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Situazione e prospettive

Alitalia: la ricetta, e il precedente, Swissair

5 Mag 2017 - Alfredo Roma - Alfredo Roma

In base alla legge Marzano del 2004, il CdA di Alitalia ha avviato la procedura per l’amministrazione straordinaria della compagnia. Il Governo ha nominato tre commissari di alto spessore professionale. Uno di questi, Stefano Paleari docente universitario, conosce il trasporto aereo.

Inoltre, il Governo ha concesso un prestito ponte di 600 milioni di euro (il doppio della cifra inizialmente prevista) autorizzato dalla Commissione europea. Questa mossa conferma che il Governo si è reso conto che non può abbandonare Alitalia perché svolge un servizio pubblico che assicura una parte della continuità territoriale, come previsto dall’articolo 16 della Costituzione.

I commissari si trovano a dover amministrare un’azienda che perde circa due milioni di euro al giorno. Se nulla viene fatto sul piano operativo e strategico, tra 300 giorni il prestito sarà andato in fumo e si dovrà dichiarare il fallimento di Alitalia. Infatti, il problema di Alitalia non è finanziario, ma economico. Si può fare un aumento di capitale di un miliardo, ma se non si opera sulla strategia e sul posizionamento nel mercato le perdite supereranno il miliardo.

Le ragioni del dissesto
È importante conoscere le ragioni per le quali Alitalia si trova in questa situazione. Essenzialmente quattro i motivi:

1. Nel 1992 l’Unione europea ha completamente liberalizzato il trasporto aereo: da allora qualsiasi vettore comunitario può operare una qualsiasi rotta all’interno dell’Ue o all’interno dei suoi Paesi membri (cabotaggio). In seguito alla liberalizzazione, si sono sviluppate le compagnie lowcost: aerei nuovi, tutti uguali per ridurre i costi di manutenzione, i fermi macchina e il magazzino ricambi; nuovi contratti di lavoro per il personale navigante; e servizi di bordo a pagamento.
Già dai primi Anni Novanta si doveva capire che il futuro del corto/medio raggio sarebbe stato delle compagnie lowcost e che, quindi, si doveva sviluppare il lungo raggio, regolato da accordi bilaterali di traffico (Air Service Agreements) di cui per l’Italia era titolare Alitalia, voli per i quali si potevano mantenere tariffe remunerative grazie alla limitata concorrenza. Questo non avvenne, anche perché la nostra compagnia di bandiera non ha mai avuto più di 25 aerei di lungo raggio, quando il gruppo Air France-Klm ne ha 158, British Airways137 e Lufthansa 89.

2. In seguito, a questo errore di strategia si sono aggiunti gli accordi con Air France-KLM e Delta che hanno relegato Alitalia ad alimentare gli hub di Parigi e Amsterdam da dove partivano i voli di lungo raggio operati da quelle compagnie.

3. Nel 2008, con Alitalia in crisi, Banca Intesa si è inventata il progetto Fenice: Alitalia ha comprato Airone e il prezzo è stato pagato a Banca Intesa che è rientrata dalle sue esposizioni verso Carlo Toto proprietario di Airone. Poi, per puri scopi elettorali, si è difesa l’italianità di Alitalia affidandola al gruppo dei cosiddetti ‘patrioti’. Alitalia fu costretta a mettere in cassa integrazione speciale circa 6000 dipendenti e ad assumere il personale di Airone. Quattro miliardi di euro è stato il costo di questa operazione per il contribuente italiano. I manager (nessuno del settore) posti dai ‘patrioti’ a guidare Alitalia hanno continuato a redigere inutili e vaghi piani strategici come l’ultimo presentato due settimane fa.

4. Neppure l’entrata di Etihad è servita a invertire la rotta. Ci si aspettava, infatti, che Etihad mettesse a disposizione di Alitalia molti aerei di lungo raggio per operare su quelle rotte dove ancora non c’è la concorrenza delle lowcost. Ma questo non è avvenuto.

Il no dei dipendenti comprensibile
È dunque comprensibile che l’esito di un referendum tra i dipendenti non potesse che avere una risposta negativa. Si erano visti troppi piani senza esito positivo. Da questa breve storia appare chiaro che il problema di Alitalia non è il personale che, al contrario, rappresenta il maggior asset della compagnia comprendendo un personale navigante altamente qualificato che viene da anni di formazione. Tra l’altro l’incidenza del costo del personale sul fatturato è inferiore a quella delle altre principali compagnie europee.

Il problema è da sempre imputabile a un management che non conosceva e non capiva il trasporto aereo e di una certa interferenza politica nelle assunzioni o nelle rotte.

Le azioni da intraprendere
Vediamo, dunque, quali azioni possono intraprendere i commissari, premettendo che la nazionalizzazione non è comunque possibile per ragioni tecniche.

1. Rivedere i costosi contratti di leasing e rinegoziarli o annullarli.

2. Chiudere i contratti con KLM-Air France e Delta che ancora esistono.

3. Rivedere la flotta di Alitalia redigendo un piano di ristrutturazione che ne riduca i modelli e i costi relativi. Questo piano deve prevedere un progressivo incremento del lungo raggio e il mantenimento del breve e corto più profittevole.

4. È inutile cercare un accordo per far entrare Lufthansa o altra compagnia simile nel capitale Alitalia. Lufthansa finirebbe per utilizzare Alitalia per alimentare i suoi voli di lungo raggio da Francoforte. Senza considerare le elevate penali per uscire da Skyteam ed entrare in Star Alliance.

5. Fare la stessa operazione che fu fatta per Swissair: Alitalia viene liquidata. Alitalia-Cityliner (che tra l’altro ha contratti di lavoro molto meno costosi di Alitalia), controllata da Alitalia, ne rileva tutte le attività aeree. Il resto sarà sottoposto a procedura di fallimento. Banca Intesa e Unicredit rilevano le azioni (100%?) che Alitalia detiene in Alitalia-Cityliner. Alitalia-Cityliner estende le sue attività aeree arrivando a comprendere gran parte di quelle attualmente gestite da Alitalia. Per farlo riceve dalle banche una linea di credito mentre si trovano soci privati che entrano nel capitale di Alitalia-Cityliner con capitale fresco e sufficiente a garantire l’operatività della società, magari anche acquistando le azioni detenute da Banca Intesa e Unicredit. Tra i nuovi soci ci può essere anche una compagnia aerea che possa però sviluppare sinergie di mercato con Alitalia sul lungo raggio. Con questa operazione escono definitivamente i ‘patrioti’ del 2008.

6. Alitalia-Cityliner toglie il nome Cityliner dalla sua ragione sociale e resta solo Alitalia.

Questa sembra essere la sola soluzione possibile per salvare Alitalia. Se questo Paese ha una politica industriale non può permettersi di perdere la compagnia che porta nella sua livrea la bandiera italiana che viaggia in tutto il mondo. Non per niente il Governo francese e quello tedesco mantengono ancora una quota importante nel capitale di Air France e Lufthansa.