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Francia: le ricette dei candidati sulla sicurezza

19 Mar 2017 - Margherita Bianchi - Margherita Bianchi

Ancora paura in Francia. Questa volta allo scalo parigino di Orly, dove sabato mattina un uomo noto all’intelligence francese ha attaccato un gruppo di militari dell’operazione anti-terrorismo ‘Sentinelle’. Questo episodio s’inserisce immediatamente nel teso clima elettorale: occasione colta al volo da Marine Le Pen in un comizio a Metz, dove ha bollato il governo come “disorientato e paralizzato” sulla questione sicurezza.

Tutto ciò a cinque settimane dalle elezioni presidenziali, il cui esito è molto incerto anche a causa delle inchieste giudiziarie che coinvolgono vari candidati: c’è lo scenario di una coabitazione tra presidente e maggioranza parlamentare di segno opposto. Comunque vada, sarà un appuntamento decisivo per l’Europa tutta, con la sicurezza che resta inevitabilmente al centro del dibattito.

In questi anni, il governo francese ha risposto al terrorismo con una serie di misure e leggi ad hoc, in particolare nel novembre 2014, nel luglio 2015 e nel giugno 2016. Sul fronte militare, la reazione francese si è invece concretizzata con le Operazioni Barkhane, lanciata nel 2014 nella regione sahelo-sahariana, Chammal, dal 2014 in Iraq e in Siria, e la già citata Sentinelle dal gennaio 2015 sul territorio francese.

La grandeur de la France fatica a convivere con queste minacce: i candidati alla presidenza lo sanno bene. Ma se l’obiettivo sicurezza è chiaro a tutti, le ricette proposte dai tre candidati più forti divergono decisamente, raccontando visioni del Paese a dire poco contrastanti.

Macron: l’Europa cornice essenziale di una Francia forte
Emmanuel Macron è un convinto europeista. Consapevole del carattere transnazionale delle sfide legate alla sicurezza del suo Paese, afferma che oggi l’Europa è il solo efficace mezzo per rinvigorire la Francia.

Sostenitore di una difesa comune europea – discussa da tempo, ma mai propriamente realizzata -, intende creare due organi europei di coordinamento per accelerare il processo: un quartier generale permanente per pianificare e controllare le operazioni – nella scia di quanto già deciso a livello Ue – e un consiglio di sicurezza europeo per riunire i responsabili militari dei diversi Stati membri.

Davanti al graduale disimpegno militare americano nel vicinato dell’Ue (ancora più verosimile con Donald Trump alla Casa Bianca), una risposta europea che vada al di là dell’attuale politica di sicurezza comune sembra l’unica via. Tranquillizzando anche gli alleati statunitensi, Macron propone inoltre un aumento delle spese militari affinché la Francia rispetti il parametro del 2% del Pil, stabilito come obiettivo Nato.

A poche ore dall’attacco di Orly, annuncia poi la reintroduzione di un servizio militare obbligatorio – soppresso nel 1997 da Chirac – della durata di un mese per tutti i giovani della République. Un progetto sicuramente costoso ma dalla forte valenza simbolica. In generale, Macron sta accelerando molto su questi temi, per mostrarsi agli occhi di tutti come un candidato rassicurante in tempi d’emergenza.

La gestione di coste e confini, sostiene il fondatore del movimento “En Marche”, sarà compito di una polizia di frontiera europea formata da 5.000 uomini, nell’ambito di una rafforzata cooperazione regionale con la Turchia e con l’area del Medio Oriente e Nord Africa.

Macron ribadisce l’impegno per un’incisiva risposta alla violenza jihadista, con un pool anti-terrorismo che centralizzi la presenza delle singole unità sul territorio e con appositi centri di detenzione per i foreign fighters, evitando così la radicalizzazione e il reclutamento in carcere di nuove leve terroriste. A garanzia dell’ordine interno, promette inoltre ulteriori 10.000 uomini, tra poliziotti e gendarmi, nel prossimo quinquennio.

