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Blue Economy

Mare, un’opportunità per l’Italia e per l’Ue

9 Dic 2016 - Fabio Caffio - Fabio Caffio

Sconosciuta ai più, la dimensione marittima dell’economia nazionale (2,3% del Pil e quasi 500.000 occupati) emerge con forza dalla recente assemblea della Confederazione italiana Armatori-Confitarma.

L’armamento italiano, con circa 17 milioni di tonnellate di naviglio di bandiera, considerando il genuine link (1) tra società armatoriale/nave/bandiera, è il quarto nel mondo ed il secondo in Europa. Il nostro cluster marittimo deve però confrontarsi con attori europei ed internazionali agguerriti.

La tradizionale industria marittima italiana era basata su trasporto marittimo e crocieristico, cantieristica, porti, pesca, turismo ed offshore energetico. Questi settori rientrano ora nella strategia marittima dell’Unione europea, Ue, e quindi necessitano di un approccio sistemico.

La politica marittima integrata dell’Ue
Il mare è ritenuto opportunità di sviluppo per l’economia Ue che da esso trae milioni di posti di lavoro e centinaia di miliardi di euro di valore aggiunto. La visione degli Affari marittimi Ue si basa sulla Politica marittima integrata, i cui pilastri sono le Direttive per l’ambiente marino e per la pianificazione degli usi civili e militari degli spazi marittimi di giurisdizione.

Entrambe sono state recepite dall’Italia; da ultimo, quella sulla pianificazione spaziale con il Dlgs 201-2016. Altri Paesi lo hanno già fatto traendo significativi vantaggi come Grecia e Cipro da sempre concentrati sullo sviluppo della Blue Economy.

L’Ue è impegnata nella promozione dell’intermodalità marittima per ridurre l’impatto ambientale ed economico del trasporto su gomma, con 30 milioni di camion all’anno imbarcati, pari al 75% del dato mondiale.

In Italia, il settore, grazie anche a specifici incentivi (come il “Marebonus”) è in costante crescita, attraverso collegamenti con le isole, lungo le dorsali tirrenico-adriatiche, e con Marocco, Tunisia, Spagna, Francia, Malta, Albania e Grecia.

La grande consistenza della flotta italiana (sempre più alimentata da combustibili ecocompatibili o da dotazioni di bordo per l’abbattimento delle emissioni) si basa, oltre che sui traghetti, sul trasporto di idrocarburi e di merci varie in container da/per i principali porti africani e medio-orientali del Mediterraneo allargato: il 51% del commercio estero italiano viaggia infatti su nave (il petrolio è al 100%).

L’altra faccia dell’intermodalità sono i porti, punto di forza di alcune economie del Mare del Nord di Spagna e Grecia (che Pechino ha eletto a proprio hub). La frammentazione e non competitività del sistema portuale italiano dovrebbe essere risolta dalla riforma attuata con D.Lgs. 169-2016 che riduce a 15 il numero delle Autorità portuali per 57 porti. La strategia marittima Ue potrà però fornirci un ulteriore aiuto se punteremo su settori in crescita come “autostrade del mare”, trasporti a corto raggio o crociere.

Autostrade mediterranee (Fonte: RAM).

Pesca
L’Ue, secondo i Trattati, detiene una riserva esclusiva in materia di politica della pesca e di accordi con i Paesi terzi. È noto che il comparto italiano è in decrescita, secondo alcuni a causa di misure eccessive di riduzione dello sforzo di pesca.

I danni maggiori ci vengono però dal fatto che la Ue ha negoziato accordi di partenariato principalmente con Paesi dell’Atlantico (Capo Verde, Costa d’Avorio, Gabon, Guinea-Bissau, Liberia, Mauritania, Marocco e Senegal), con ciò favorendo la Spagna che ha una consistente flotta d’altura.

Il risultato è che i pescherecci italiani continuano ad essere sequestrati dai Paesi del Nord Africa, come avviene per Tunisia, Libia ed Egitto, con i quali l’Ue non ha mai stipulato intese.

Sicurezza marittima 
L’Europa ha scoperto la sua dimensione marittima da qualche tempo, anche grazie alla Strategia di sicurezza marittima del 2014 nel cui ambito si inquadra il contrasto della pirateria e delle altre minacce alla libertà di navigazione.

I traffici mercantili italiani ne hanno beneficiato potendo contare sull’attività di polizia dell’alto mare delle Unità delle missioni Atalanta e Sophia che ha messo in luce l’attualità delle missioni “tipo Petersberg”.

Purtroppo, l’Ue continua a sottovalutare il settore del soccorso in mare-Sar lasciato al volontario attivismo italiano, quando invece sarebbe necessario mettere in comune i mezzi disponibili e stringere partenariati con i Paesi nordafricani.

Governance marittima italiana
La governance marittima italiana si avvale oramai in modo positivo di tutti gli strumenti messi in campo dalla politica marittima Ue. Un handicap viene però dalla frammentazione delle competenze tra tutti i ministeri interessati, come Trasporti, Ambiente, Politiche agricole, Esteri e Difesa, problema che nessun governo ha mai saputo affrontare.

Un tempo c’era, come principale referente politico-amministrativo, il ministero la Marina mercantile. Per semplificare la gestione del settore e conseguire vantaggi economici si dovrebbe seguire l’esempio della Francia che ha incardinato nell’ufficio del Primo ministro il Secrétariat général de la mer competente per il necessario coordinamento interministeriale.

Anche la definizione, a livello politico, della nozione della “Funzione Guardia costiera” teorizzata dall’Ue aiuterebbe l’Italia ad efficientare l’impiego di tutti i numerosi assetti civili e militari operanti in mare per la sicurezza marittima.

(1) È l’effettivo rapporto giurisdizionale tra lo Stato di registrazione della nave e la sua filiera marittima; esso può altrimenti venir meno nel caso delle c.d. “bandiere ombra”.