Difesa europea, forse è la volta buona
A 60 anni, l’Unione europea, Ue potrebbe finalmente decidere di occuparsi seriamente della propria difesa, con un gruppo di Paesi membri che si impegnano a fare di più e meglio insieme alle istituzioni europee ed in coordinamento con la Nato. Oppure, il vertice Ue di Roma potrebbe adottare l’ennesima dichiarazione solenne e gattopardesca, per cui tutto deve cambiare mentre nulla cambia davvero.
La soluzione dell’integrazione differenziata
Il 60o dei Trattati di Roma vede infatti le istituzioni Ue ed i governi europei discutere sull’integrazione differenziata, ovvero su come gruppi più o meno ristretti di Stati membri possano approfondire l’integrazione in determinati ambiti politici, lasciando agli altri la possibilità di aderire in futuro. Un modo pragmatico per reagire all’attuale situazione in cui l’Unione non sembra in grado di rispondere alla domanda politica dei cittadini europei, dall’economia all’immigrazione, alla sicurezza e alla difesa.
Proprio in quest’ultimo campo il referendum sulla Brexit e l’elezione di Donald Trump hanno portato ad una accelerazione, in particolare riguardo la cooperazione strutturata permanente (Permanent Structured Cooperation, PeSCo). Sulla PeSCo hanno puntato sia l’Ue, con i documenti e le decisioni dei mesi scorsi, sia un gruppo di Stati membri, tra cui Francia, Germania, Italia e Spagna.
La PeSCo è prevista dal Trattato di Lisbona. Per la prima volta in otto anni c’è la reale opportunità di lanciarla nei prossimi mesi – sempre che Marine Le Pen non vinca le presidenziali francesi. Ma c’è anche il rischio di avviare una PeSCo irrilevante in termini politici e militari, che esisterà sulla carta ma non verrà davvero utilizzata dagli Stati memrbi – un po’ come avvenuto finora per i BattleGroups.
Come fare sul serio la difesa europea
Un documento IAI presenta alcune proposte concrete su come realizzare una PeSCo seria, in grado di rispondere alle esigenze di sicurezza dei suoi Stati membri, che sia efficace e rilevante per i governi, le forze armate e i cittadini europei.
In primo luogo, la PeSCo non dovrebbe essere un mero contenitore di progetti realizzati da diversi gruppi di Stati membri scarsamente coordinati tra loro. È necessario garantire una forte coesione interna assicurando che la maggioranza dei Paesi partecipanti alla PeSCo contribuisca a gran parte delle attività attuate, assicurando al tempo stesso un certo grado di flessibilità attraverso un approccio modulare.
Per garantire coerenza, la governance della PeSCo dovrebbe essere collegata alle istituzioni Ue: l’iniziativa dovrebbe essere presieduta dall’Alto Rappresentante / vice presidente e supportata dalla Agenzia europea per la Difesa.
Potenziali progetti di sviluppo di capacità militari da lanciare in ambito PeSCo comprendono: un hub logistico e di supporto, un comando medico, addestramento avanzato, aeromobili a pilotaggio remoto, operazioni di ricerca e soccorso in ambiente ostile, sorveglianza strategica delle frontiere dell’Ue, accesso condiviso alle immagini satellitari, capacità per contrastare minacce nucleari, biologiche, chimiche e radiologiche.
Per garantire l’efficacia della PeSCo anche in termini operativi, gli Stati partecipanti dovrebbero costituire l’avanguardia per la costituzione di un Quartier Generale operativo Ue, che consenta la conduzione di attuali e future operazioni nel quadro della Politica di sicurezza e di difesa comune.
Le capacità sviluppate e/o condivise attraverso la PeSCo dovrebbero essere rese disponibili per le operazioni condotte dagli Stati membri partecipanti alla stessa PeSCo attraverso l’introduzione di una “garanzia di disponibilità”. Al tempo stesso, dovrebbero essere sviluppati maggiore coordinamento e cooperazione con la Nato.
Una PeSCo così costituita richiederebbe un impegno consistente ai Paesi partecipanti, sia in termini politici che militari, perciò dovrebbe essere sostenuta da una serie di incentivi che includano ma non si limitino a quelli già forniti dall’European Defence Action Plan della Commissione europea.
PeSCo: partire subito con chi ci sta
Una PeSCo seria dovrebbe essere inclusiva verso tutti gli Stati membri “volenterosi e capaci” di rispettare i criteri stabiliti dal Trattato di Lisbona e relativo protocollo. Criteri attuabili in termini di input, quali il raggiungimento della soglia del 20% di spesa militare per il procurement, di cui il 35% a programmi europei; e in termini di output, ossia di operatività, dispiegabilità e sostenibilità delle forze armate.
Un’attuazione tempestiva ed efficace della PeSCo implicherebbe l’inserimento di un paragrafo ad hoc all’interno della dichiarazione a 27 per l’anniversario dei Trattati di Roma, che dovrebbe sostenere l’idea di integrazione differenziata nel settore della difesa. In secondo luogo, dopo le elezioni francesi e prima dell’estate il Consiglio Affari esteri dovrebbe adottare la decisione di lanciare la PeSCo, da attivarsi poi entro 3 mesi.
La PeSCo è attualmente l’unica via, per gli Stati membri, per l’acquisizione e l’utilizzo delle capacità militari necessarie a realizzare una politica di difesa coordinata, e collegata alle istituzioni Ue. Se non sarà permanente per un nucleo di Stati membri, strutturata attraverso un insieme coerente di progetti di sviluppo di capacità congiunte, e in grado di concretizzare una cooperazione sia politica che operativa, allora non potrà dirsi PeSCo.
Infatti, solo rispettando questi requisiti la PeSCo consentirà di costituire, attraverso l’integrazione differenziata, una difesa europea efficace al servizio dei suoi cittadini. Altrimenti, una PeSCo che non cambi la realtà politico-militare europea sarebbe non solo l’ennesima occasione persa, ma un altro duro colpo all’utilità politica dell’Ue per i suoi cittadini.