Le Pen: integrazione? Quelle horreur!
Di tutt’altro avviso Marine Le Pen, per la quale l’Ue uccide la sovranità del Paese e ne mina la sicurezza. La leader del Front National minaccia l’uscita della Francia dall’ Unione e dal comando militare integrato Nato (punti 1 e 118 del suo programma), immaginando una difesa francese completamente autonoma nei mezzi e nella linea strategica.

Il relativo budget – da fissare in Costituzione al 2% del Pil – è previsto al 3% entro il 2022: stessa promessa fatta dal candidato socialista Hamon, e di difficile realizzazione visti i limiti strutturali di bilancio. Queste spese aggiuntive serviranno, secondo la candidata presidente, a finanziare moderni equipaggiamenti e a reintrodurre gradualmente un servizio militare obbligatorio di tre mesi.

La sua politica di chiusura prevede naturalmente l’abbandono di Schengen. Il comodo leitmotiv della campagna elettorale del Front National, per cui immigrazione e terrorismo sono intimamente legati, trova riscontro nelle linee programmatiche: riduzione del numero degli arrivi, sospensione dell’automatismo dei ricongiungimenti familiari e dell’acquisizione della nazionalità francese, eliminazione dello ius soli e della doppia nazionalità extra-europea, inasprimento delle disposizioni sul culto islamico.

La lotta al terrorismo passa anche attraverso un’agenzia unica di intelligence incaricata dell’analisi delle minacce e collegata direttamente al primo ministro. A garanzia dell’ordine interno, la Le Pen promette inoltre un massiccio aumento di uomini e mezzi su tutto il territorio.

Fillon: una risposta a metà
Anche il conservatore Francois Fillon gioca la carta dell’identità nazionale, ragionando sì di Europa ma anche di una Francia sovrana e attenta al proprio interesse. Si è infatti schierato a favore di una messa in comune delle capacità militari, del consolidamento dell’industria europea della difesa e della creazione di un fondo per finanziare le operazioni all’ estero.

Fillon tuttavia non parla esplicitamente di difesa integrata europea, tentando così di sottrarre voti euroscettici al Front National. Promette inoltre ulteriori 10 miliardi al bilancio della difesa francese, auspicando una rinnovata e più risolutiva leadership Nato, soprattutto a sud dell’Europa.

Per la lotta al terrorismo propone procedure giudiziarie più veloci ed efficaci, l’espulsione immediata degli stranieri pericolosi per la nazione, qualche misura simile – ma meno drastica – rispetto a quelle del Front National sul culto musulmano e la creazione di una sorta di super procura anti-terrorismo.

Le due velocità Hollande-Hamon
Un Paese dal peso politico importante come la Francia influenza senza dubbio la direzione dell’Ue nella delicata materia della sicurezza e difesa. Nel recente vertice di Versailles con Gentiloni, Merkel e Rajoy, il presidente uscente Hollande ha accelerato a favore di un’Europa a più velocità, anche e soprattutto nella difesa. L’idea cioè di un nocciolo duro di Stati più ambiziosi che possano avanzare insieme senza che altri membri dell’Ue blocchino il processo, come abbozzato in qualche modo anche nel Libro Bianco sul Futuro dell’Europa da poco presentato dalla Commissione europea.

Questo disegno però non convince tutti a sinistra, a partire dal candidato del Front de Gauche Jean-Luc Melenchon. Benoît Hamon, socialista in corsa per l’Eliseo per succedere al compagno di partito Hollande, rallenta sull’Europa della difesa, vista come orizzonte di lungo periodo, puntando piuttosto nel breve termine ad un hub europeo a sostegno delle operazioni militari francesi all’estero. Infatti, secondo Hamon, con la Brexit la Francia sarà di fatto il garante della sicurezza europea.

Le crisi, sosteneva Jean Monnet, offrono stimoli per unirsi, e in questo senso Trump potrebbe essere d’aiuto. La storia però ci ricorda che nel 1954 fu proprio un voto francese a bloccare la Comunità Europea di Difesa. Storia che rischia di ripetersi ora.