’obiettivo del 2% ha valore programmatico e costituisce uno stimolo se non ad aumentare le risorse quantomeno ad arrestare i tagli. In effetti, esso fornisce una sorta di obbligazione esterna per i governi che spesso faticano a giustificare le spese per la difesa di fronte alle proprie opinioni pubbliche.
Anche nel caso italiano, benché questo parametro non valorizzi l’impegno nazionale in termini di prontezza operativa e partecipazione alle iniziative Nato, costituisce comunque un impegno politico sottoscritto in ambito alleato. È importante, quindi che anche l’Italia mostri la volontà di invertire la rotta attraverso l’elaborazione di una road map credibile e sostenibile nel lungo termine. Proprio il Vertice di Bruxelles potrebbe essere un buon punto di partenza