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Politica estera Usa

Trump e Asia: promesse elettorali e cambiamenti

2 Mar 2017 - Nicola Casarini, Giuseppe Spatafora - Nicola Casarini, Giuseppe Spatafora

Con la vittoria di Donald Trump lo scorso novembre, il ‘pivot’ asiatico di Barack Obama sembrava oramai condannato all’oblio. Il nuovo presidente prometteva, infatti, di ritirare gli Stati Uniti dall’odiato Tpp – la Trans Pacific Partnership – e di costringere gli alleati asiatici degli Usa, in primis Giappone e Corea del Sud, a contribuire di più alla loro difesa – senza dimenticare l’atteggiamento di Trump ostile nei confronti della Cina.

Nonostante questi toni intransigenti, a 40 giorni dall’insediamento alcuni dei punti più controversi sono stati rimodulati. Se ciò rende più difficile decifrare quali promesse della campagna elettorale saranno abbandonate e quali mantenute, resta quanto mai necessario per gli europei rilanciare il dialogo transatlantico sull’Asia al fine di cercare di evitare che le scelte dell’Amministrazione Trump abbiano ricadute nefaste sui crescenti interessi economici del Vecchio Continente in Estremo Oriente.

Il commercio dopo l’uscita dal Tpp
Uno dei punti di maggior coerenza della campagna elettorale è stato l’opposizione al Tpp, simbolo dei trattati di libero scambio che hanno danneggiato quella classe operaia che ha votato massicciamente per Trump. Nei giorni successivi all’inaugurazione, il presidente ha firmato un ordine esecutivo per avviare le procedure di uscita degli Usa dal Trattato trans-pacifico, con l’obiettivo di sostituirlo con una serie di accordi bilaterali che proteggano sia i lavoratori che le esportazioni statunitensi.

Tuttavia, Stati come il Vietnam e il Giappone, che avevano posto grandi aspettative sul Trattato per lo sviluppo di un sistema di multilateralismo economico, potrebbero decidere di rifiutare una nuova serie di accordi bilaterali, e spingere per un la continuazione del Tpp, senza gli Usa ma con altri Stati (includendo, forse, Pechino). Bisognerà inoltre vedere se gli Stati Uniti riusciranno a imporre un sistema di relazioni commerciali bilaterali in un’area che spinge fortemente per il multilateralismo economico.

Gli alleati: rassicurati Giappone e Corea del Sud
A novembre Trump ha ricevuto la visita del premier giapponese Shinzo Abe, il quale si presentava a nome degli alleati asiatici preoccupati di un eventuale abbandono da parte degli americani. Il presidente ha promesso ad Abe che avrebbe mantenuto salde le alleanze storiche con Giappone e Corea del Sud.

Agli inizi di febbraio, il neo-segretario alla Difesa James Mattis ha reso visita a Tokyo e Seoul, riaffermando l’impegno alla loro difesa. Mattis ha confermato che gli Stati Uniti e la Corea del Sud procederanno alla messa in opera dello scudo missilistico Thaad nella penisola coreana per difendere il Paese da un eventuale attacco nucleare dalla Corea del Nord.

Sembra quindi che le minacce di Trump verso gli ‘alleati irresponsabili’ fatte in campagna elettorale siano state messe da parte. La nuova presidenza considera ora le alleanze con Corea e Giappone “la pietra d’angolo della politica estera americana in Asia”. Bisognerà comunque aspettare i primi esercizi militari congiunti, in programma per la primavera, per testare la veridicità delle affermazioni della Casa Bianca.

Confronto con Pechino? Incertezza e diffidenza
Le relazioni sino-americane si prospettavano tese sotto una presidenza Trump: durante la campagna elettorale la Cina è stata accusata di manipolare la sua valuta in modo tale da creare un illecito vantaggio. A questo si sarebbe accompagnato un rafforzamento della presenza navale americana nel Pacifico occidentale con l’intento di fermare le rivendicazioni cinesi nel Mar Cinese meridionale.

A dicembre si è consumata la prima crisi diplomatica tra Washington e Pechino, quando Trump ha accettato una telefonata congratulatoria da parte della presidente di Taiwan Tsai Ing-wen e in seguito ha dichiarato di non sentirsi obbligato di seguire la “One-China policy” – secondo la quale gli Stati Uniti s’impegnano a riconoscere Pechino come l’unico governo legittimo della Cina, mantenendo soltanto relazioni informali con Taipei.

Il governo di Xi Jinping ha risposto requisendo un drone sottomarino americano nel mar cinese meridionale. Trump ha infine deciso di appianare la crisi: in una telefonata con Pechino, Trump ha rassicurato Xi Jinping che Washington avrebbe rispettato la tradizionale posizione di riconoscimento di un’unica Cina.

I rapporti tra Cina e Stati Uniti rimangono comunque contraddistinti da incertezza e diffidenza. Pechino ha protestato parecchio dopo che a settembre gli Stati Uniti e la Corea del Sud hanno annunciato il futuro dislocamento del Thaad, giacché il sistema controllerebbe non solo i missili nordcoreani ma anche quelli cinesi.

La questione nordcoreana: uno spiraglio
La preferenza di Trump per le relazioni bilaterali potrebbe riaprire il dialogo con Pyongyang. Trump non ha condannato esplicitamente il test missilistico nordcoreano di febbraio, né minacciato di introdurre nuove sanzioni Onu. La nuova presidenza sembra voler abbandonare la politica delle sanzioni e della ‘pazienza strategica’ che Obama aveva sostenuto, la quale non ha ottenuto alcun risultato nel fermare le aspirazioni nucleari del regime di Kim Jong-un.

Si è speculato che Washington voglia smorzare i toni ostili per riprendere le trattative dirette con Pyongyang all’interno della dimensione bilaterale o mini-laterale che Trump preferisce. Nell’intavolare nuove trattative con la Corea del Nord, l’Amministrazione Trump potrebbe trovare un inaspettato partner in Pechino: la Cina, il cui interesse principale è mantenere la stabilità nella penisola coreana, sembra interessata a una soluzione che disciplini Kim Jong-un.

Implicazioni per l’Europa
Tuttavia, si è anche speculato che il silenzio di fronte al test missilistico rappresenti la mancanza di una strategia chiara all’interno dell’Amministrazione Trump. In quest’atmosfera di ambiguità, la stabilità regionale rischia di degenerare e questo avrebbe immediate conseguenze per l’Europa, dato il crescente interscambio commerciale tra il Vecchio Continente e l’Asia orientale.

Diventa quanto mai necessario per gli europei comprendere non solo la direzione della politica estera americana, ma anche rilanciare quel meccanimo di consultazione transatlantico – sia a livello Ue che tra i quattro grandi (Germania, Francia, Gran Bretagna e Italia) e Usa – che esisteva all’epoca di Obama, ma che l’Amministrazione Trump ha interrotto.