In Austria l’ondata populista non passa
Anche in Austria i sondaggi e i media non hanno colto nel segno, ma questa volta sopravvalutando il fattore “populismo”. L’effetto-Trump e l’effetto-Brexit ci sono stati, tuttavia non nel senso di un trascinamento bensì di uno stimolo a reagire.
I sostenitori di van der Bellen si sono mobilitati (infatti la partecipazione ha superato le previsioni), alcuni di quelli di Hofer – troppo sicuri di essere maggioranza – sono rimasti a casa. Il travaso di voti da un campo all’altro ha avuto un ruolo secondario.
L’elettorato di van der Bellen
La vittoria di Alexander van der Bellen, che assumerà le sue funzioni il 26 dicembre, ha preso molti alla sprovvista, ma più ancora ha sorpreso (proprio come in Italia) lo scarto di voti: quasi l’8% (a maggio era stato minimo).
Se nei giorni scorsi l’Austria veniva vista da molti come il paese occidentale più esposto alle sirene del nazionalismo xenofobo, oggi è d’obbligo riconoscere che la società austriaca ha saputo produrre i necessari anticorpi. E ha dato un forte segnale di conferma della scelta europeista.
Il candidato moderato ha probabilmente beneficiato della relativa sdrammatizzazione del tema “immigrazione” rispetto a sei mesi fa: l’ondata di piena del 2015 non si è verificata quest’anno; il tetto fissato a 37.500 domande di asilo non è stato superato (l’anno scorso l’Austria aveva accolto 90mila profughi, al netto del milione transitato verso la Germania); è allo studio una legge più severa sull’esecuzione dei decreti di espulsione e sulle sanzioni in caso di loro violazione.
Solo per un aspetto il risultato elettorale presenta una forte analogia con l’America: una carta geografica dominata dal colore della destra (là rosso, qui azzurro), con isole o frange a forte concentrazione demografica (le città), e più alto reddito medio e grado di istruzione. Ma rispetto allo scorso maggio queste isole moderate si sono allargate.
Il verde van der Bellen ha vinto in tutti i capoluoghi di regione e in alcune altre città medie. Nelle tre maggiori – Vienna, Graz e Linz – sfiora i due terzi dei voti; in tutti i distretti centrali della capitale e nei comuni circostanti il rapporto è di almeno 70 a 30. Solo in tre regioni su nove Hofer conserva la maggioranza.
Per lui ha votato solo il 17% dei laureati, mentre fra chi ha fatto un apprendistato ha ottenuto il 64% e nella categoria “operai” (che comprende gli agricoltori) l’85% . Due terzi degli elettori che hanno votato per posta (in media più istruiti) si sono pronunciati contro Hofer. Si rileva dunque una forte correlazione fra livello di istruzione e voto per van der Bellen. Un dato interessante è la forte differenziazione fra le preferenze di uomini e donne: fra i primi il 56% ha scelto Hofer, fra le seconde solo il 38%.
Estrema destra vicina alla maggioranza
D’altra parte può apparire preoccupante che il candidato di un partito di estrema destra si attesti a meno del 4% dalla maggioranza assoluta. Ma va ricordato che si tratta di una situazione sui generis: un ballottaggio, a seguito dell’eliminazione dei candidati dei due partiti di governo (11% dei voti ciascuno). Degli elettori democristiani, il 45 % risulta aver votato per Hofer (compreso il Capo del Gruppo Parlamentare); fra i socialisti sono il 10%. In una futura elezione parlamentare questi voti torneranno nelle rispettive orbite.
Al netto di tali voti, l’FPOe oscilla intorno al 30%; alle prossime politiche può ambire a conquistare non più del 35% (quanto Hofer ha avuto al primo turno), ma molti si aspettano che l’elezione del 4 dicembre segni l’inizio del riflusso che dovrebbe riportarla ben al di sotto del 30%.
Strache, il vero pericolo
Nel primo caso avrebbe discrete probabilità di divenire il primo partito, e Heinz-Christian Strache (è ormai noto che il pericolo è lui, non Hofer) sarebbe il candidato naturale al Cancellierato; solo un compatto fronte OeVP-SPOe potrebbe sbarrargli la strada. Ma in entrambi i partiti, e soprattutto nel primo, non mancano personalità inclini ad entrare in una coalizione con Strache.
Nel secondo caso quest’ultimo può ancora sperare di entrare nel prossimo governo, sia pure nella posizione di junior partner, come fu il caso di Haider. L’ alternativa sarebbe la prosecuzione della grosse Koalition, che però si è assai logorata e viene generalmente considerata la causa di stagnazione, corruzione, inefficienza; o forse un’alleanza fra socialisti, verdi e neos, se ci saranno i numeri.
A questo proposito, in una intervista, il neo-eletto presidente ha fatto una dichiarazione significativa: mentre vuole essere un capo dello stato non interventista, a differenza del rivale, e quindi respinge l’interpretazione letterale della Costituzione che gli conferirebbe il potere di licenziare il governo, ribadisce l’intenzione di fare il possibile per evitare di affidare la formazione di un governo a Strache; per prassi l’incarico viene dato a chi ha la maggioranza relativa ma, non trattandosi di una disposizione costituzionale, van der Bellen considera preminente l’interesse del Paese – l’ancoraggio alla costruzione europea – e intende far pieno uso della sua discrezionalità.
In sostanza, l’Austria ha dato un chiaro segnale che la deriva populista ed euroscettica non è inevitabile. Per l’Italia è una svolta positiva anche perché si allontana il pericolo di un ritorno di Vienna a pretese di un droit de regard sull’Alto Adige. Ma di quanto? Hofer intende ripresentarsi per la Hofburg nel 2022; il suo partito si prepara alle elezioni parlamentari del 2018; e anzi – altra coincidenza temporale con le vicende italiane – dice di auspicare elezioni anticipate al maggio 2017.
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