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Trump e l’Europa

G7 e Nato, un drammatico ‘wake up call’

30 Mag 2017 - Ferdinando Nelli Feroci - Ferdinando Nelli Feroci

Che non ci fosse una speciale sintonia tra il nuovo presidente americano e l’Europa era cosa nota. La distanza di posizioni e sensibilità era emersa con chiarezza fin dalla campagna elettorale di Trump candidato, e poi a seguito delle prime decisioni di Trump presidente.

Ruolo degli Usa nel mondo, le varie declinazioni del principio “America first”, la sfiducia nella Nato, il rapporto con la Russia, il disimpegno rispetto al ruolo delle istituzioni multilaterali, la diffidenza se non addirittura l’ostilità nei confronti dell’Unione europea, le posizioni espresse in materia di migrazioni, di commercio internazionale, di clima e energia, erano emersi fin dall’inizio come altrettanti fattori di divergenza tra il nuovo presidente Usa e gli europei.

In Europa si era poi sperato che il sistema dei “checks and balances” previsto dalla Costituzione americana, la pratica di governo, un’auspicata presa di coscienza delle complessità del quadro internazionale, e il ruolo di alcuni collaboratori più esperti di affari internazionali, avrebbero contribuito a ridimensionare un programma di governo probabilmente coerente con le aspettative degli elettori di Trump, ma francamente destabilizzante rispetto a un partenariato transatlantico che si era finora basato su valori e obiettivi condivisi.

La prima missione internazionale del nuovo presidente
Poi è arrivata la prima missione internazionale del presidente americano,per la quale vi erano grandi aspettative in Europa e nel Mondo. Così abbiamo potuto registrare che a Riad Trump ha ribaltato l’agenda del suo predecessore e ha puntato sull’obiettivo di un asse preferenziale con l’Arabia Saudita e con i Governi del mondo arabo sunnita per una grande alleanza contro il terrorismo di matrice islamica e in funzione di contenimento dell’Iran.

E abbiamo potuto constatare che a Gerusalemme Trump ha confermato il rapporto strategico con Israele; e ha manifestato solo un generico interesse per l’obiettivo della pace fra israeliani e palestinesi (ma senza assumere impegni per un coinvolgimento diretto degli Usa nel negoziato e senza menzionare la precondizione dei due Stati).

Ma è stato a Bruxelles e poi a Taormina che Trump ha lanciato il messaggio più chiaro ai suoi partner e alleati europei. Al Vertice Nato Trump ha evitato accuratamente ogni riferimento all’impegno americano in materia di difesa collettiva (il noto Articolo V del Trattato, che costituisce il fondamento e la motivazione originaria dell’Alleanza atlantica); ha ottenuto (senza troppe difficoltà, ma anche con poche implicazioni operative) un coinvolgimento della Nato nel contrasto del terrorismo; ma ha soprattutto messo in mora gli alleati europei, sollecitando assai bruscamente una loro accresciuta partecipazione alle spese dell’Alleanza e un aumento dei bilanci della difesa.

Taormina, uno dei Vertici più difficili di sempre
E poi a Taormina, in quello che è stato definito come uno dei Vertici G7 più difficili di sempre, si è potuta ancor meglio misurare la distanza che separa il presidente americano dagli europei (per una volta uniti e solidali, con l’eccezione della May in piena campagna elettorale e con una agenda politica tutta concentrata sulla Brexit).

A Taormina abbiamo non solo registrato la percepibile insofferenza di Trump per i rituali di un vertice multilaterale, e abbiamo potuto assistere alle varie scortesie istituzionali regolarmente sottolineate dalla stampa internazionale (tra cui la decisione clamorosa di evitare la consueta conferenza stampa a conclusione dei lavori del Vertice per andare a pronunciare un discorso di fronte alla truppe americane di stanza a Sigonella).

Ma soprattutto a Taormina si è avuta la netta impressione, malgrado il generoso tentativo del comunicato finale del Vertice di mascherare le differenze in un linguaggio diplomatico e apparentemente consensuale, che Trump abbia voluto cogliere l’occasione del primo incontro collegiale con i leader dell’Occidente per riaffermare le proprie posizioni di principio, contestare i meriti della concertazione e cooperazione in un quadro multilaterale e marcare le differenze,soprattutto rispetto agli europei, in particolare su gestione dei flussi migratori, commercio internazionale e contrasto del cambiamento climatico.

In sintesi a Taormina si è assistito ad un drammatico “wake up call” per gli europei, che d’ora in poi saranno consapevoli di dover affrontare senza il sostegno americano molti dossier di prioritario interesse: dalla difesa alle migrazioni, dal cambiamento climatico al commercio internazionale.

Ed è questo il senso delle dure parole, pronunciate, all’indomani di Taormina, dalla cancelliera tedesca Merkel, che per prima ha avuto il coraggio di prendere pubblicamente atto della nuova situazione (“sono finiti i tempi in cui potevamo fare affidamento sugli altri”) e ha chiamato gli europei “a prendere il loro destino nelle loro mani”, mostrando di avere colto il senso di quanto emerso al G7 e di trarne le necessarie conseguenze.

Una straordinaria finestra d’opportunità
Nell’ottica di una ripresa di iniziativa politica da parte dell’Europa e degli europei, la Merkel ci ha però anchevoluto ricordare che la Brexit prima e ora Trump possono offrirci una straordinaria finestra di opportunità per una rilancio del progetto europeo.

Sviluppi e nuovi impegni nel campo della sicurezza e di una dimensione europea di difesa, completamento della governance dell’Euro, un nuovo governo dell’economia, e politiche migratorie più efficaci e solidali, dovrebbero essere i settori su cui andare rapidamente a testare la volontà e la determinazione degli europei di “riprendere in mano il loro destino”.

E tutto questo beninteso non nella prospettiva di una contrapposizione frontale con gli Usa di Trump, di cui l’Europa comunque non potrà fare a meno. Ma in un’ottica di maggiore autonomia e di maggiore responsabilità dell’Europa e degli europei rispetto al tradizionale alleato e partner.

Certo si dovrà essere consapevoli che se non si riuscirà a procedere a 27 si dovrà essere pronti ad avviare iniziative a partecipazione variabile, sulla base del metodo delle integrazioni differenziate. E si dovrà ugualmente essere consapevoli che per procedere su questa strada la volontà politica costituirà una condizione necessaria ma non sufficiente; ma che sarà necessario anche soddisfare vari requisiti e precondizioni.

Francia e Germania sembrano pronte a raccogliere la sfida. C’è da sperare che anche l’Italia saprà fare la sua parte, non limitandosi a seguire iniziative di altri, ma partecipando da protagonista con idee e proposte. Un obiettivo che presupporrebbe peraltro un minimo di stabilità del quadro politico.